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  • Martedì 11 dicembre 2018

È finita la tregua tra il governo socialista spagnolo e la Catalogna

Dopo mesi di relativa tranquillità, è bastato poco – un paio di episodi e una dichiarazione controversa – per creare di nuovo grandi tensioni

Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, a sinistra, e il presidente catalano Quim Torra (ANDREU DALMAU/AFP/Getty Images)
Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, a sinistra, e il presidente catalano Quim Torra (ANDREU DALMAU/AFP/Getty Images)

Negli ultimi giorni, e dopo mesi di relativa tranquillità, i rapporti tra il governo spagnolo guidato dal socialista Pedro Sánchez e il governo catalano guidato dall’indipendentista Quim Torra sono diventati molto tesi. Gli episodi che hanno fatto precipitare la situazione sono stati due, ma per capire la situazione bisogna guardare anche ai sorprendenti risultati elettorali della scorsa settimana nella comunità autonoma dell’Andalusia, dove il Partito socialista (PSOE) al governo ha perso moltissimi voti, secondo alcuni anche per l’atteggiamento troppo “morbido” adottato verso l’indipendentismo catalano.

I problemi tra i due governi sono iniziati questo fine settimana, quando i Comités de Defensa de la República (CDR), comitati indipendentisti catalani responsabili di molte azioni di protesta, hanno bloccato un’importante autostrada spagnola, la AP-7, senza incontrare la resistenza dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana. Il governo catalano ha detto di avere negoziato con gli attivisti dei CDR e di avere voluto evitare un nuovo scontro tra indipendentisti e polizia, simile a quelli avvenuti il 6 dicembre nelle città catalane di Girona e Terrassa. Diversi però hanno interpretato la decisione dei Mossos di non intervenire come una scelta del governo indipendentista catalano di proteggere i CDR, anche imponendo alla polizia locale regole distanti dal normale protocollo. Il governo catalano ha smentito questa ricostruzione, sostenendo che i Mossos abbiano sempre agito seguendo criteri tecnici e di polizia, «mai criteri politici».

La situazione è diventata ancora più tesa dopo che il presidente catalano Torra, considerato appartenente all’ala più radicale dell’indipendentismo, ha annunciato diversi cambi ai vertici dei Mossos proprio a causa degli scontri del 6 dicembre tra polizia catalana e attivisti dei CDR. La minaccia, che comunque lo stesso governo catalano si è poi rimangiato, ha provocato nuove tensioni tra i capi dei Mossos e i vertici politici del governo indipendentista, e ha agitato parecchio gli animi del governo socialista spagnolo guidato da Sánchez.

Torra non si è limitato solo a questo. Sabato scorso, mentre era in visita a Bruxelles dove si è incontrato tra gli altri con l’ex presidente catalano Carles Puigdemont, Torra ha detto che la Catalogna dovrebbe seguire la “via slovena” per raggiungere l’indipendenza. Parlare della “via slovena” significa ammettere un possibile uso della violenza: opzione che finora l’indipendentismo catalano ha sempre escluso. Dopo le sue dichiarazioni, Torra è stato accusato dagli anti-indipendentisti di incitare alla violenza; è stato anche ripreso da alcuni politici della sua stessa parte politica che hanno ricordato che la via da perseguire è quella “scozzese”, basata cioè su un referendum concordato con il governo centrale di Madrid.

In risposta a questi due episodi, il governo Sánchez ha reagito in maniera dura, come mai prima da quando è entrato in carica lo scorso giugno.

Il governo spagnolo ha mandato tre diverse lettere a quello catalano, chiedendo spiegazioni in particolare sull’inazione dei Mossos durante le proteste dei CDR di questo fine settimana. Ha inoltre comunicato a Torra e ai suoi ministri che se non sarà garantita la sicurezza nella regione, il governo centrale manderà la Polizia nazionale in Catalogna, che a differenza dei Mossos non risponde al governo catalano ma a quello spagnolo. Sánchez è preoccupato soprattutto per quello che potrebbe succedere il prossimo 21 dicembre, quando a Barcellona, la principale città catalana, si terrà un inusuale Consiglio dei ministri del governo spagnolo, deciso prima dell’inizio della crisi. I CDR hanno già chiesto uno sciopero generale e stanno preparando proteste in diverse città della Catalogna: hanno detto di voler bloccare la frontiera con la Francia, le principali autostrade catalane, e il porto e l’aeroporto di Barcellona. Il governo di Torra, che vede di buon occhio l’azione dei CDR, ha fatto sapere che “proteggerà” il diritto dei manifestanti di protestare. Un’altra manifestazione sarà convocata dall’Assemblea nazionale catalana, principale organizzazione indipendentista della Catalogna il cui leader, Jordi Sánchez, si trova in prigione dallo scorso anno insieme ad altri politici indipendentisti con le accuse di ribellione e sedizione.

Secondo alcuni osservatori, Sánchez avrebbe alzato i toni contro il governo catalano non solo per gli eventi degli ultimi giorni, che comunque hanno provocato molte tensioni e preoccupazioni, ma anche per i disastrosi risultati del PSOE alle elezioni in Andalusia.

Nonostante si sia confermato primo partito, il PSOE in Andalusia ha perso 14 seggi e moltissimi voti: quasi sicuramente non sarà in grado di formare un nuovo governo, per la prima volta in 36 anni. Il risultato è stato considerato una sconfitta, ma non si è ancora fatta chiarezza sulle responsabilità del fallimento. Secondo i sostenitori di Sánchez, le colpe sarebbero da attribuire alla leader del PSOE in Andalusia, Susana Díaz, che oltre a essere la presidente uscente della regione è anche la principale rivale di Sánchez nel partito. Secondo il cosiddetto susanismo, il movimento dei sostenitori di Díaz, il PSOE andaluso avrebbe pagato la posizione di Sánchez sull’indipendentismo catalano, definita dalle destre troppo “morbida”. In generale il PSOE ha faticato molto a trovare una propria posizione politica all’interno della crisi in Catalogna, entrando spesso in conflitto con la sua sezione catalana e perdendo molti consensi. In diversi credono che la dura risposta di Sánchez di fronte alle tensioni dei giorni scorsi sia stata in un certo senso necessaria al PSOE per mostrare di poter essere intransigente e recuperare i consensi perduti.

Per il momento, nonostante i mezzi passi indietro del governo catalano, la situazione rimane molto confusa. Il campo indipendentista, ha scritto il giornalista Arturo Puente sul Diario, «è orfano di una visione condivisa sull’indipendenza» e mostra sempre più confusione strategica e divisioni interne. L’intransigenza di Torra e l’azione dei CDR sembrano inoltre potere agitare di parecchio il governo spagnolo, che sembra più disposto oggi rispetto a qualche mese fa a prendere misure decise e dure contro l’indipendentismo. Nel frattempo sia il governo catalano che quello spagnolo si stanno preparando per il 21 dicembre, il giorno del Consiglio dei ministri spagnolo a Barcellona, che ci si aspetta sarà pieno di nuove proteste e scontri tra polizia e indipendentisti.