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  • Domenica 7 aprile 2019

Una storia di omicidi, servizi segreti e sicari

Comincia quando tre anni fa in Ucraina viene ucciso un elettricista, apparentemente senza motivo

L'addestramento militare dei civili che vogliono combattere con una milizia pro-Ucraina contro separatisti filo-russi a Dnipro, nel 2014. (Brendan Hoffman/Getty Images)
L'addestramento militare dei civili che vogliono combattere con una milizia pro-Ucraina contro separatisti filo-russi a Dnipro, nel 2014. (Brendan Hoffman/Getty Images)

Il New York Times ha pubblicato una lunga inchiesta – scritta dal giornalista Michael Schwirtz – sull’omicidio di un uomo in Ucraina, apparentemente senza ragioni o moventi. La storia è invece molto più complicata: ha che fare con i servizi segreti russi, con il reclutamento di ex militari o ex criminali come “agenti informali” per portare a termine missioni ben precise, e con la guerra in Georgia del 2008.

Al centro dell’inchiesta di Schwirtz c’è l’autore dell’omicidio: Oleg Smorodinov, un uomo russo di 51 anni che si era trasferito nell’Ucraina orientale da adolescente e che nel 2014 aveva combattuto con i separatisti filo-russi nella guerra nella parte orientale del paese contro l’esercito ucraino. Schwirtz ha incontrato e intervistato Smorodinov in tre diverse occasioni, a due anni dall’omicidio che aveva commesso, mentre si trovava in una prigione di Rivne, nell’Ucraina occidentale, dove è tuttora in attesa della sentenza.

Nel 2016 Oleg Smorodinov era stato contattato da due uomini che aveva poi incontrato in un bar a Mosca, a pochi isolati dal quartier generale dell’FSB, il servizio segreto della Federazione Russa, erede del KGB sovietico. I due – che Smorodinov conosceva solo come Philipp e Maksim – gli avevano consegnato una lista con sei nomi, chiedendogli di localizzarli in Ucraina. Lui partì e lo fece, vantandosi poi con alcuni amici di essere diventato una spia. A ogni persona presente in quella lista era stato assegnato un nome in codice: uno era indicato come “rovo”, un altro come “ranuncolo” e l’obiettivo più importante, Ivan Mamchur, era chiamato “rosa”. Per Smorodinov, Mamchur era semplicemente un elettricista che lavorava nel carcere di Rivne, ma per i due uomini che aveva incontrato a Mosca era qualcuno di significativo.

Mamchur viveva al sesto piano di un edificio in via Vidinska, a Rivne, dove Smorodinov prese un piccolo appartamento in affitto per controllarne gli spostamenti. Mamchur aveva una vita molto regolare: alle 7 del mattino lasciava moglie e figlia, andava in bicicletta al lavoro e tornava ogni sera alle 18: «Come un orologio», ricorda Smorodinov. Poi, il 16 settembre 2016, Smorodinov ricevette un messaggio da Mosca: «La rosa deve essere raccolta oggi». Smorodinov si posizionò dunque nel corridoio fuori dall’appartamento di Mamchur: in una mano teneva una sigaretta e nell’altra una pistola dotata di un silenziatore. Quando Mamchur uscì dall’ascensore, Smorodinov lo chiamò per nome e gli sparò svuotando il caricatore. Tornato a Mosca, i suoi due contatti lo portarono fuori a cena e gli comprarono un furgone Mercedes, ma trattennero parte dei 5 mila dollari che gli avevano promesso come compenso perché Smorodinov aveva lasciato l’arma del delitto in Ucraina. Gli dissero comunque di non preoccuparsi, perché nessuno lo avrebbe mai preso: «A nessuno sarebbe mai importato di quell’omicidio». A quel tempo, Smorodinov non era sicuro del motivo per cui gli avevano chiesto di uccidere Ivan Mamchur, ma al giornalista del New York Times ha detto: «Era una vendetta».

Schwirtz scrive di aver incontrato per la prima volta Oleg Smorodinov lo scorso ottobre, durante il suo processo al Tribunale di Rivne in Ucraina. Era stato arrestato pochi mesi dopo l’omicidio, mentre tornava in Ucraina per fare una sorpresa a un’ex fidanzata. Schwirtz racconta che lo avvicinò in aula, scoprendo che Smorodinov «era sorprendentemente desideroso di parlare e mi invitò a incontrarlo dopo, in prigione». Il suo processo era in corso da settimane ma sembrava una formalità. La tesi dei pubblici ministeri ucraini era che Smorodinov fosse un sicario dei servizi segreti russi. Il suo DNA era stato trovato sull’arma del delitto e sui mozziconi di sigaretta raccolti sulla scena. «Tutti sembravano annoiati. La violenza è normale in Ucraina (…) Gli assassinii accadono abbastanza frequentemente e spesso si limitano a fare il giro dei notiziari locali».

Eppure va tenuto conto, precisa Schwirtz, che nel 2006 – poche settimane prima della morte per avvelenamento dell’ex spia russa Alexander Litvinenko, passato ai servizi segreti britannici – la Russia approvò una legge che autorizzava le autorità dell’FSB ad agire contro “estremisti” e “terroristi” all’estero. E che «i funzionari ucraini affermano che squadre di sicari russi operano liberamente all’interno del loro paese». Spesso, aggiunge Schwirtz, accanto agli agenti del GRU, il Direttorato Generale dell’Intelligence russa accusato di essere coinvolto nell’intervento in Ucraina del 2014 e in vari omicidi “politici” come quello di Sergei Skripal, operano dei non professionisti: «Ho imparato che se il Cremlino ti vuole morto, manda qualcuno come Oleg Smorodinov, qualcuno disposto a uccidere in cambio di qualche migliaio di dollari e di un furgone Mercedes».

Smorodinov non è mai stato, insomma, un agente dei servizi segreti: aveva prestato servizio nella marina sovietica e aveva lavorato per alcuni anni come ufficiale di polizia, ma ha dedicato gran parte della sua vita al crimine organizzato, scontando degli anni in prigione per corruzione ed estorsione. Un ex criminale che lo conosceva, Aleksandr Gatiyatullin, lo ha descritto come uno spaccone, disposto a correre seri rischi senza pensare troppo alle conseguenze. Alcune settimane prima dell’omicidio di Mamchur, Smorodinov aveva confidato a Gatiyatullin di essere entrato nell’FSB e di lavorare in Ucraina a una missione speciale: «Ci siamo messi a ridere. Nessuno lo ha mai preso sul serio», ha detto Gatiyatullin. «Poi c’è stato questo omicidio di Mamchur. Vedo che pubblica le foto di un furgoncino Mercedes e mi chiedo dove abbia preso i soldi. Penso che alcuni uomini dell’FSB lo abbiano chiamato per un incontro, hanno visto che era un idiota e hanno pensato di poterlo usare».

Il giorno in cui Smorodinov venne arrestato, il procuratore generale dell’Ucraina, Yuri V. Lutsenko, tenne una conferenza stampa parlando dell’omicidio come di un’ulteriore prova del fatto che l’Ucraina era «in stato di guerra». Ma i pubblici ministeri, scrive Schwirtz, sembravano molto poco interessati al motivo per cui Mamchur fosse diventato un bersaglio. Per i funzionari ucraini, la risposta sembrava ovvia: «Fa parte di una catena di crimini interconnessi, il cui scopo principale è destabilizzare il paese». Ma non era così semplice. Smorodinov aveva parlato di un elenco di sei nomi: erano tutti di persone ucraine, e il suo primo incarico era stato localizzarle. In prigione, Smorodinov ha consegnato a Schwirtz le password del suo computer, che era a Mosca a casa di un nipote che ha inviato i file via e-mail al giornalista del New York Times: tra i file c’era un documento nominato come “Elenco dei lavoratori” e conteneva i nomi di sei uomini che, tranne due, vivevano in città diverse.

Un investigatore della polizia ucraina ha detto al giornalista del New York Times di non aver mai visto quella lista e gli ha chiesto di consegnargliene una copia: «Non l’ho mai fatto», scrive Schwirtz. «Avevo dato per scontato che le persone della lista fossero in qualche modo legate al conflitto della Russia in Ucraina, che il Cremlino stesse cercando vendetta contro individui legati ai combattimenti. E mentre indagavo sui nomi, ho appreso che condividevano tutti un background militare. Ma c’è stata una sorpresa. Ciò che li univa non era il conflitto in Ucraina. Era invece una differente guerra russa».

Schwirtz ha scoperto che il legame tra i sei nomi della lista aveva a che fare con la guerra del 2008, quando la Georgia invase con le sue truppe l’Ossezia del Sud, una regione autonoma che confina a nord con la Russia. In quell’occasione, l’esercito della Federazione Russa rispose con un intervento militare rapidissimo e in cinque giorni sconfisse le truppe georgiane respingendole fino quasi alle porte della capitale Tbilisi. Il conflitto si concluse dunque con una vittoria schiacciante per il governo di Mosca, ma in qualche modo fu anche fonte di imbarazzo per i servizi segreti russi. Anni prima, infatti, l’Ucraina aveva segretamente venduto sofisticati sistemi antiaerei alla Georgia: «Per Putin, che aveva descritto i russi e gli ucraini come “un unico popolo”, fu un atto di alto tradimento»; proprio Putin, durante una conferenza stampa poco dopo la fine della guerra, promise di rintracciare le persone che dall’Ucraina gestirono quei fatti in Georgia («Non sappiamo chi abbia deciso di consegnare equipaggiamenti e armi dall’Ucraina durante il conflitto, ma chiunque sia stato, ha commesso un grave errore», disse).

A quel punto il Partito delle Regioni ucraino, allora all’opposizione e filo-russo, avviò un’indagine e pubblicò i nomi dei soldati ucraini che secondo loro erano stati coinvolti nel conflitto in Georgia. Uno di quei nomi, descritto nel rapporto come “partecipante ad azioni militari”, era sulla lista di Smorodinov. Lo stesso tipo di coinvolgimento risultavano avere altre due persone della lista. I funzionari ucraini hanno confermato che un quarto uomo della lista era in Georgia, senza fornire dettagli. Un quinto uomo ha confermato al New York Times che si trovava in Georgia, ma ha negato qualsiasi coinvolgimento nella guerra: «Fortunatamente, queste persone sono vive», ha detto Knyazev, il capo della polizia nazionale ucraina: «Almeno per ora». Mamchur era al terzo posto della lista, l’unico nome evidenziato in verde: «Inizialmente i funzionari ucraini erano riluttanti a dirmi che era stato in Georgia. Sua moglie si è rifiutata di parlare con me». Ma una persona che aveva avuto contatti con Mamchur nella prigione di Rivne, dove lavorava, ha detto che Mamchur parlava spesso del suo tempo trascorso in Georgia, elogiando l’efficienza dell’esercito georgiano. Alla fine, è arrivata dunque la conferma che anche Mamchur era in Georgia quando iniziò la guerra, come comandante nel terzo reggimento delle operazioni speciali dell’esercito ucraino, un contingente d’élite. «Ma hanno insistito sul fatto che né lui né nessun altro soldato ucraino avesse preso parte ai combattimenti».

Quasi sicuramente Smorodinov sarà riconosciuto colpevole dell’omicidio di Mamchur, conclude il New York Times. Spera però che la Russia dimostri qualche interesse per lui, cosa che finora non è accaduta. «Non capisce che nessuno ha bisogno di lui», ha detto Knyazev, il capo della polizia nazionale ucraina: «È stato dimenticato, cancellato, come un proiettile usato. Il nostro nemico, purtroppo, ha un sacco di gente come lui, di riserva».