Dieci cose dal libro di Renzi

Quella che è già diventata la battuta più famosa, la storia del modellino di aereo nel suo nuovo ufficio e i tentativi di autocritica (non riuscitissimi)

Oggi esce Un’altra strada – Idee per un’Italia di domani, il nuovo libro dell’ex presidente del Consiglio ed ex segretario del PD Matteo Renzi. Qui trovate un’anticipazione del libro, in cui Renzi parla della sua proposta di creare una commissione parlamentare per indagare sulle “fake news”. Qui sotto invece abbiamo raccolto altre dieci cose che (se siete appassionati del genere) potreste trovare interessanti.

La battuta più famosa del libro
C’è già ed è questa: «Salvini che diffonde le foto delle sue cene è un’aspirante webstar, è una Chiara Ferragni che non ce l’ha fatta». Anche se forse, visti i suoi notevoli successi politici degli ultimi anni, è piuttosto una Chiara Ferragni che, come l’originale, ce l’ha fatta.

Dieci estratti per dieci giornali
La campagna di promozione del libro è stata massiccia, in particolare sui giornali. Dieci quotidiani hanno avuto dieci estratti differenti del libro, ognuno scelto appositamente in linea con lo stile del quotidiano in questione. Al cattolico Avvenire, per esempio, è stato fornito un brano in cui Renzi parla della sua fede cattolica e del suo dispiacere per non aver portato avanti a sufficienza il tema delle radici “giudaico-cristiane dell’Europa”. Il Giornale ha pubblicato un estratto in cui Renzi critica le norme sul lavoro volute dall’attuale governo e che non piacciono agli imprenditori, sul Fatto Quotidiano un brano in cui Renzi parla di ipotesi di complotto ai suoi danni a proposito del caso Consip. Il New York Times ha raccontato del passaggio del libro in cui Renzi racconta di aver chiamato Vladimir Putin per chiedergli di far rettificare un articolo pubblicato dal sito di Russia Today.

Ce ne sono otto in tutto
Un’altra strada è l’ottavo libro scritto da Matteo Renzi. Il precedente – Avanti. Perché l’Italia non si ferma – era stato pubblicato nel 2017. Prima, nel 2013, Renzi aveva scritto Oltre la rottamazione e prima ancora, nel 2011, Fuori!, il libro dove teorizzava la rottamazione. Il suo primo libro è forse anche il meno conosciuto: si intitola Ma le giubbe rosse non uccisero Aldo Moro. La politica spiegata a mio fratello e lo scrisse insieme a Lapo Pistelli, a lungo deputato prima del Partito Popolare e poi della Margherita di cui Renzi fu assistente parlamentare – molti lo considerano il suo padre politico.

Il modellino dell’Air Force Renzi
In un capitolo Renzi racconta di aver sistemato all’ingresso del suo ufficio in Senato un modellino dell’aereo di stato Airbus che fece acquistare in leasing all’inizio del suo mandato:

I visitatori che entrano nel mio ufficio in Senato rimangono stupiti nel vedere il modellino di un aereo di Stato della repubblica italiana che è impossibile non notare sulla mia scrivania. Ebbene sì, in bella vista c’è, in miniatura, il celeberrimo Air Force Renzi. Indovino i loro pensieri: questo non sta bene, tiene esposto in primo piano il simbolo della polemica che più di tutte lo ha reso antipatico a molti italiani. Ritengo che davanti alle menzogne, alle bugie, alle fake news lo stile debba essere sempre il solito: mantenersi ironici, garbati e sorridenti. Anche se spesso non è facile.

Renzi farà altre due serie TV (almeno)
Nel libro Renzi parla molto di sé, ma poco e in termini vaghi di cosa intenda fare in futuro. Su una cosa però è chiaro: considera un successo la sua esperienza televisiva con la miniserie documentario “Firenze secondo me” (nonostante gli ascolti piuttosto deludenti). Racconta di essersi divertito e di essere onorato per l’opportunità di raccontare la sua città e annuncia: «Compatibilmente con gli impegni parlamentari, desidero continuare a raccontare la bellezza in televisione e nei prossimi anni mi dedicherò a due nuove serie. Una sull’Italia del volontariato, dell’associazionismo, del terzo settore».

Trentasette volte Firenze
A proposito di Firenze, il capoluogo toscano ricorre 37 volte nel libro, Roma 42, Milano 19. Il PD compare 42 volte e 60 volte compare la parola “sinistra”. Compare una volta lo storico sindaco DC di Firenze Giorgio La Pira, così come compare una volta Antonio Gramsci (che però viene citato solo per il suo sostegno all’insegnamento del greco e latino al liceo). Tra i leader politici internazionali, Donald Trump la fa da padrone con 18 menzioni, Obama lo segue con 15, mentre il terzo posto è condiviso a parimerito da Merkel e Macron con 10 menzioni.

Autocritica e dove trovarla
Una delle critiche fatte più di frequente a Renzi è non riuscire ad ammettere gli errori e non essere in grado di cambiare strada se il percorso già avviato si rivela sbagliato. Per questo c’era un po’ di attesa per come Renzi avrebbe scelto di affrontare un argomento per lui particolarmente spinoso: la sconfitta del 4 marzo, quando il PD da lui guidato ha ottenuto il peggior risultato nella storia del centrosinistra italiano.

«Sono stato dipinto spesso come un uomo non avvezzo a fare autocritica, una sorta di Arthur Fonzarelli di Happy Days, incapace di proferire le parole “mi sono sbagliato”», scrive Renzi in una delle numerosi parti del libro dedicate alla sconfitta del 4 marzo. La risposta che fornisce, però, non è diversa rispetto a quella che dava nel libro precedente (quando le sconfitte da spiegare erano quelle del referendum costituzionale e di numerose elezioni locali). Il problema, scrive Renzi, non è stato aver attuato politiche sbagliate, ma non averle sapute spiegare. Il suo governo, scrive, ha rappresentato «una stagione di riforme senza eguali nella storia repubblicana», ma purtroppo «il percorso di cambiamento che abbiamo attuato è decisamente migliore di come lo abbiamo comunicato». Questo, e non altri, «è stato l’errore più grande».

Si continuare a vincere al centro
Per quanto riguarda la visione politica complessiva, Renzi è rimasto fedele alle sue idee di un tempo: le elezioni, scrive, si vincono «al centro», non andando a sinistra. Il suo modello è ancora la “terza via” indicata dall’ex premier britannico Tony Blair che su sicurezza, welfare, tutele sul lavoro e ruolo dello stato e dei sindacati spostò a destra il Partito Laburista. Secondo Renzi, «Non si vince sfondando il muro della sinistra, si vince al centro», mentre invece: «Non vincerà mai la linea dei Mélenchon, di Corbyn o di Sanders». Anzi, secondo Renzi il PD è già andato troppo a sinistra e questa è una ragione che avrebbe contribuito alla sconfitta del 4 marzo: «Abbiamo perso nel 2018 rincorrendo e vagheggiando una coalizione a sinistra che non aveva alcuna possibilità di successo».

I salari bassi sono colpa del passaggio all’euro
O meglio: di chi lo gestì (cioè il secondo governo Berlusconi). «Il gap salariale è il tema dei prossimi anni», scrive Renzi, ma nel dibattito sulle ragioni dell’arresto nella crescita dei salari reali non si schiera con quei politici ed economisti che danno la colpa all’indebolimento dei sindacati, alla diminuzione delle tutele o alla disoccupazione endemica. Secondo Renzi, invece «troppa gente non arriva a fine mese» perché «strozzata da un ventennio da un cambio lira/euro sbagliato e dalla mancata vigilanza del governo di allora che non fu capace di gestire un passaggio delicatissimo».

La spinosa questione del deficit
Un’altra spinosa questione che Renzi ha dovuto affrontare è quella del deficit. L’attuale governo è stato fortemente criticato dal PD e dai sostenitori di Renzi lo scorso autunno per la sua intenzione di portare il deficit al 2,4 per cento del PIL (poi abbassato al 2 per cento in seguito a un accordo con la Commissione europea). Ma nel suo libro precedente Renzi aveva promesso che se avesse vinto le elezioni avrebbe portato il deficit al 2,9 per cento del PIL per cinque anni consecutivi. Oggi si trova quindi costretto a usare una certa dose di prudenza sul tema. Non cita percentuali specifiche, ma ammette la possibilità di alzare il deficit rispetto alle richieste europee se servisse a «tagliare le tasse alla classe media».