Il peggior anno in cui essere vivi

Nel 536 non ci fu l'estate in Europa e in buona parte dell'Asia, con un gran freddo che si protrasse per quasi un decennio

Una cupola geodetica impiegata nei pressi della Punta Gnifetti dai ricercatori per il prelievo dei campioni di ghiaccio (NICOLE SPAULDING/CCI FROM C. P. LOVELUCK ET AL., ANTIQUITY)
Una cupola geodetica impiegata nei pressi della Punta Gnifetti dai ricercatori per il prelievo dei campioni di ghiaccio (NICOLE SPAULDING/CCI FROM C. P. LOVELUCK ET AL., ANTIQUITY)

Il 536 non fu un grande anno, soprattutto per gli europei e gli asiatici. Una fitta nebbia oscurò per mesi il Sole, facendolo apparire luminoso quanto la Luna, almeno secondo le cronache del tempo. L’estate fu gelida: la prima di un decennio che sarebbe diventato il più freddo degli ultimi 2.300 anni. I cinesi videro cadere la neve nell’estate del 536, le coltivazioni resero pochissimo e milioni di persone dovettero fare i conti con una grave carestia. In molte regioni europee iniziò a scarseggiare il pane, con carenze alimentari che si protrassero per anni. Cinque anni dopo, nel 541, la peste bubbonica si diffuse dall’Egitto all’Impero Bizantino, causando la morte di oltre 25 milioni di persone.

A distanza di quasi 15 secoli, non sappiamo ancora di preciso che cosa causò il repentino cambiamento climatico iniziato nel 536, ma una nuova ricerca da poco pubblicata sulla rivista Antiquity offre nuovi elementi a conferma della teoria più condivisa su cosa accadde nel 536, “il peggior anno in cui essere in vita” nella storia, secondo il medievalista Michael McCormick, tra gli autori della nuova ricerca.

Storici e ricercatori sanno da tempo che il 536 fu un anno particolarmente difficile della nostra storia, grazie alle cronache dell’epoca e ai registri dove furono annotate le informazioni sullo stravolgimento delle stagioni. I primi studi più articolati sulla vicenda risalgono agli anni Novanta, quando furono analizzati gli anelli di accrescimento di alcuni alberi secolari per comprendere come la loro crescita fosse stata condizionata dai cambiamenti del clima. Queste analisi fornirono elementi a conferma del freddo anomalo, ma non offrirono molti altri indizi per indagarne con precisione le cause.

Le cose cambiarono circa tre anni fa con la pubblicazione di uno studio basato sull’analisi di campioni di ghiaccio prelevati in Groenlandia e Antartide. Quando le sostanze disperse in atmosfera precipitano al suolo, si depositano sul ghiaccio e vengono poi ricoperte da altri strati di ghiaccio nelle stagioni successive. Prelevando campioni in profondità, lunghi cilindri di ghiaccio di svariate decine di metri, si possono studiare queste stratificazioni e ricostruire le condizioni dell’atmosfera nei periodi storici che si stanno studiando.

Gli autori di quella ricerca confrontarono i loro dati con quelli ottenuti datando gli anelli di accrescimento degli alberi. In questo modo notarono che quasi tutte le estati insolitamente fredde degli ultimi 2.500 anni furono causate da grandi eruzioni vulcaniche, che spinsero nell’atmosfera polveri ed elementi in grado di oscurare il cielo e impedire ai raggi solari di raggiungere il suolo. Nel loro studio, ipotizzarono che il freddo anomalo del 536 fosse stato causato da una grande eruzione, avvenuta forse nel Nordamerica nel 535 e seguita da una nuova eruzione nel 540, che rallentò il recupero delle normali stagioni.

Partendo dai risultati delle ricerche precedenti, ora un gruppo di ricercatori dell’Università del Maine (Stati Uniti) ha trovato nuovi indizi analizzando un campione di ghiaccio prelevato nel 2013 nei pressi della Punta Gnifetti, una delle cime più alte del massiccio del Monte Rosa sul confine tra Italia e Svizzera. Questo enorme ghiacciolo è lungo quasi 72 metri e contiene al suo interno una miriade di informazioni su più di 2mila anni di cambiamenti ed evoluzioni dell’atmosfera nel cuore dell’Europa.

Utilizzando una nuova tecnica di analisi molto raffinata, che prevede l’impiego di un laser che “affetta” porzioni sottilissime di ghiaccio, corrispondenti a poche settimane di un dato periodo storico, i ricercatori hanno potuto identificare i periodi in cui le eruzioni vulcaniche portarono a un grande inquinamento dell’aria. Nelle fette di ghiaccio risalenti al 536, sono state trovate tracce di materiale vulcanico compatibili con quelle trovate altrove, sia in Europa sia in Groenlandia e che a loro volta erano state ricollegate a rocce vulcaniche provenienti dall’Islanda. Secondo la ricerca, è molto probabile che le particelle trovate in Svizzera arrivarono dall’Islanda e che quindi fu una grande eruzione islandese a causare il freddo del 536 e degli anni seguenti.

I ricercatori ipotizzano che polveri e gas dell’eruzione furono trasportati verso sud-est sull’Europa, e successivamente in Asia. Per avere ulteriori conferme saranno però necessarie analisi di altri campioni, da prelevare in altre zone dell’Europa e dell’Islanda.

La nuova ricerca è stata accolta con grande interesse non solo dagli esperti di clima, ma anche dagli storici, perché potrebbe contribuire a offrire nuove prospettive nell’analisi storica di un periodo molto particolare delle vicende medievali. Anche la tecnica di analisi del campione di ghiaccio, molto precisa e migliorata, è ritenuta promettente per avere informazioni più precise su determinati periodi storici. Altre analisi del campione, per esempio, hanno permesso di rilevare un aumento del piombo in atmosfera intorno al 640, frutto della lavorazione dell’argento e indizio di un’economia che si stava riprendendo dopo decenni molto difficili. Il grande ghiacciolo svizzero svela però qualche altro inciampo nella storia, confermando il crollo dell’economia tra il 1349 e il 1353, quando la peste nera causò la morte di almeno un terzo di tutta la popolazione del continente europeo.