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  • Mercoledì 20 febbraio 2019

Dov’è la figlia di Jo Song-gil?

La storia del "rimpatrio forzato" della figlia minorenne dell'ex ambasciatore nordcoreano a Roma, che aveva disertato a novembre: sembra che sia stata riportata in Corea del Nord

(ANSA/ANGELO CARCONI)
(ANSA/ANGELO CARCONI)

Durante una conferenza stampa tenuta lunedì a Seul, in Corea del Sud, l’ex diplomatico nordcoreano Thae Yong-ho ha dato una notizia rilevante e inaspettata sul caso di Jo Song-gil, l’ex ambasciatore “reggente” nordcoreano in Italia che lo scorso novembre disertò sparendo nel nulla. Secondo Thae, la figlia 17enne di Jo non sarebbe riuscita a scappare insieme ai genitori: sarebbe stata immediatamente localizzata dalle autorità nordcoreane e riportata forzatamente in Corea del Nord, dove ora potrebbe subire ritorsioni e violenze per la diserzione del padre. Thae ha detto di averlo saputo da alcune sue fonti in Corea del Nord. La notizia del rientro in patria della ragazza è stata confermata dal ministero degli Esteri italiano, che però ha dato una versione diversa da quella raccontata da Thae.

Nonostante siano passati diversi mesi dalla diserzione di Jo Song-gil, l’intera faccenda rimane ancora oggi molto oscura: non si sa dove siano Jo e sua moglie, se abbiano chiesto asilo politico a un paese terzo, o se si siano messi in contatto con il governo sudcoreano in cerca di aiuto. Non si sa nemmeno cosa sappia di tutta questa storia il governo italiano, che non ha mai chiarito l’accaduto o definito responsabilità particolari nonostante la storia lo riguardi da vicino.

Della diserzione di Jo, 48 anni, si era parlato per la prima volta a inizio gennaio: era stata anticipata dal quotidiano sudcoreano JoonAng Ilbo e poi confermata dall’intelligence della Corea del Sud. Diversi dettagli sulle attività di Jo a Roma erano stati dati da Thae Yong-ho, la stessa persona che ha parlato del “rimpatrio forzato” della figlia dell’ex ambasciatore. Thae, che nel 2016 scappò in Corea del Sud lasciando il suo incarico di viceambasciatore nordcoreano a Londra, aveva raccontato che Jo era responsabile del trasferimento di beni di lusso che passavano dall’Italia e che erano diretti in Corea del Nord; aveva aggiunto che poteva essere in possesso di informazioni relative ai piani nucleari nordcoreani.

Jo era diventato ambasciatore “reggente” a Roma nell’ottobre 2017, dopo che il governo italiano aveva espulso l’allora ambasciatore nordcoreano Mun Jong-nam come ritorsione per un test nucleare compiuto dalla Corea del Nord e che aveva violato una risoluzione ONU. Dallo scorso novembre, comunque, di lui non si sa più nulla. Anche sull’ultimo sviluppo – il presunto “rimpatrio forzato” della figlia di Jo – non ci sono certezze.

Mercoledì il sottosegretario italiano agli Affari Esteri, Manlio di Stefano (M5S), ha commentato molto duramente la vicenda, paragonando il caso di Jo a quello di Alma Shalabayeva e della figlia Alua, 6 anni, entrambe cittadine del Kazakistan che nel giugno 2013 furono espulse dall’Italia in maniera frettolosa e poco corretta, operazione per cui fu accusato soprattutto l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano. Di Stefano ha chiesto al governo – implicitamente al ministero dell’Interno, controllato dalla Lega – di chiarire la vicenda e ha aggiunto che «chi ha responsabilità pagherà».

Poco dopo il ministero degli Esteri ha diffuso un comunicato chiarendo la sua posizione e dando una versione dell’accaduto diversa da quella fornita da Thae Yong-ho. Ha sostenuto di avere ricevuto il 5 dicembre scorso una nota dall’ambasciata nordcoreana a Roma nella quale si comunicava che la figlia di Jo aveva chiesto di tornare in Corea del Nord dai nonni; la ragazza aveva fatto ritorno il 14 novembre, accompagnata «da personale femminile dell’ambasciata». Il ministero degli Esteri non ha spiegato come mai abbia permesso alle autorità nordcoreane di riportare la figlia di Jo in Corea del Nord, nonostante sia minorenne e considerate le ritorsioni e violenze che potrebbe subire per la diserzione del padre. Per il momento non ci sono stati commenti ufficiali né del ministro dell’Interno Matteo Salvini né dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte.