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  • Domenica 13 ottobre 2019

Cosa scriveva Daphne Caruana Galizia

Un estratto del libro che raccoglie gli articoli della giornalista d'inchiesta maltese, di cui questa sera si parlerà a "Che tempo che fa"

Il volto della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, sulla copertina del libro "Di' la verità anche se la tua voce trema" (Bompiani)
Il volto della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, sulla copertina del libro "Di' la verità anche se la tua voce trema" (Bompiani)

Questa sera tra gli ospiti della trasmissione di Rai 2 Che tempo che fa ci saranno Matthew, Andrew e Paul Caruana Galizia: sono i tre figli di Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese uccisa da una bomba messa sulla sua automobile il 16 ottobre 2017. Racconteranno la storia della madre insieme allo scrittore Roberto Saviano, che è il curatore di Munizioni, la nuova collana della casa editrice Bompiani dedicata ai giornalisti perseguitati: mercoledì infatti sarà pubblicato Dì la verità anche se la tua voce trema, un libro che raccoglie le inchieste di Caruana Galizia e alcuni dei post scritti sul suo blog Running Commentary.

Per più di 30 anni Caruana Galizia, definita dal Times of Malta «la giornalista più controversa di Malta», si era occupata di casi di corruzione, riciclaggio e truffa in cui spesso erano coinvolti esponenti del governo maltese. Aveva iniziato a lavorare nel giornalismo nel 1987, come editorialista per il Sunday Times of Malta, ed era poi diventata editorialista e redattrice del Malta Independent. Negli ultimi anni della sua vita la sua notorietà era legata soprattutto a The Running Commentary, uno dei blog più letti del paese, dove Caruana Galizia pubblicava inchieste ed editoriali sulla politica locale, che spesso contenevano attacchi molto duri (e personali) contro i più importanti politici maltesi.

Tra le altre cose, era stata la prima giornalista a occuparsi delle implicazioni maltesi dei Panama Papers e a riportare la notizia del coinvolgimento di Konrad Mizzi, attuale ministro del Turismo maltese, e Keith Schembri, capo dello staff del primo ministro Joseph Muscat. Il suo ultimo post era stato pubblicato mezz’ora prima della sua morte. Caruana Galizia aveva 53 anni quando morì e aveva 47 cause per diffamazione in corso, cinque delle quali in sede penale: quasi tutte le erano state intentate da politici e sostenitori di politici maltesi.

Per il suo omicidio tre uomini sono stati arrestati come esecutori materiali – Vince Muscat e i fratelli George e Alfred Degiorgio – ma non si è ancora scoperto chi fossero i mandanti e il loro movente. Lo scorso maggio il Consiglio d’Europa (organizzazione con sede a Strasburgo che non ha niente a che fare con l’Unione Europea) aveva criticato duramente le autorità di Malta per non essere riuscite a garantire indagini indipendenti ed efficaci sull’uccisione della giornalista, e aveva chiesto al governo maltese di avviare un’indagine per stabilire se si fosse potuto impedire l’omicidio. A luglio il governo aveva detto di aver avviato un’inchiesta interna.

Pubblichiamo un estratto di Dì la verità anche se la tua voce trema, dal capitolo che raccoglie una serie di articoli su libertà di espressione, censura e intimidazioni. È un post diffuso su The Running Commentary l’11 marzo 2017 e riguarda alcune delle cause di diffamazione che erano state intentate a Caruana Galizia dall’albergatore Silvio Debono, che la giornalista aveva accusato di corruzione. Quello delle cause per diffamazione è un problema che, in maniera diversa a seconda delle leggi nazionali, hanno molti giornalisti in tutto il mondo.

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La dichiarazione che ho mandato ai media in risposta a quella rilasciata dalla società di Silvio Debono
Running Commentary, 11 marzo 2017, ore 11.24

Ieri, Silvio Debono e la sua società hanno presentato 19 cause per diffamazione contro di me, tutte sulla medesima questione, sfruttando il fatto che la legge consente loro di intentare una causa per ogni singolo commento, articolo o post apparso su un blog, anche qualora l’oggetto in discussione e l’autore siano gli stessi.

Come è emerso dal suo coinvolgimento con entrambi i partiti politici e con diversi politici da lui pagati per i servizi forniti, Debono ha un sacco di denaro da spendere per il suo obiettivo di ridurre al silenzio chi critica le sue scelte, il suo comportamento e il trattamento eccezionale che ha ricevuto da questo governo, che gli ha concesso – per una somma ridicola – un vasto appezzamento di terreni demaniali in un’area dal valore commerciale strategico, dove ora potrà speculare con la costruzione di un complesso di appartamenti.

Non potendo comprare il mio silenzio pagandomi per i miei “servizi professionali”, come ha fatto con altri, Debono ha adottato un’altra tattica: usare quel denaro per colpirmi con un numero record di cause per diffamazione. Non ha nessuna base su cui muoversi, ma non è questo il problema: le cause si trascineranno nei tribunali e io dovrò sborsare circa 8000 euro solo per presentare le mie risposte. Un’intimidazione del genere avrebbe indotto qualunque altra persona ad arrendersi, ma per quanto mi riguarda posso dire che, con me, una tattica del genere non funzionerà.

La legge non protegge i giornalisti che si trovano in questa situazione, visto che non è necessario avere motivi fondati per avviare una causa. I motivi fondati servono soltanto per vincerla. Nel processo non c’è alcuna valutazione preliminare della fondatezza o meno della causa, e questo significa che un aggressore che si sente minacciato e vuole intimidire giornalisti e critici – un politico come Christian Cardona, per esempio, o un affarista come Silvio Debono – può intentare molteplici cause per diffamazione, usandole come una forma estrema di molestia nei confronti della sua vittima.
Non lo fanno per proteggere la loro reputazione, dato che di fatto quest’ultima esce molto più danneggiata da una tale aggressività contro coloro che li mettono sotto esame e criticano il loro comportamento. Lo fanno, invece, per ridurre al silenzio le critiche attraverso la paura e l’intimidazione. Ciò è in linea con il fatto che oggi a Malta viviamo in una cultura della paura.

La società di Silvio Debono ha dichiarato di non aver preso la decisione “in fretta o a cuor leggero” e che avrebbero preferito non prenderla affatto. Io penso però che, al contrario, vorrebbero fare molto di più che citarmi per diffamazione, e che il loro problema non sia stato il dilemma morale sull’opportunità di aprire o meno diciannove cause per diffamazione, ma quello di trovare un avvocato disposto a portare avanti il loro piano perverso.

Nella stessa dichiarazione si legge anche che “per diverse settimane di seguito” io ho “attaccato, calunniato e mentito” sul loro conto. Questo è palesemente falso. La questione è diventata di interesse pubblico soltanto una settimana fa, e sono i post che ho pubblicato sul blog nell’ultima settimana ad averli davvero irritati, perché sono arrivati vicinissimi alla verità. Debono ce la sta già mettendo tutta per danneggiare la propria reputazione in vista dell’emissione di obbligazioni da cui dipende la realizzazione del suo progetto, e non ha bisogno del mio aiuto per farlo. Inoltre, come Debono e i suoi avranno modo di scoprire quando la questione arriverà infine in tribunale, le opinioni basate sui fatti non sono menzogne e non possono essere considerate diffamazione.

“Scrive come se a lei non si applicassero le leggi che esistono in ogni democrazia europea per proteggere i cittadini da tali infamie. È chiaro che pensa che noi non dovremmo godere del beneficio di queste leggi che proteggono noi e i nostri diritti” afferma la dichiarazione di Debono.

La mia risposta è che in ogni altra democrazia europea a Silvio Debono non sarebbe stato possibile fare quello che ha fatto qui per diversi anni, e di certo non gli sarebbe stato possibile acquisire un così vasto appezzamento di terreni demaniali in un’area dal valore strategico, rimuovendo a tal scopo un importante collegio pubblico, grazie ai suoi stretti legami con il partito al governo, per poi anche comprare il silenzio del vicecapo dell’opposizione pagandolo per i suoi servizi professionali riguardo a quello stesso affare. Le democrazie europee proteggono i cittadini comuni e i giornalisti dalle prevaricazioni di individui come Debono e come i politici che lo proteggo- no e lo servono.

Debono afferma che se la corte gli riconoscerà un risarcimento per i danni subiti, devolverà quella somma in beneficenza. Se proprio vuole farlo, non è necessario che aspetti: potrebbe dare in beneficenza un bel po’ di soldi già da subito, anziché darli ai partiti politici e spenderli per una Maserati e un mega-yacht.

© The Daphne Caruana Galizia Foundation, 2019
© 2019 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani