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  • Lunedì 1 aprile 2019

Le mozioni alternative su Brexit sono state respinte, di nuovo

Il Parlamento britannico ha bocciato i diversi approcci all'uscita dall'UE proposti nei cosiddetti “voti indicativi”: e quindi siamo sempre allo stesso punto

Lunedì sera il Parlamento britannico ha respinto tutte e quattro le mozioni su Brexit che erano state presentate come alternativa all’accordo negoziato dal governo di Theresa May con l’Unione Europea, che tre giorni fa era stato bocciato per la terza volta dal Parlamento. Le mozioni non erano vincolanti, e quindi il governo non sarebbe stato obbligato a seguirle: ed erano per giunta già state respinte – insieme ad altre – appena cinque giorni fa. Da allora si sono spostati pochissimi voti, segno che le posizioni si sono ormai cristallizzate.

Anche se alcune sono state respinte per pochi voti, quella di oggi è stata quindi un’altra giornata inconcludente, che non ha chiarito la profonda confusione che si è creata intorno a Brexit. Il tutto a soli undici giorni dal termine per l’uscita dall’UE del Regno Unito, con o senza accordo, fissata per il 12 aprile.

Le mozioni erano state soprannominate “voti indicativi” e contenevano una serie di opzioni per uscire dall’Unione Europea in maniera diversa da quella prevista da May: delle molte proposte, lo speaker della Camera John Bercow ne aveva selezionate quattro. Ce n’era una che prevedeva una permanenza del Regno Unito nell’unione doganale dopo Brexit, un’altra che prevedeva una permanenza temporanea nel mercato unico, e un’altra ancora che chiedeva un secondo referendum per confermare le modalità di uscita dall’Unione.

Essendo state tutte bocciate, il governo May non dovrà gestire per ora le pressioni del Parlamento per usare un approccio diverso a quello adottato finora: approccio, quello di insistere con l’accordo faticosamente negoziato con l’Unione, che non sembra voler cambiare nonostante l’opposizione del Parlamento. Ma ora al governo tocca comunque fare il primo passo.

A May rimangono sostanzialmente due opzioni: potrebbe rimettere ai voti per la quarta volta il suo accordo, col rischio molto concreto di ottenere una nuova bocciatura; oppure chiedere una nuova proroga all’Unione Europea, accettando però di tenere le elezioni europee (eventualità finora sempre respinta dal governo britannico). Il tutto senza contare che nel caso di quarta bocciatura dell’accordo, la situazione tornerebbe al punto di partenza; e che un’eventuale proroga allontanerebbe lo scenario dell’uscita senza accordo ma non cambierebbe nulla dell’accordo negoziato con le autorità europee, che l’Unione non intende modificare. May potrebbe anche decidere di dimettersi o di convocare nuove elezioni, ma finora non è emerso nulla che vada in quella direzione.

A meno di colpi di scena lo scenario del “no deal”, cioè dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea senza accordo, sembra sempre più probabile e concreto, nonostante sia considerato catastrofico da molti. Alcuni giorni fa lo ha ammesso anche la Commissione Europea, sostenendo che dopo la terza bocciatura dell’accordo in Parlamento il “no deal” sia diventato «probabile». Secondo alcuni giornalisti, il governo May ha in programma di decidere i prossimi passaggi su Brexit in alcune riunioni fissate per domani.

Le quattro mozioni bocciate erano le seguenti.

• La prima, proposta dal Conservatore Ken Clarke, prevedeva che il Regno Unito negoziasse una permanenza completa nell’unione doganale europea dopo Brexit. Lo scorso mercoledì, aveva perso di soli sei voti: lunedì ha perso di 3 voti, 273 contro 276.

• La seconda, proposta dal Conservatore Nick Boles, chiedeva che il Regno Unito rimanesse nell’European Free Trade Association (Efta) e nell’unione economica europea: secondo questa mozione sarebbe rimasta nel mercato unico europeo e avrebbe mantenuto una forma di unione doganale finché non fosse stato negoziato un più ampio accordo commerciale che garantisse «il libero movimento della merce e un confine irlandese aperto». Ha perso di 21 voti, e Boles si è dimesso dal Partito Conservatore. Il leader dei Laburisti Jeremy Corbyn aveva chiesto ai suoi compagni di partito di sostenere in modo compatto la mozione.

• La terza, del deputato laburista Peter Kyle, chiedeva un nuovo referendum per confermare qualsiasi decisione definitiva presa su Brexit. Ha perso di 12 voti.

• La quarta, della deputata del Partito Nazionale Scozzese Joanna Cherry, chiedeva una proroga dell’articolo 50 all’Unione Europea e, se questo non fosse stato possibile, chiedeva che il Parlamento votasse tra il “no deal” e la revoca dell’articolo 50. Ha perso di 101 voti.