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  • Sabato 5 ottobre 2019

La bufala del bambino volato via su una mongolfiera, dieci anni dopo

Una rivista ha raccontato cosa ne è stato della famiglia protagonista di una delle bufale più famose di sempre, pensando per un attimo di aver scoperto una nuova verità

Più o meno dieci anni fa, il 15 ottobre 2009, gran parte dei notiziari televisivi americani, da quelli locali ai network come CNN, iniziarono a mostrare le immagini in diretta di una strana mongolfiera a forma di disco volante nei cieli del Colorado. A bordo, raccontavano i molti inviati accorsi sul posto, sembrava esserci un bambino, rimasto per sbaglio nel cesto della mongolfiera durante un esperimento dei genitori. Le immagini furono riprese e raccontate anche da molte tv e giornali italiani. Diversi elicotteri seguirono la mongolfiera per quasi cento chilometri, mentre a terra le squadre di ricerca setacciavano la zona intorno alla casa della famiglia in cerca del bambino. Ma non lo si trovava da nessuna parte, e dopo più di un’ora la mongolfiera atterrò senza che vi fosse traccia del bambino.

Un poliziotto disse di aver visto qualcosa cadere dalla mongolfiera, a un certo punto del suo viaggio: tutti temettero il peggio, e la storia prese una piega ancora più drammatica. Le ricerche si spostarono su tutta la traiettoria percorsa dalla mongolfiera, dove in molti si aspettavano di trovare un cadavere. Alla fine, il bambino si fece vivo: si era nascosto nella soffitta della casa di famiglia e stava bene.

In poco tempo, però, cominciarono a circolare dei dubbi: primo fra tutti se quella mongolfiera avesse potuto davvero trasportare un bambino. Durante un’intervista con Wolf Blitzer della CNN, poi, il bambino sembrò lasciarsi scappare una specie di confessione: disse di aver sentito i genitori che lo chiamavano, mentre si nascondeva, ma che loro gli avevano detto di non uscire «per lo spettacolo». «Man…», disse il padre, accanto a lui. «No», borbottò la madre.

Lo sceriffo locale cominciò a indagare, e in poco tempo scoprì che era stata tutta una messinscena. I genitori volevano promuovere la propria idea per un reality show televisivo per il quale avevano già firmato un pre-contratto, e avevano ingannato i servizi di soccorso e i notiziari di mezzi Stati Uniti, che avevano dedicato alla vicenda ore e ore di trasmissioni senza verificare a sufficienza la storia. La bufala del bambino che volò via sulla mongolfiera diventò uno degli esempi più noti della capacità di certe notizie sensazionali e poco credibili di diffondersi rapidamente e senza verifiche, anche in un paese con una solida tradizione giornalistica come gli Stati Uniti.

Per i dieci anni della vicenda, la rivista di Denver 5280 ha pubblicato un lungo articolo per raccontare la vita dei protagonisti della storia, dieci anni dopo, scoprendo anche delle novità. L’uomo che ideò tutto, esponendo la sua famiglia alle attenzioni di tutti gli Stati Uniti e pensando di farla franca in qualche modo, si chiama Richard Heene. Dalla fine degli anni Novanta è sposato con Mayumi Heene, di nazionalità giapponese, con la quale ha avuto tre figli: Bradford, 20 anni, Ryo, 18 anni, e Falcon, che oggi ha 16 anni, conosciuto anche come “balloon boy”.

Oggi non vivono più in Colorado: dopo la storia della mongolfiera si trasferirono prima in Florida e poi nello stato di New York, dove vivono in una di quelle case mobili prefabbricate. Heene fu condannato a 90 giorni di carcere per aver aver mentito alle autorità, e per questo oggi fatica a trovare un’occupazione. Ma è un problema quasi secondario se paragonato ai disagi che gli provoca avere un nome che, cercato su Google, dà i risultati che dà, e gli preclude molti lavori come manovale, la sua attività principale. Falcon invece ha raccontato che normalmente nessuno lo riconosce o si ricorda del suo nome, e quindi per ora il suo passato non è stato un grosso problema nella sua vita quotidiana.

Nel tempo libero, Richard Heene fa l’inventore: la sua produzione principale è un bizzarro tubo per grattarsi la schiena, chiamato Bear Scratch. Non ha abbandonato i suoi sogni televisivi: recentemente ha filmato e montato un’opera rock con protagonisti i suoi figli, che sta provando a vendere a Hollywood. «La vedrei bene su Amazon Prime», ha raccontato a 5280. Contrariamente a quanto possa sembrare, però, molte delle persone che hanno parlato con la rivista hanno descritto Heene come una persona molto intelligente. A un certo punto della sua vita, nonostante abbia solo il diploma, contribuì perfino a un articolo scientifico sui campi elettromagnetici pubblicato sulla rivista National Weather Digest. Ma anche prima dell’incidente della mongolfiera, la sua reale ambizione era di finire in un reality show: lui e la moglie avevano anche partecipato a una puntata di quel famoso programma in cui due coppie sposate vengono scambiate. Un episodio, peraltro, tra i più amati della storia della trasmissione.

Richard Heene con il figlio Falcon, il giorno dell’incidente. (AP Photo/David Zalubowski, file)

«È stata tutta una stronzata. Alla fine riguardava più l’ego di uno sceriffo e la sua ricerca di 15 minuti di celebrità che la nostra famiglia», dice oggi Heene di quello che successe con la mongolfiera. Si lamenta del modo in cui venne interrogata la moglie, che non sapeva l’inglese a sufficienza per rispondere correttamente, e sostiene che dovettero patteggiare la pena per evitare che la moglie fosse espulsa dal paese. E continua a giurare che non ci fu niente di combinato, e che lui e sua moglie pensavano davvero che Falcon fosse sulla mongolfiera.

Un mese dopo la sua visita alla famiglia, ha raccontato l’autore dell’articolo Robert Sanchez, l’avvocato della moglie di Heene gli ha scritto per email dicendogli che avrebbe voluto mostrargli i documenti relativi al caso della mongolfiera. Dentro c’erano un sacco di cose, tra cui una copia del pre-contratto che avevano firmato per il reality show familiare. In mezzo al resto, Sanchez ha scoperto le fotocopie di una dozzina di pagine di appunti di Mayumi Heene, un piccolo diario che cominciava alcuni mesi prima della vicenda della mongolfiera e finivano poco dopo. La storia che raccontavano era totalmente nuova, e forniva una lettura molto diversa sull’incidente.

Gli appunti, infatti, iniziavano raccontando i preparativi per quella che sembrava una trovata pubblicitaria: far credere alle televisioni che Falcon fosse rimasto a bordo di una mongolfiera che stavano costruendo, per poi tirarlo fuori dal nascondiglio e mostrare una storia a lieto fine. Secondo i piani, c’era scritto negli appunti, Falcon avrebbe dovuto nascondersi nello scantinato. La storia sarebbe stata un po’ come quella di Larry Walters, un camionista che nel 1982 prese il volo su un rudimentale pallone aerostatico, perdendo il controllo e allarmando mezza Los Angeles, prima di atterrare rocambolescamente. Poi gli appunti passano a raccontare i giorni dopo il volo della mongolfiera: Mayumi Heene scrisse che suo marito aveva spiegato all’avvocato che, dopo aver dato inizio al volo, aveva cercato Falcon nello scantinato ma senza trovarlo: a quel punto si era davvero convinto che fosse sulla mongolfiera.

Il diario dava quindi in parte ragione a Richard Heene: anche se il piano era davvero creare una bufala mediatica, le cose erano andate storte – anche per il coinvolgimento non previsto delle forze dell’ordine – e i genitori pensavano davvero che loro figlio fosse finito per sbaglio sulla mongolfiera. Per questo i video che mostravano Mayumi Heene con il figlio ritrovato erano così credibili: il loro panico, quindi, sarebbe stato autentico.

Sanchez ha chiamato Heene per parlargli degli appunti, di cui lui non sapeva però l’esistenza. Gli ha chiesto di mandarglieli, dicendo che lo avrebbe richiamato. «Tutta questa storia non è mai successa», gli ha detto al telefono un paio di giorni dopo. L’aneddoto di Walters era stato raccontato alla famiglia Heene soltanto dopo l’incidente: non lo conoscevano. A quel punto della telefonata, racconta Sanchez, è intervenuta la moglie: «Ho inventato tutto», ha detto nell’incredulità del marito. «Per salvarmi, per i nostri bambini», ha aggiunto.