Non è facile coinvolgere i poeti nel cinema

L'hanno raccontato quelli che hanno collaborato con “Lontano da qui”, per il quale a un'autrice è stato chiesto di peggiorare i suoi versi

Per realizzare il film Lontano da qui, nel quale Maggie Gyllenhaal interpreta una insegnante d’asilo con problemi psicologici e velleità letterarie, gli sceneggiatori e produttori hanno coinvolto la poetessa statunitense Dominique Townsend. Avevano bisogno infatti di qualche verso da attribuire alla protagonista, e si sono rivolti a lei perché vecchia amica di Gyllenhaal. La prima poesia consegnata da Townsend però aveva un problema: era troppo complessa, con troppi significati, insomma era troppo bella per poter essere credibilmente attribuita al personaggio del film.

La produzione del film voleva qualcosa che trasmettesse la mediocrità della poesia della protagonista, e gli rimandarono indietro i versi con la richiesta di peggiorarli: Townsend ha raccontato di essersi messa al lavoro, ma di averlo trovato un compito molto difficile. Vedersi rifiutata una poesia perché troppo bella è probabilmente un’esperienza lusinghiera, ma peggiorare i propri versi per adattarli a un livello più basso «è stato un processo strano», ha spiegato Townsend al New York Times. «Era tipo: “ci piace il tuo lavoro, ma puoi scrivere per questa donna che sta morendo dentro e si sente soffocata ed è un’autrice scarsa?” Era una strana consegna da ricevere, scrivere un brutto haiku sui fiori».

Alla fine Townsend ha riscritto la poesia, che a un certo punto del film la protagonista Lisa legge al marito. «Un giardino da sogno fiorisce, rosa, iris, floghi, ma qui? Un croco bianco buca il cemento». Nel film il marito la apprezza, ma Lisa spiega che invece gli altri l’hanno definita «derivativa». Nelle critiche cinematografiche al film, che è stato acquistato da Netflix negli Stati Uniti e che in Italia uscirà invece al cinema il 13 dicembre, la scrittura della protagonista è stata effettivamente definita secondo le intenzioni: mediocre. Townsend dice che non ha preso seriamente le critiche, perché ha prestato la penna a una voce non sua, ma che in qualche modo si è sentita «a disagio».

Trovare una poetessa disposta a peggiorare le proprie poesie non è stata l’unica complessità di fare un film con dentro la poesia. La trama ruota intorno a un bambino di 5 anni che è un prodigio della poesia, e che viene scoperto dalla protagonista: c’era quindi bisogno di trovare qualcuno capace di scrivere poesie belle e piene di idee e potenziale, ma che in qualche modo potessero risultare plausibili in bocca a un bambino di 5 anni. Per questo la produzione ha chiesto a Ocean Vuong e Kaveh Akbar, due giovani poeti statunitensi di origini vietnamite e iraniane: “giovani”, ma pur sempre trentenni. «Ho dovuto togliere un sacco di subordinate e scrivere più periodi indipendenti, messi insieme con la paratassi. Ho dovuto spostare la complessità dalla sintassi alle immagini», ha raccontato Vuong. Una poesia del film, per esempio, fa:

Il toro rimase lì da solo
Nel cortile. Così buio.
Aprii la porta e uscii fuori.
Vento tra le fronde.
Mi guardò, occhi blu.
Continuò a respirare per sopravvivere.
Non lo volevo. Ero solo un bambino.
Di’ sì,
Di’ sì lo stesso.

Akbar ha raccontato che scrivere poesie per il personaggio di un film è strano, ma non è poi così diverso da lavorare su commissione o dall’avere dei vincoli formali, condizione invece molto comune a chi scrive per mestiere: «È stato un po’ come lavorare su una struttura prestabilita, come un sonetto o una villanelle».