I laboratori del Gran Sasso sono nei guai

Un'inchiesta della procura di Teramo su alcune perdite di sostanze pericolose potrebbe fermare uno dei centri di ricerca di fisica più importanti al mondo

Una vista della parte esterna degli edifici dei Laboratori del Gran Sasso (INFN)
Una vista della parte esterna degli edifici dei Laboratori del Gran Sasso (INFN)

I Laboratori Nazionali del Gran Sasso, una delle più grandi e importanti strutture di ricerca per la fisica nucleare e lo studio della fisica delle particelle, sono finiti nel mezzo di un’inchiesta giudiziaria che potrebbe rallentare (se non compromettere) alcuni dei loro esperimenti più importanti. La vicenda è legata a una serie di perdite nei sistemi dei laboratori, che secondo la procura di Teramo avrebbero portato al rilascio di sostanze tossiche e inquinanti nelle falde acquifere della zona. La procura ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini a inizio settimana, e ha iscritto nel registro degli indagati 10 persone compresi alcuni responsabili dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).

Collocati all’interno del Gran Sasso, il massiccio montuoso più alto dell’Appennino centrale in Abruzzo, i laboratori comprendono tre enormi ambienti scavati nella montagna, nelle vicinanze dell’autostrada che collega Teramo con L’Aquila. Lo strato di roccia spesso 1.400 metri è la soluzione ideale per schermare interferenze di vario tipo, rendendo possibili ricerche molto complesse e delicate sulle particelle subatomiche, la materia oscura e la rivelazione dei neutrini. Per alcuni di questi esperimenti sono utilizzate grandi vasche con acqua e altri composti chimici, che servono per schermare ulteriormente le interferenze e osservare particolari fenomeni fisici. Benché i laboratori applichino da sempre tutte le misure necessarie – e previste dalla legge – per evitare contaminazioni, gruppi ambientalisti della zona contestano la presenza del centro di ricerca e le sue attività.

Il lavoro di ricerca al Gran Sasso prosegue dalla fine degli anni Ottanta: nel 2002 sono iniziate le contestazioni a livello locale in seguito all’imprevisto rilascio nell’ambiente di 50 litri di pseudocumene, un composto usato dall’esperimento Borexino per la ricerca sui neutrini. Lo pseudocumene è piuttosto diffuso, viene utilizzato per esempio per la produzione di coloranti e profumi, non è classificato come cancerogeno e a basse concentrazioni non è particolarmente pericoloso. Il composto finì nelle acque di un torrente della zona, la magistratura mise sotto sequestro l’ambiente di lavoro di Borexino e di fatto rese necessaria la chiusura di altri esperimenti. Intervenne anche il governo, con la nomina di un commissario per assicurarsi che fossero migliorati gli standard di sicurezza al Gran Sasso.

La nuova inchiesta contiene accuse di “negligenza e imprudenza” nella gestione dei laboratori e delle loro attività, a partire almeno dal 2002. Tra gli accusati ci sono alcuni responsabili dei Laboratori del Gran Sasso, compreso il loro direttore, Stefano Ragazzi, e il presidente dell’INFN, Fernando Ferroni.

I magistrati sono tornati a occuparsi del Gran Sasso in seguito a un altro incidente, avvenuto nell’estate del 2016, che portò alla dispersione di diclorometano, un solvente utilizzato per molti processi chimici. La perdita avvenne nell’ambito dell’esperimento CUPID per i neutrini, mentre era in corso il lavaggio dei cristalli utilizzati dal rivelatore del laboratorio. La vicenda è complicata e non molto chiara: tracce del solvente furono trovate nell’acquedotto di Teramo, ma non si sa di preciso come fossero andate le cose. Il responsabile della ONLUS Stazione Ornitologica Abruzzese, Augusto De Sanctis, venne a conoscenza del fatto e sporse denuncia.

De Sanctis è uno dei personaggi più ricorrenti in questa storia, come spiega anche un’inchiesta da poco pubblicata su Science sul tema, visto l’importanza degli esperimenti condotti al Gran Sasso per la comunità scientifica a livello internazionale. De Sanctis sostiene ci siano stati altri casi di perdite, ma è soprattutto contrario al fatto che nei laboratori siano conservate enormi quantità di acqua con composti chimici per gli esperimenti. Le preoccupazioni sono legate soprattutto all’esperimento Borexino, che utilizza 1.300 tonnellate di una soluzione con pseudocumene, e al Large Volume Detector (LVD), che utilizza circa mille 1.000 tonnellate di acquaragia.

La procura di Teramo accusa i responsabili dei Laboratori del Gran Sasso di non avere attuato i provvedimenti necessari per la gestione e la rimozione, in sicurezza, delle sostanze usate per i suoi esperimenti; e li accusa di non avere mai completato i lavori previsti nel 2002 dopo la prima perdita, come un nuovo isolamento per la pavimentazione dei laboratori e una revisione dei sistemi di scarico.

Uno dei temi sollevati dalla procura è che dal 2006 le norme vietano che siano conservate sostanze pericolose entro 200 metri da falde e sorgenti di acqua potabile. L’anno scorso l’INFN aveva risposto a queste accuse ricordando che le regole del 2006 non sono applicabili ai laboratori, perché le loro infrastrutture sono antecedenti. In realtà anche questo aspetto legale è controverso e ha portato a diverse polemiche, anche tra istituzioni. Nel 2013, inoltre, l’Istituto Superiore di Sanità chiese ai Laboratori del Gran Sasso di rivedere le proprie attività, in modo da ridurre i rischi di contaminazione delle acque.

Se si andasse a processo, potrebbero esserci conseguenze per gli esperimenti al Gran Sasso. Tra le soluzioni, si parla da tempo della possibilità di accorciare la durata di Borexino e LVD, in modo da terminare le attività entro la fine del 2020. Questa soluzione potrebbe essere un compromesso accettabile, dal punto di vista degli scienziati, per risolvere la situazione.

L’INFN per ora non ha commentato molto le notizie sull’inchiesta giudiziaria, precisando che nel frattempo le attività di ricerca proseguono normalmente. Sempre a Science, Gianpaolo Bellini, ex portavoce dell’esperimento Borexino, ha detto che le polemiche sulle contaminazioni sono “prive di fondamento”. Il suo timore, come quello di altre persone che lavorano al Gran Sasso, è che la vicenda possa screditare a livello internazionale i laboratori, disincentivando l’arrivo di nuovi ricercatori dall’estero. Altri ritengono che i rischi effettivi legati agli esperimenti siano stati ingigantiti, portando a un eccessivo allarmismo intorno alle attività dei laboratori. Qualcosa di analogo era accaduto un anno fa, per un esperimento che prevedeva l’utilizzo di una fonte radioattiva, poi annullato in seguito alla dichiarazione del produttore russo di non essere in grado di realizzare il generatore.