• Sport
  • Lunedì 12 agosto 2019

L’anno senza baseball

Nel 1994 lo sciopero dei giocatori di Major League contro il tetto salariale proposto dai proprietari cancellò una stagione intera, come non accadde neanche durante le guerre mondiali

di Pietro Cabrio

Tony LaRussa, allenatore degli Oakland Athletics, discute con l'arbitro Tim McClelland durante una partita di campionato del 1994 (AP Photo/Dave Hammond)
Tony LaRussa, allenatore degli Oakland Athletics, discute con l'arbitro Tim McClelland durante una partita di campionato del 1994 (AP Photo/Dave Hammond)

E dire che per il baseball nordamericano l’inizio del 1994 era stato particolarmente interessante. A febbraio i Chicago White Sox avevano ingaggiato niente di meno che Michael Jordan, il più grande giocatore di basket, che pochi mesi prima aveva stupito mezzo mondo dicendo di voler giocare a baseball, anche come reazione all’omicidio del padre James, grande appassionato. Nel 1994 il baseball era poi al centro di una grande produzione cinematografica, forse l’ultima così ricca: uscirono il sequel di Major League con Charlie Sheen e Tom Berenger, Cobb con Tommy Lee Jones, Angels con Joseph Gordon-Levitt ancora bambino e Un colpo da campione con Brendan Fraser.

Nel 1994 la stagione della Major League iniziò come al solito ad aprile, e nelle prime settimane una media di 31.256 spettatori assistette alle partite della stagione regolare. Nonostante le premesse tutto sommato buone, però, in quella stagione non vennero disputati né i playoff né le World Series, le finali del campionato nonché uno degli eventi sportivi più seguiti al mondo.

La stagione venne infatti interrotta il 12 agosto con la proclamazione dello sciopero da parte dei giocatori contro l’introduzione di un tetto salariale. Circa un mese dopo quella data, il commissario della Major League comunicò l’annullamento definitivo del campionato. Lo scioperò durò complessivamente 234 giorni, causò la riduzione della stagione successiva e grossi danni ai conti, alla reputazione e alla popolarità del baseball professionistico statunitense.

Il Tiger Stadium di Detroit il giorno della proclamazione dello sciopero (AP Photo/Lennox McLendon)

Tutto iniziò quando i proprietari delle allora ventotto squadre del campionato, preoccupati dai costi di gestione aumentati a causa degli stipendi sempre più alti dei giocatori, proposero l’introduzione di un tetto salariale, una regola adottata in precedenza e con un certo successo dai campionati di basket e football. Il tetto salariale consisteva in un limite imposto al monte stipendi annuale di ciascuna squadra, ed escludeva di conseguenza la contrattazione libera.

Nel gennaio del 1994 i proprietari delle squadre furono d’accordo nel formulare un nuovo piano di distribuzione delle entrate della lega in funzione del nuovo tetto salariale, che però richiedeva obbligatoriamente l’approvazione da parte del sindacato dei giocatori. I proprietari diedero mandato all’allora commissario ad interim della Major League, Bud Selig, di condurre i negoziati con i giocatori.

Nel baseball, tuttavia, i rapporti fra giocatori e proprietari non erano mai stati particolarmente buoni. Dopo decenni di difficili contrattazioni su stipendi e contributi previdenziali, negli anni Ottanta avevano toccato probabilmente i minimi storici quando era emerso che i proprietari di alcune squadre avevano fatto cartello fra loro per emarginare i giocatori che cercavano di trasferirsi altrove con un contratto ancora in vigore. Quando il sindacato dei giocatori ne era venuto al corrente, ne era nato un caso che finì con il pagamento di 280 milioni di dollari in risarcimenti da parte delle squadre coinvolte.

Nel 1990 un precedente tentativo di introduzione di un tetto salariale aveva portato a uno sciopero dei giocatori che si era concluso nel giro di un mese, dopo che le parti si erano accordate per l’aumento del minimo salariale da 68mila a 100mila dollari e l’istituzione di una commissione di studio sulla distribuzione delle entrate in funzione di un futuro tetto salariale. La nuova proposta venne presentata quattro anni dopo, quando giocatori e proprietari si dovettero riunire per discutere i nuovi contratti collettivi. La proposta prevedeva l’introduzione di una struttura salariale più uniforme, che nelle previsioni dei proprietari avrebbe aumentato sia la competitività del campionato che gli stipendi medi da 1,2 milioni nel 1994 a circa 2,5 entro il 2001.

L’arbitrato salariale sarebbe stato quindi eliminato e gli stipendi dei giocatori sarebbero stati regolati dai limiti del tetto. L’altra importante novità avrebbe riguardato la cosiddetta free agency, la regola che permetteva ai giocatori di ricevere offerte da altre squadre da una certa data in poi dei loro contratti ancora in vigore. Con il nuovo regime la free agency sarebbe iniziata dopo quattro anni di contratto, e non più sei come in precedenza. I proprietari avrebbero però avuto la possibilità di trattenere i giocatori pareggiando la miglior offerta ricevuta.

(AP Photo/David J. Phillip)

Per il sindacato dei giocatori la proposta non avrebbe portato loro nessun beneficio, ma avrebbe aiutato soltanto i conti delle squadre. Nelle settimane di contrattazioni che seguirono, i proprietari si rifiutarono inoltre di illustrare nei dettagli la struttura del tetto salariale, cosa che fece inevitabilmente arrabbiare i giocatori. Non aiutò neanche il fatto che il commissario ad interim della lega, Bud Selig, fosse uno dei ventotto proprietari, peraltro nominato dopo la rimozione “forzata” del suo predecessore.

I contrasti fra le parti bloccarono le negoziazioni per oltre un mese, nonostante gli appelli di molte personalità influenti, su tutte quella del presidente Bill Clinton, che pregò di continuare le trattative per arrivare a una soluzione. Il 14 settembre, con il finale della stagione regolare ormai saltato, Selig fu costretto a cancellare il campionato, World Series comprese, per la prima volta dal 1904. Nel gennaio del 1995 i proprietari decisero di abbandonare il progetto del tetto salariale, ma riuscirono a peggiorare la situazione cercando di reclutare dei giocatori sostitutivi in vista della nuova stagione.

L’ultima mossa spinse il sindacato dei giocatori a presentare una causa nei confronti della lega per violazioni delle leggi sul lavoro. La causa venne presentata il 27 marzo: quattro giorni dopo l’attuale giudice della Corte Suprema, Sonia Sotomayor, all’epoca giudice del distretto meridionale dello stato di New York, emise un’ingiunzione preliminare nei confronti dei proprietari, impedendo loro di disputare la stagione 1995 con giocatori sostitutivi. L’ingiunzione fece desistere definitivamente i proprietari dalle loro intenzioni, e i giocatori revocarono lo sciopero. Secondo le stime calcolate nel corso degli anni, lo scioperò iniziato nel 1994 e concluso nel 1995 causò una perdita complessiva di 580 milioni di dollari per le squadre e di 230 milioni per i giocatori. La Major League impiegò oltre dieci anni per raggiungere una media spettatori vicina a quella registrata nelle prime partite del 1994.

– Leggi anche: L’inizio di un nuovo baseball