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  • Sabato 1 dicembre 2018

Il Messico ha un nuovo presidente, di sinistra

Si insedia ufficialmente Andrés Manuel López Obrador, che ha stravinto le elezioni ma è già accusato di aver disatteso alcune promesse della campagna elettorale

Andrés Manuel López Obrador a Città del Messico, 20 novembre 2017 (AP Photo/Marco Ugarte)
Andrés Manuel López Obrador a Città del Messico, 20 novembre 2017 (AP Photo/Marco Ugarte)

Il primo dicembre Andrés Manuel López Obrador, conosciuto anche con la sigla “AMLO”, si insedierà come nuovo presidente e capo di governo del Messico, dopo avere ottenuto più del doppio dei voti del suo rivale alle elezioni dello scorso luglio. Il nuovo Congresso si è invece insediato all’inizio di settembre: il partito di López Obrador ha la maggioranza sia alla Camera che al Senato.

López Obrador è un populista di sinistra, è stato sindaco di Città del Messico ed è il leader del Movimento di rigenerazione nazionale (che in Messico chiamano con l’acronimo “MORENA”), un partito che ha fondato nel 2011 e che è incentrato attorno alla sua persona. Ha 64 anni e ai suoi elettori ha promesso la fine della corruzione, la riduzione della violenza, della povertà e della disuguaglianza. Ha detto di voler incoraggiare l’economia nelle comunità rurali, di voler raddoppiare le pensioni e mettere Internet gratis nelle scuole di tutto il Messico. Ha insomma fatto grandi promesse, ma tra gli osservatori ci sono molte perplessità sulla possibilità di ottenere risultati significativi in tempi brevi, e per diversi motivi.

Ancor prima di insediarsi, López Obrador ha già aperto cinque fronti problematici: con la pubblica amministrazione, che pretende di ridimensionare con una netta riduzione dei salari dei dipendenti; con gli investitori, che hanno paura dei segnali contraddittori che il presidente sta lanciando; con coloro che immaginavano che il nuovo governo sarebbe stato un alleato nella lotta contro l’impunità e la corruzione; con coloro che avevano effettivamente creduto che i militari sarebbero finalmente «tornati nelle caserme» (ci arriviamo). E infine, con i poteri locali che non guardano con favore la tendenza accentratrice che il nuovo presidente sta già dimostrando. A tutto questo va aggiunta la questione delle carovane dei migranti che sono arrivati o che stanno arrivando al confine tra Messico e Stati Uniti.

López Obrador ha ottenuto una vittoria molto larga, e ha creato grandi speranze di cambiamento a breve termine. Il 63 per cento dei messicani, per esempio, ritiene che sarà in grado di risolvere il problema della corruzione; il 70 per cento prevede che la sua presidenza porterà riduzione della povertà e miglioramenti nell’economia. López Obrador dovrebbe insomma fare molto e subito, per soddisfare le aspettative: e d’altra parte è quello che ha promesso. Già prima del suo insediamento, però, si sono visti segnali di difficoltà e indizi che mettono in discussione gli impegni presi. Alcune sue recenti decisioni e dichiarazioni gli sono costate un calo di popolarità pari a 9 punti percentuali in tre mesi, secondo alcune fonti: c’è già chi parla di “tradimento” e chi dice che López Obrador ha vinto con la sinistra ma che governerà con la destra.

Il problema del finanziamenti e dei mercati
Per ottenere i consensi degli industriali e in generale dei settori economici del paese, in campagna elettorale López Obrador aveva promesso di non intervenire con una riforma fiscale durante i suoi primi tre anni di mandato. Questo impegno avrà però notevoli conseguenze. Il Messico è uno dei paesi dell’America Latina che ottiene meno introiti dalle tasse, in relazione al PIL, e senza uno strumento per ottenere una raccolta progressiva delle imposte sarà difficile per il nuovo presidente attuare la sua ambiziosa proposta di investimenti pubblici e programmi sociali.

López Obrador ha scelto due ministri al Tesoro e all’Economia che godono di una buona reputazione negli ambienti economici e finanziari del paese, e che sono noti per la loro prudenza. Ma resta una grande incognita: quanta influenza e quanto margine di intervento si riserverà di avere, nel loro lavoro, lo stesso López Obrador, che per ora non ha trasmesso né fiducia né prudenza.

I lavori di costruzione del nuovo aeroporto internazionale a Città del Messico, voluto dal governo uscente ma criticato dal nuovo presidente del paese Andrés Manuel López Obrador, 6 novembre 2018 (PEDRO PARDO/AFP/Getty Images)

Ancor prima dell’insediamento, López Obrador è riuscito infatti a mettere in crisi i mercati finanziari alimentando un clima di forte incertezza: per esempio organizzando una consultazione popolare contro la costruzione già avviata di un nuovo aeroporto internazionale a Città del Messico, voluto dal governo uscente. La consultazione è stata vinta dai contrari al progetto, tra cui López Obrador, che però non ha ancora chiarito quali saranno le conseguenze, anche economiche, del blocco del progetto. Gli imprenditori, gli investitori e i mercati hanno dunque già mostrato di essere preoccupati dai messaggi confusi che il nuovo presidente ha lanciato durante i cinque mesi di transizione dalla vittoria all’insediamento. La Banca centrale del Messico ha riconosciuto che l’incertezza che circonda le decisioni del prossimo governo sta condizionando il futuro dell’economia del paese, e ha abbassato le previsioni di crescita del paese per il 2019.

La militarizzazione del paese
Il Messico è la seconda più grande economia dell’America Latina ed è un grosso esportatore di petrolio, ma la situazione economica risente molto della diffusa corruzione e della forza della criminalità organizzata: è stato calcolato che nel 2017 in Messico siano state uccise più di 25 mila persone, il più alto numero di omicidi da quando viene tenuto il conto, cioè dal 1997. Ci sono zone dove i cartelli della droga hanno più potere delle forze dell’ordine o dove la corruzione è così alta che la polizia locale è collusa con la criminalità organizzata. E negli ultimi anni la lotta alla criminalità organizzata è stata affrontata con una repressione militare che ha causato oltre 200 mila morti e 37 mila dispersi.

Durante la campagna elettorale, López Obrador aveva promesso che avrebbe pacificato il paese seguendo una nuova strategia per affrontare la criminalità organizzata: togliendo i militari dalle strade e rimandandoli «nelle caserme». Qualche giorno fa, però, i deputati del suo partito hanno proposto di continuare a tenere i soldati in prima linea e di creare anzi – dopo una necessaria riforma costituzionale – una Guardia Nazionale per unire polizia militare, marina e polizia federale sotto un unico comando: militare. La Guardia Nazionale risponderà direttamente al presidente e sarà guidata dal ministero della Difesa. Di recente però la Corte suprema del paese ha definito incostituzionale una precedente legge sulla sicurezza, proprio a causa dell’impiego di militari in compiti di polizia interna. López Obrador ha assicurato che ci saranno delle differenze, ma non è ancora chiaro quali saranno.

Un manifestante con la divisa da militare e una maschera da teschio per protestare contro le violazioni dei diritti umani commesse dall’esercito, Città del Messico, 14 dicembre 2017 (YURI CORTEZ/AFP/Getty Images)

I critici di López Obrador lo hanno subito accusato di voler applicare lo stesso metodo miope dei suoi predecessori. L’ex presidente Felipe Calderón aveva schierato per la prima volta i soldati contro i cartelli della droga nel dicembre del 2006, sostenendo che si sarebbe trattato di un provvedimento temporaneo, valido fino a quando cioè le forze di polizia non sarebbero state pronte a svolgere quel compito. Da allora, però, non è cambiato niente. «Il piano di sicurezza di AMLO è lo stesso di Calderón e del presidente uscente Enrique Peña Nieto: ma con gli steroidi. Più soldati, meno controlli civili; più soldati, meno polizia», ha scritto su Twitter la professoressa di Scienze Politiche Denise Dresser citata dal Guardian.

I sondaggi mostrano che le forze armate messicane sono l’istituzione verso cui i cittadini hanno più fiducia, ma sono anche state più volte accusate di violazioni dei diritti umani e uccisioni extragiudiziali. Diverse organizzazioni civili hanno fatto sapere che l’istituzione di questa nuova forza militare sancirà definitivamente la “militarizzazione” del Messico.

Il problema della corruzione
Un ridimensionamento delle aspettative di cambiamento radicale promesse da López Obrador sembra essere arrivato anche sul fronte della corruzione. Durante la campagna elettorale López Obrador aveva insistito moltissimo su questo tema, concentrandosi soprattutto sulla classe politica. Aveva anche promesso che il suo primo disegno di legge al Congresso avrebbe modificato un articolo nella Costituzione che impedisce ai presidenti messicani di essere processati per corruzione. Qualche giorno fa, però, López Obrador ha fatto una dichiarazione che ha lasciato osservatori ed elettori molto perplessi: ha detto che offrirà la grazia a chi è stato accusato di corruzione negli anni precedenti all’inizio del suo mandato. «La vendetta non è il mio punto di forza, e non penso che sia un bene che il paese si impantani nella caccia a coloro che sono accusati di corruzione».

Non è ancora chiaro che cosa intenda fare il nuovo presidente, ma questa svolta è stata molto criticata: un’organizzazione che in Messico si occupa di corruzione e impunità ha fatto sapere che le dichiarazioni del presidente sono «nella migliore delle ipotesi un’amnistia, e nel peggiore dei casi un patto di impunità concordato con il governo uscente».

La liberalizzazione della marijuana
López Obrador aveva promesso importanti cambiamenti nell’approccio del paese alla “guerra alla droga”, e su questo punto le promesse non sembrano essere state smentite. Olga Sánchez Cordero – che è stata scelta dal nuovo presidente come ministra dell’Interno – ha infatti dichiarato che il proibizionismo ha alimentato la violenza e la povertà: «Oggi abbiamo deciso di cambiare. Non vogliamo più morti». Cordero ha proposto un disegno di legge per liberalizzare il consumo e la commercializzazione di marijuana: consentirebbe a ogni messicano di coltivare fino a 20 piante e di produrre 480 grammi all’anno.

Un soldato messicano distrugge una piantagione di marijuana a Tecate, 28 agosto 2018 (GUILLERMO ARIAS/AFP/Getty Images)

Ci sarà comunque un problema, dicono gli analisti. Sebbene il Movimento di rigenerazione nazionale abbia la maggioranza in entrambe le camere del Congresso, ha bisogno del sostegno di altri partiti per raggiungere una maggioranza qualificata e far approvare le leggi. Tra gli alleati di López Obrador c’è un partito conservatore che non sembra essere molto favorevole alla liberalizzazione della marijuana. Questo disegno di legge potrebbe dunque incontrare degli ostacoli e diventare un punto critico nella relazione con gli alleati.

Infine, la questione migranti
Una delle prime questioni che López Obrador dovrà affrontare è quella delle migliaia di migranti provenienti dall’America Centrale, che sono già arrivati o che stanno per arrivare al confine tra Messico e Stati Uniti. Il presidente statunitense Donald Trump ha ordinato il loro respingimento e ha chiesto che le domande di asilo vengano compilate su territorio messicano, in modo che a nessuno venga permesso l’ingresso negli Stati Uniti prima di un eventuale accoglimento della richiesta. Questo potrebbe però costringere migliaia di persone a vivere in rifugi temporanei in Messico: per mesi, forse per anni. I funzionari messicani dicono che è già in corso un’emergenza umanitaria, e che questa porterà in breve tempo a una crisi politica per López Obrador.

López Obrador, che ha costruito la sua intera carriera politica sulla difesa dei poveri, dovrà prendere una decisione fondamentale per il suo futuro: difenderà i deboli e bisognosi di fronte a Trump o si arrenderà alle richieste del presidente degli Stati Uniti e all’imperativo economico di avere buoni rapporti con lui? «Il governo messicano è in un vicolo cieco», ha detto al New York Times Raúl Benítez Manaut, professore di Relazioni internazionali a Città del Messico.

Due migranti a Tijuana, 23 novembre 2018 (PEDRO PARDO/AFP/Getty Images)

Finora il ministro degli Esteri designato, Marcelo Ebrard, ha preso tempo: «In questo momento siamo solo spettatori», ha detto. Ma è circolata anche l’idea di avviare un programma di sostegno economico per impiegare in alcuni grandi cantieri nel sud del paese le migliaia di persone che continuano ad arrivare e che non possono entrare negli Stati Uniti.