Il caso Shalabayeva, dall’inizio

I fatti, la versione del governo, le cose che non si sanno e le ultime novità

Italian Premier Enrico Letta sits in between Interior Minister Angelino Alfano left, and Foreign Minister Emma Bonino during a vote of confidence to confirm the government, in the lower house of Parliament, in Rome, Monday, April 29, 2013. Letta's new government is under pressure to draft economic and social reforms, including measures to get Italians back to work. (AP Photo/Andrew Medichini)
Italian Premier Enrico Letta sits in between Interior Minister Angelino Alfano left, and Foreign Minister Emma Bonino during a vote of confidence to confirm the government, in the lower house of Parliament, in Rome, Monday, April 29, 2013. Letta's new government is under pressure to draft economic and social reforms, including measures to get Italians back to work. (AP Photo/Andrew Medichini)

Più di un mese fa Alma Shalabayeva e la figlia Alua di 6 anni, entrambe cittadine del Kazakistan, sono state espulse dall’Italia in maniera alquanto frettolosa e molto poco corretta. La storia è piuttosto complicata ed è da qualche giorno sulle prime pagine di quasi tutti i principali quotidiani, con nuovi dettagli e editoriali molto critici su come è stata gestita la vicenda dal governo.

I fatti
Tra il 28 e il 29 maggio scorso Alma Shalabayeva, moglie del politico e banchiere kazako Mukhtar Ablyazov, è stata arrestata in una villa a Casal Palocco, nella periferia di Roma, da circa 50 agenti di polizia e portata al CIE (centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria, a Roma. Gli agenti stavano cercando il marito, che oltre ad essere stato un ex ministro del Kazakistan accanto all’attuale presidente Nursultan Nazarbayev e poi all’opposizione, è oggetto di un mandato di cattura internazionale e di un processo nell’Alta Corte di Londra per delle vicende legate a quando si trovava ancora in Kazakistan. Al momento non è chiaro dove si trovi Ablyazov, che dopo essere diventato un oppositore del regime autoritario e repressivo di Nazarbayev è stato dieci mesi in carcere in Kazakistan dove sostiene di essere stato torturato.

Il 30 maggio la prefettura di Roma ha firmato un decreto di espulsione affermando che Shalabayeva fosse entrata illegalmente in Italia. Il 31 maggio madre e figlia sono state imbarcate su un aereo noleggiato dal governo kazako e su cui era presente almeno un diplomatico kazako. Dal loro arrivo in Kazakistan, si trovano agli arresti domiciliari nella città di Almaty.

Ma il 5 luglio il tribunale di Roma ha stabilito che il presupposto con cui era stata giustificata l’espulsione – cioè un passaporto diplomatico della Repubblica Centroafricana in possesso della donna e considerato falso – non sussisteva. La storia – che era stata brevemente trattata dai giornali italiani a fine maggio – è stata raccontata allora dal quotidiano Financial Times, e poi dalla Stampa in Italia: da allora è diventata il caso politico da prima pagina che è oggi.

Lo scorso venerdì 12 luglio il governo italiano aveva fatto sapere con un comunicato stampa che l’espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia era stata annullata: il motivo della decisione sarebbe stata la scoperta di alcuni nuovi documenti acquisiti quando i legali della famiglia di Ablyazov hanno presentato ricorso contro l’espulsione. Nel comunicato non è specificato quando questo ricorso sarebbe stato presentato né la natura precisa di questi documenti, che hanno spinto il governo a decidere  di «riesaminare i presupposti alla base del provvedimento di espulsione pur convalidato dall’autorità giudiziaria». Molto probabilmente riguardano il passaporto di Shalabayeva.

L’irruzione e l’espulsione
Nei giorni seguenti all’irruzione e all’espulsione, sui giornali sono stati pubblicati diversi nuovi dettagli su quello che è accaduto. Secondo il Corriere, il 28 maggio l’Interpol ha segnalato alla polizia di Roma la presenza di Ablyazov, il marito di Shalabayeva, in una casa nella periferia di Roma e lo ha definito “armato e pericoloso”, e per questo motivo la polizia sarebbe intervenuta con circa 50 agenti.

Nella casa non c’era Ablyazov, ma soltanto la moglie insieme alla figlia e ad altri familiari. Sempre secondo il Corriere, durante l’irruzione Shalabayeva ha dichiarato di godere dell’immunità diplomatica. Per verificarlo, la polizia ha allora inviato un fax all’ufficio del Cerimoniale al ministero degli Esteri, che ha risposto negativamente. Shalabyeva aveva con sé un passaporto della Repubblica Centrafricana che le prime perizie ritennero falso, mentre il tribunale di Roma ha poi stabilito che era autentico: finora non sono state date spiegazioni sul perché avesse un passaporto di una nazione africana.

Il Fatto Quotidiano ha pubblicato ieri alcuni estratti di quelli che chiama i “diari di Alma Shalabayeva”, una traduzione libera di un testo in cui Shalabayeva descrive i giorni della sua espulsione, pubblicata dal Financial Times. Nella ricostruzione, Shalabayeva descrive l’irruzione nella sua casa e racconta di essere stata trattata in modo molto rude e aggressivo.

Non è stato chiarito perché l’aereo per il rientro in Kazakistan non fosse un volo di linea con la presenza di una scorta di poliziotti, come avviene di solito in questi casi. L’aereo invece è stato messo subito a disposizione dall’ambasciata kazaka: la procedura è piuttosto anomala.

Il governo
Secondo quanto si è saputo dopo, le maggiori autorità italiane non erano a conoscenza dell’operazione, o almeno così hanno dichiarato: non sapevano nulla il presidente del Consiglio, Enrico Letta, il ministro degli Esteri, Emma Bonino, il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, né Angelino Alfano, ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio. Le posizioni e la versione del governo italiano le conosciamo attraverso le parole di Enrico Letta che il 10 luglio ha risposto alle domande sul caso durante il question time alla Camera, e dal comunicato del governo del 12 luglio.

In esso si sostiene che le procedure formali per il provvedimento sono state rispettate e che questa correttezza era stata confermata pochi giorni dopo l’espulsione anche dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, che il 5 giugno aveva definito “perfette” le procedure seguite. Cancellieri disse di essersi informata “subito” sul fatto, pare però di capire ad espulsione avvenuta. Il governo sembra sottintendere che tutta la vicenda sia stata gestita in autonomia dalla Questura di Roma, ma restano grandissimi dubbi su chi abbia preso l’iniziativa e su quale ruolo abbiano avuto le autorità kazake nella precipitazione dell’operazione.

Secondo i giornali
Repubblica e il Corriere hanno pubblicato domenica due ricostruzioni di Carlo Bonini e Fiorenza Sarzanini che contraddicono la tesi ufficiale del governo. Entrambi i giornali sostengono di aver parlato con diversi membri del gabinetto e “dell’entourage” del ministro dell’Interno Alfano. Repubblica dice anche di aver esaminato dei documenti interni e le relazioni della polizia scritte pochi giorni dopo l’espulsione, e ha pubblicato una lista in cui riassume in 10 punti le molte cose da chiarire sul caso.

Secondo queste ricostruzioni il 28 maggio, il giorno prima dell’irruzione della DIGOS nella casa di Shalabayeva, c’è stato un incontro tra il capo di gabinetto del ministro Alfano, Giuseppe Procaccini, e l’ambasciatore del Kazakistan in Italia, dopo che questi aveva provato ad ottenere un appuntamento con lo stesso Alfano. L’ambasciatore avrebbe fatto pressioni per fare arrestare Ablyazov, che secondo lui si trovava a Roma in quel momento.

Repubblica, che riporta più dettagli sull’incontro, sostiene che i due diplomatici abbiano mostrato a Procaccini e ad altri funzionari di polizia le prove, raccolte da un’agenzia investigativa di nome “Syra”, che Ablyazov si trovasse in un’abitazione alla periferia di Roma. I due giornali concordano che Ablyazov venne definito “armato e pericoloso” – uno dei motivi per cui l’irruzione venne compiuta da ben 50 agenti.

Le ricostruzioni dei giornali si discostano leggermente sui vari funzionari che hanno partecipato all’incontro e sui loro ruoli nell’organizzare l’irruzione. Entrambi scrivono che dopo aver ricevuto i due diplomatici kazaki, il capo di gabinetto Procaccini ha passato la pratica alla polizia che avrebbe dovuto occuparsi di arrestare Ablyazov. Le fonti dei due giornali affermano che Procaccini non avvertì Alfano dell’incontro e del suo contenuto – anche se non spiegano perché, visto che stando al loro racconto, i diplomatici kazaki avevano inizialmente chiesto di incontrare proprio il ministro.

Il fax al ministero degli Esteri
Un altro aspetto della vicenda di cui si era parlato e che resta poco chiaro è quello del fax inviato dalla polizia al ministero degli Esteri poco dopo l’irruzione a casa di Shalabayeva. Durante l’arresto, secondo alcune ricostruzioni, Shalabayava ha dichiarato di godere dell’immunità diplomatica. Per verificarlo, la polizia ha inviato un fax all’ufficio del Cerimoniale del ministero degli Esteri, che ha risposto negativamente. L’esistenza di questo fax avrebbe reso impossibile sostenere la tesi che il ministero degli Esteri non fosse a conoscenza dell’espulsione. Le fonti del ministero hanno confermato l’esistenza del fax, ma hanno anche precisato che era impossibile fare un collegamento con Ablyazov partendo da una richiesta in cui si usava il nome della moglie da nubile.

L’indagine
Al momento è in corso un’indagine interna da parte del capo della polizia Alessandro Pansa e questa settimana il ministro Alfano dovrà riferire in Parlamento sul caso. Il dossier dovrà ricostruire la vicenda per capire come sia stato possibile che i vertici della polizia si siano attivati in un’operazione così complessa per arrestare Mukhtar Ablyamov e per espellere la moglie senza che il ministro Alfano ne fosse informato.

Le persone con le quali Pansa dovrà riesaminare i fatti sono: Alessandro Marangoni, che per più di un mese dopo la morte di Antonio Manganelli ha svolto le funzioni di capo della polizia; Renato Cortese, capo della Squadra Mobile di Roma che con Fulvio della Rocca, questore di Roma, ha incontrato i diplomatici kazaki prima che si decidesse l’irruzione nella villa di Casal Palocco; Maurizio Improta, capo dell’ufficio immigrazione della Questura di Roma che il 30 maggio ha ricevuto la pratica sull’espulsione di Alma; Giuseppe Pecoraro, prefetto di Roma che ha materialmente firmato il provvedimento di espulsione; Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del Viminale che il 28 maggio ha ricevuto l’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov, il quale gli ha riferito della presenza di Ablyazov a Roma.

Nazarbaev in Sardegna
Sui principali quotidiani di oggi si cita il fatto che durante i giorni dell’arresto e dell’espulsione di Alma e Alua Shalabayeva il presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbaev fosse in vacanza in Sardegna, a sud di Olbia, in una villa del comprensorio H2O, «di proprietà di un uomo da sempre vicino a Silvio Berlusconi, il commercialista milanese Ezio Maria Simonelli. Studio in centro a Milano, una lenzuolata di cariche alla Bocconi, ma soprattutto nelle società del gruppo Fininvest (è anche nel collegio sindacale della Mondadori)».

Oggi, l’Unione sarda, citando «pochi testimoni che hanno chiesto l’assoluta garanzia di non rivelare i loro nomi» ha pubblicato in esclusiva la notizia che sabato 6 luglio Silvio Berlusconi avrebbe incontrato Nursultan Nazarbayev durante la sua vacanza per una cena.

L’Italia e il Kazakistan
Il Kazakistan è uno stato dell’ex Unione Sovietica che si affaccia sul Mar Caspio. Nel dicembre del 1991 dichiarò la sua indipendenza e da allora, l’uomo politico che ha occupato la scena è Nursultan Nazarbayev, attuale presidente, che nel 2007 ha ottenuto in Parlamento la possibilità di candidarsi per un numero illimitato di mandati. La principale ricchezza del paese sono le risorse minerarie di gas, petrolio, carbone e uranio. Gli interessi dell’Italia in Kazakistan e le intense relazioni commerciali tra i due paesi sono proprio legate a questi giacimenti. L’Italia è uno dei principali investitori del mondo in Kazakistan dopo Usa, Olanda e Gran Bretagna. Il maggior interesse italiano nel paese è la partecipazione del 20 per cento di Eni nello sfruttamento del grande giacimento di gas nel Mar Caspio, ma ci sono almeno una cinquantina di altre grandi e medie imprese che lavorano nell’indotto: ferrovie, strade, sviluppo immobiliare.