La Luna è un posto pericoloso in cui vivere

Perché a 50 anni dal primo allunaggio non abbiamo ancora colonizzato il nostro satellite naturale, e come potremmo farlo

di Shalini Morresi

(NASA)
(NASA)

Quando Neil Armstrong e Buzz Aldrin camminarono per la prima volta sul suolo lunare il 21 luglio del 1969 la colonizzazione della Luna e la possibilità di viverci stabilmente sembrarono ormai possibili. Invece, 50 anni dopo, la Luna continua a essere disabitata.

Recentemente il New York Times ha pubblicato un articolo che analizza i motivi per cui non siamo ancora riusciti a stabilirci sulla Luna, tra cui il fatto che sia un luogo inospitale e senza atmosfera, e i problemi pratici come la costruzione di una base lunare vera e propria con le sue infrastrutture.

Armstrong e Aldrin indossavano una tuta spaziale che li proteggeva dalle polveri lunari, dalla radiazione solare, dalle basse temperature e con un sistema per la circolazione dell’ossigeno e una riserva d’acqua. Senza la tuta non sarebbero sopravvissuti. Shannon Hall spiega sul New York Times come la polvere lunare – un elemento che può sembrare innocuo come la nostra sabbia – sia invece pericoloso: è composta di silicio e se colpisce a una velocità elevata può essere tagliente quanto il vetro. Lo dimostrarono le tute indossate dagli astronauti dell’Apollo 11 e delle successive missioni lunari, sulle quali furono trovati segni da piccoli impatti e graffi sulla visiera. Una lunga esposizione alla polvere lunare potrebbe inoltre aumentare il rischio di sviluppare malattie come bronchiti e tumori.


La superficie lunare non è neanche il luogo ideale per poter camminare: il terreno è sconnesso e accidentato, con piani inclinati che limitano la visuale degli astronauti e pochi riferimenti, che farebbero perdere loro l’orientamento. Il suolo lunare è inoltre soggetto a terremoti, di natura diversa da quelli terrestri, che comporterebbero ulteriori complicazioni nella costruzione di una o più basi lunari.

La carenza di sonno potrebbe essere un’altra complicazione per la sopravvivenza sulla Luna. Sulla Terra siamo abituati all’alternarsi della luce e del buio nel corso delle 24 ore, mentre sulla Luna il ciclo avviene ogni 28 giorni, cosa che genererebbe disturbi del sonno costanti e prolungati.

Sappiamo poi che la Luna è sprovvista di atmosfera vera e propria, e questo comporta una continua esposizione a radiazioni anche 200 volte più forti di quelle presenti sulla Terra, anche a causa dell’assenza di un campo magnetico protettivo come quello terrestre. Sarebbe forse l’ostacolo più difficile a cui far fronte per la costruzione di una base lunare: in assenza di adeguate protezioni, le radiazioni sarebbero talmente forti da generare mutazioni nel DNA con conseguenze per la salute a cominciare da un più alto rischio di sviluppare tumori.


La Luna è inoltre soggetta a frequenti tempeste di meteoriti: le attuali tute spaziali possono proteggere l’organismo da oggetti con un diametro di poco meno di un centimetro, mentre come riferisce il Dr. Scheuring, chirurgo di volo della NASA, le rocce con cui potrebbe scontrarsi il corpo umano potrebbero essere più grandi e viaggiare a velocità elevata.

Il suolo lunare (NASA)

Shannon conclude l’articolo spiegando come si potrebbe sfruttare il sottosuolo della Luna, con i suoi cunicoli dovuti all’antica attività vulcanica, per costruirvi una base lunare meglio protetta dagli agenti esterni. Si potrebbero impiegare anche habitat gonfiabili, più semplici da trasportare e allestire. Dovrebbero essere dotati di una camera stagna all’interno della quale gli astronauti si libererebbero della polvere lunare prima di entrare nella zona abitabile, rendendola così libera da potenziali scorie. L’habitat dovrebbe essere poi dotato di luci specifiche per far fronte al problema del sonno. Come saranno strutturati esattamente questi moduli non è ancora chiaro, ma si ipotizza che sfruttare i tunnel garantirebbe una maggiore protezione dalle radiazioni e da altri pericoli.

Questo e gli altri articoli della sezione Come andammo sulla Luna sono un progetto del workshop di giornalismo 2019 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.

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