Il decreto sicurezza, spiegato

Il provvedimento voluto da Matteo Salvini è stato approvato in via definitiva: secondo i critici, aumenterà molto il numero di stranieri irregolari in Italia

(ANSA/GIUSEPPE LAMI)
(ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Mercoledì la Camera ha approvato in via definitiva il cosiddetto “decreto sicurezza“, il provvedimento fortemente voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che restringe le possibilità di accoglienza degli stranieri e introduce una serie di nuove norme sulla sicurezza. Il testo, su cui era stata posta la fiducia, è molto controverso e ha attirato le critiche anche di diversi senatori e deputati della maggioranza appartenenti al Movimento 5 Stelle.

Salvini però sostiene che il decreto migliorerà la sicurezza dei cittadini e renderà più efficace la gestione dell’immigrazione. Molti altri invece sostengono che sia incostituzionale, che avrà effetti controproducenti, che farà aumentare il numero di stranieri che si trovano in situazioni di irregolarità nel nostro paese e che avrà effetti opposti a quelli promessi.

Nuove norme sull’immigrazione
Il decreto mette insieme quelli che inizialmente dovevano essere due testi separati: il decreto sicurezza e il decreto immigrazione, riunificati in un unico decreto (il “decreto sicurezza” o “decreto Salvini” su cui si è votata martedì la fiducia) così da renderne più agevole l’approvazione e la conversione in legge.

La parte del decreto che ha suscitato maggiori discussioni è quella sull’immigrazione, che è anche la più corposa. L’elenco di disposizioni è molto lungo (qui trovate un riassunto fatto da Internazionale), ma le norme vanno tutte più o meno nello stesso senso: rendere più difficile ai richiedenti asilo restare in Italia, più facile togliere loro lo status di protezione internazionale, in particolare se hanno commesso reati e infine risparmiare sulla gestione della loro presenza in Italia, anche a costo di peggiorarne le condizioni di vita.

Il punto principale del decreto è la cancellazione dei permessi di soggiorno umanitari, una delle tre forme di protezione che potevano essere accordate ai richiedenti asilo (insieme all’asilo politico vero e proprio e alla protezione sussidiaria). La protezione umanitaria, come veniva spesso chiamata, durava per due anni e dava accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare. Al suo posto il decreto introduce una serie di permessi speciali (per protezione sociale, per ragioni di salute, per calamità naturale nel paese d’origine), della durata massima di un anno.

Il decreto aumenta il tempo massimo nel quale gli stranieri possono essere “trattenuti” (cioè obbligati a rimanere) nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) da 90 a 180 giorni. Per effettuare più rapidamente i rimpatri, il decreto stabilisce anche un moderato incremento di fondi: 3,5 milioni di euro in tre anni. Calcolando che un rimpatrio costa, a seconda delle stime, tra i 4 e i 10 mila euro in media, significa che queste risorse aggiuntive permetteranno al massimo di effettuare 875 rimpatri in più nell’arco di tre anni.

Viene poi allungata la lista dei reati che comportano il ritiro della protezione internazionale (come ad esempio omicidio o gravi reati di droga) che dall’approvazione del decreto è passata a includere anche minaccia o violenza a pubblico ufficiale, lesioni personali gravi e gravissime, pratiche di mutilazione dei genitali femminili, furto aggravato, furto in abitazione e furto con strappo. Inoltre, lo status di protezione internazionale viene ritirato se il rifugiato ritorna, anche temporaneamente, nel suo paese d’origine.

Un’altra parte molto criticata del decreto è quella che depotenzia il sistema SPRAR, l’accoglienza diffusa (come spesso viene chiamata) gestita dai comuni che serve a fornire ai richiedenti asilo corsi di lingue e altri percorsi di integrazione. Il sistema sarà limitato a coloro che hanno visto accogliere la loro domanda di protezione internazionale, non potranno più invece prendervi parte coloro che sono ancora richiedenti. Questi ultimi saranno quindi trasferiti nei centri di accoglienza ordinari, dove attenderanno le decisioni sulle loro domande senza svolgere particolari attività o corsi.

Viene infine introdotta la possibilità di revocare la cittadinanza italiana per le persone che sono ritenute un pericolo per lo stato. La Corte Costituzionale, però, considera la cittadinanza tra i diritti inviolabili e questa disposizione rischia di essere considerata incostituzionale.

Gli effetti del decreto
Il decreto è stato molto criticato da giuristi, esperti di immigrazione e organizzazioni non governative (il sito Valigia Blu ha messo insieme una rassegna dei principali interventi). Le critiche si concentrano su tre aspetti. Il primo è l’accusa di incostituzionalità del decreto stesso (che non soddisferebbe i requisiti di omogeneità e urgenza necessari per tutti i decreti legge) e di alcune sue parti (la più a rischio sembra essere la possibilità di revoca della cittadinanza).

Altre critiche riguardano il forte ridimensionamento del sistema SPRAR a favore della concentrazione dei richiedenti asilo in grandi strutture che offrono soltanto servizi essenziali (come i CARA) e che il sindaco di Riace Mimmo Lucano ha definito «nuovi ghetti». Anche il presidente dell’Anci, il sindaco di Bari Antonio Decaro, ha definito la norma «un passo indietro», mentre Claudia Lodesani, presidente di Medici Senza Frontiere Italia ha detto che questa parte del decreto renderà «l’integrazione praticamente impossibile».

Il terzo punto molto criticato è l’elevato rischio che il decreto moltiplichi il numero di stranieri che si trovano in maniera irregolare nel nostro paese e che quindi non possono avere un lavoro regolare o ricevere prestazioni sociali e che per questo sono incentivati a dedicarsi ad attività illegali. Numerose disposizioni del decreto rischiano di contribuire all’aumento degli irregolari, ma la principale è l’eliminazione della protezione umanitaria che fino ad oggi era stata assegnata a circa metà dei richiedenti asilo che hanno visto accogliere positivamente la propria domanda.

Secondo le stime realizzate dal centro studi ISPI, il solo effetto del decreto è che produrrà 60 mila residenti irregolari aggiuntivi da qui al 2020, sui circa 600 mila che si stima siano già presenti nel territorio italiano, un incremento del 10 per cento.

Nuove norme sulla sicurezza
Il decreto si occupa anche di introdurre una serie di nuove norme in materia di sicurezza che vanno più o meno tutte nel senso di aumentare i poteri a sindaci, prefetti e questori in materia di decoro urbano e tutela dell’ordine pubblico. Ad esempio, il decreto ampia il cosiddetto “DASPO urbano”, che permette a sindaco e prefetto di multare e allontanare da alcune zone della città persone che mettono a rischio la salute dei cittadini o il decoro urbano. Il decreto aggiunge alle aree a cui si può proibire l’accesso anche i mercati e include nella lista di chi può subire il DASPO anche i “sospettati di terrorismo internazionale”.

Il decreto introduce poi il reato di “blocco stradale” (quello di chi blocca una strada o i binari del treno, per esempio), che era stato in passato degradato a illecito amministrativo, mentre vengono aumentate le pene per chi entra abusivamente in terreni o edifici. Viene inoltre riorganizzata l’agenzia per la gestione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. L’acquistodegli immobili e delle società viene aperto anche ai privati (una decisione molto criticata dalle associazioni antimafia secondo cui così si faciliterebbe il riacquisto dei beni sequestrati da parte dei mafiosi).

Per cercare di prevenire attentati tramite l’utilizzo di veicoli commerciali, come i furgoncini, il decreto stabilisce che i noleggiatori devono far avere i dati di coloro che decidono di noleggiare uno di questi veicoli con “congruo anticipo” alle autorità di polizia, che provvederanno a eseguire dei controlli sulle loro identità (nella speranza che il sospetto terrorista abbia noleggiato il furgone utilizzando le generalità con le quali è conosciuto alle forze di polizia). Infine la sperimentazione con pistole a scariche elettriche (chiamate comunemente “Taser”) viene estesa anche alle forze di polizia municipale di città con almeno 100 mila abitanti.