I sovietici e la Luna

Perché il programma lunare dell'Unione Sovietica raggiunse una serie di notevoli primati ma mancò il più importante

di Giacomo Delinavelli

Un'illustrazione mostra il lander LK, sviluppato dall'Unione Sovietica per portare cosmonauti sulla Luna. (Eberhard Marx)
Un'illustrazione mostra il lander LK, sviluppato dall'Unione Sovietica per portare cosmonauti sulla Luna. (Eberhard Marx)

In piena Guerra fredda, dal 1957 e per gran parte degli anni Sessanta, l’Unione Sovietica raggiunse una serie di primati nella corsa allo Spazio; il lancio del satellite Sputnik, i viaggi nello spazio del cane Laika, di Yuri Gagarin e Valentina Tereškova, impressionarono il mondo e scandirono il vantaggio sovietico nelle esplorazioni spaziali. Nel 1961, il presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, dichiarò al Congresso l’ambizione di voler mandare un uomo sulla Luna entro la fine del decennio. Almeno inizialmente, Kennedy provò a cooperare con il governo sovietico per raggiungere un traguardo che andava ben oltre le rivalità terrestri. Questi tentativi non andarono a buon fine e le due superpotenze iniziarono quindi la corsa per la Luna.

Il 3 agosto 1964 il programma lunare sovietico cominciò senza nessun annuncio pubblico, in piena coerenza con l’idea che un obiettivo potesse essere dichiarato solo dopo averlo raggiunto. Il governo sovietico indicò come obiettivo il 1967, così da celebrare il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre con un grande successo. Questa tempistica non teneva conto della necessità di sviluppare razzi più grandi e potenti su cui due o tre persone potessero viaggiare in relativa sicurezza. Per quanto già in quegli anni fossero note le ambizioni spaziali sovietiche, molte di queste informazioni puntuali sono pubbliche soltanto da qualche decennio: il programma lunare sovietico rimase infatti segreto fino al 1989, quando un’equipe di ingegneri statunitensi visitò alcuni magazzini russi in cui erano conservati dei reperti. L’anno seguente la Russia rimosse il segreto di stato sui documenti che riguardavano il proprio programma lunare, così da far emergere maggiori dettagli.

Il programma lunare sovietico fu diviso in due progetti separati e in competizione fra loro, a differenza di quello statunitense che era coordinato da un unico ente governativo, la NASA. I due progetti utilizzarono e svilupparono tecnologie diverse per obiettivi diversi: uno per viaggiare intorno alla Luna, l’altro per l’allunaggio.

Il programma per l’allunaggio era guidato dal leggendario Sergei Korolev, capo ingegnere sovietico e progettista dello Sputnik, il primo satellite artificiale della storia mandato nello Spazio. Korolev era anche responsabile dello sviluppo del razzo N1, alto circa centocinque metri e con un diametro di diciassette: all’incirca la stessa taglia del Saturn 5, il razzo che effettivamente portò l’equipaggio statunitense sulla Luna.
Nel 1966 Korolev morì improvvisamente per le complicazioni di un intervento chirurgico, e questo contribuì a rallentare l’avanzamento dei progetti; lo sviluppo del razzo N1 continuò, ma portando solo a clamorosi fallimenti. Dopo un primo tentativo di lancio fallito nel febbraio del 1969, il 3 luglio nella base di Baikonur in Kazakistan il razzo N1 – contenente circa 680.000 kg di kerosene e 1.780.000 kg di ossigeno liquido – esplose pochi secondi dopo il lancio, provocando una delle più grandi esplosioni non atomiche della storia. Ci furono altri due tentativi, entrambi falliti, nel 1971 e nel 1972, anno in cui il programma per l’allunaggio venne abbandonato.

Nel frattempo proseguì in parallelo il programma di viaggi spaziali senza presenza umana, “Zond”, inizialmente concepito per ottenere informazioni su Marte e Venere, che consentì ai sovietici di raggiungere altri due primati. Zond 3 fu il primo satellite a effettuare un giro completo intorno alla Luna e a scattare venticinque fotografie – più tre nel campo dei raggi ultravioletti – della superficie lunare, con un’ottima qualità. Con Zond 5, invece, per la prima volta i sovietici riuscirono a far atterrare una sonda intera e senza danni – un “soft landing”, in gergo – in seguito a un giro intorno alla Luna.

In totale, come riconosce anche la NASA, il programma lunare sovietico realizzò con successo venti missioni sulla Luna e raggiunse una serie di notevoli primati, mancando però il più importante: l’allunaggio. Gli storici e gli esperti che hanno studiato la storia dei tentativi sovietici di raggiungere la Luna per primi sostengono – come scrisse il fisico italiano Giovanni Bignami nel 2009 – che il motivo dei fallimenti si possa ricondurre alla competizione interna fra i vari programmi spaziali sovietici e al ritardo con cui decisero di dedicarsi esclusivamente alla Luna. Dall’altra parte, il successo statunitense viene ricondotto alle enormi risorse che l’amministrazione Johnson, nel frattempo succeduto a Kennedy, decise di dedicare a un unico programma, sviluppando così – fin dal principio, e in anticipo rispetto ai sovietici – specifiche tecnologie per raggiungere la Luna. Ci riuscirono il 21 luglio del 1969, circa otto anni dopo l’annuncio di Kennedy al Congresso.

Questo e gli altri articoli della sezione Come andammo sulla Luna sono un progetto del workshop di giornalismo 2019 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.

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