Vedremo pubblicità sui razzi della NASA?

Il direttore dell'ente spaziale vuole missioni spaziali sponsorizzate dalle grandi aziende, ma riuscirci non sarà semplice e molti sono contrari

“Ancora pochi istanti e il modulo Lunar 1 Coca-Cola toccherà il suolo lunare. Tutto il mondo segue col fiato sospeso questo momento cruciale della missione NASA Back to the Moon by Facebook”. Non sappiamo ancora quando e come seguiremo in diretta un nuovo allunaggio, ma l’eventuale ritorno degli astronauti sulla Luna potrebbe essere sponsorizzato da alcune delle più grandi aziende al mondo, almeno nelle intenzioni dell’attuale direttore dell’ente spaziale statunitense, Jim Bridenstine. Il tema dei finanziamenti da parte di società private, che potrebbero farsi pubblicità con i loro loghi su razzi e robot realizzati dalla NASA, era già stato affrontato in passato e respinto dai responsabili dell’ente spaziale, ma ora Bridenstine sembra essere determinato a esplorare più seriamente questa possibilità.

Durante una riunione organizzata con dirigenti e consulenti della NASA a fine agosto, Bridenstine ha annunciato di avere avviato la costituzione di un nuovo comitato, che avrà proprio il compito di valutare il tema delle sponsorizzazioni. I suoi membri dovranno studiare la fattibilità della proposta, sia per quanto riguarda l’utilizzo di marchi sui mezzi della NASA, sia per messaggi promozionali che coinvolgano direttamente gli astronauti statunitensi: sulla Terra, in orbita e nelle missioni verso lo Spazio profondo. Bridenstine ritiene che in questo modo si potrebbero raccogliere fondi per finanziare le missioni, con una minore spesa da parte del governo.

Nonostante l’annuncio di Bridenstine, non sarà semplice arrivare a qualche risultato concreto per il progetto e in tempi brevi. Lo stesso direttore della NASA ha ammesso di non avere idea di come fare: “C’è una domanda da farsi: è fattibile? E la risposta è: non lo so, ma abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia qualche consulenza sulla fattibilità dell’iniziativa”. Da qui l’istituzione di un apposito comitato.

Nei suoi 60 anni di storia, la NASA ha sempre evitato di fare pubblicità o anche solo di darne l’impressione. Qualche prodotto normalmente commercializzato sulla Terra finisce talvolta nelle inquadrature delle dirette dalla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), per esempio, ma gli astronauti statunitensi evitano accuratamente di citarli o di dare l’idea che siano migliori di altri prodotti concorrenti. Utilizzano per esempio salviette umidificate di una famosa marca per ripulire le superfici lavabili della Stazione, ma le trattano come uno strumento di lavoro come tanti altri.

(NASA)

Essendo un ente pubblico, la NASA mantiene la massima trasparenza sulle proprie attività e spese, dovendone dare periodicamente conto al Congresso degli Stati Uniti. Le liste dei prodotti inviati in orbita sono di solito scritte in modo da non citare i marchi, proprio per evitare pubblicità, anche se non intenzionale. Dai tempi degli Space Shuttle, l’ente spaziale statunitense fornisce ai suoi astronauti pacchetti di M&M’s da portarsi nelle loro missioni: sono gustose, energetiche grazie all’alta quantità di zucchero e non sporcano in giro. Anche se sono evidentemente M&M’s, la NASA non cita mai il marchio e le elenca come “confetti al cioccolato”.

Una confezione sottovuoto di M&M’s con l’indicazione generica “confetti al cioccolato” (NASA)

La grande attenzione a non fare pubblicità deriva da due necessità. La prima è legata a principî molto nobili: la NASA è un ente scientifico che ha come obiettivo l’avanzamento della conoscenza umana oltre il nostro pianeta, obiettivo che poco si sposa con gli interessi commerciali e a breve termine delle aziende private. La seconda deriva dalla prima e riguarda le leggi e i regolamenti che dicono come deve funzionare la NASA e da dove può prendere i soldi per farlo. Le norme sono molto restrittive e ricalcano quelle di altre agenzie governative degli Stati Uniti. Trattandosi di enti pubblici, non possono ospitare sponsorizzazioni e devono mantenersi equidistanti da aziende che concorrono nello stesso settore. Il marchio di Coca-Cola su un razzo comunicherebbe la preferenza del governo degli Stati Uniti per questa azienda rispetto alla concorrente Pepsi, con tutte le conseguenze economiche e giuridiche del caso.

L’esempio di Coca-Cola e Pepsi non è casuale. A metà anni Ottanta, le due aziende svilupparono particolari lattine che potevano essere utilizzate in orbita dagli astronauti, senza che le loro bevande appiccicose fluttuassero fuori controllo danneggiando qualcosa nelle astronavi. La NASA acconsentì al loro utilizzo, ma cercò di distanziarsi il più possibile dall’iniziativa, al punto da essere riluttante persino a diffondere fotografie nelle quali fossero visibili le lattine.

Le lattine “spaziali” inventate da Coca-Cola (Coca-Cola Italia)

Le regole impongono agli astronauti della NASA di mantenere la medesima sobrietà: essendo dipendenti pubblici, hanno il divieto di fare da testimonial a qualsiasi prodotto. Il divieto vale anche per le riprese di iniziative commerciali a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, dalle quali devono stare debitamente alla larga.

Gli equipaggi sulla ISS non sono però costituiti da soli astronauti della NASA: a bordo convivono insieme a quelli dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ai cosmonauti russi e occasionalmente agli astronauti di altre agenzie. Molti di loro devono rispettare regole meno restrittive sulle sponsorizzazioni. L’astronauta canadese Chris Hadfield, per esempio, registrò a bordo della ISS una versione di “Space Oddity” di David Bowie; tornato sulla Terra gli fu consentito di inciderla su un disco.

Il comportamento degli astronauti europei è concordato dall’ESA con le singole agenzie spaziali nazionali che fanno parte dell’organizzazione. Non è previsto che facciano pubblicità e c’è molta attenzione al modo in cui comunicano, anche sui loro social network. Nel 2015, per esempio, fu trasportata sulla ISS una macchina per il caffè chiamata ISSpresso nell’ambito della Missione Futura, che coinvolgeva l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti. La macchina era stata sviluppata da Argotec insieme con Lavazza, il più grande produttore di caffè in Italia e al mondo. L’iniziativa aveva in effetti uno scopo scientifico (sperimentare la produzione di alimenti in orbita, e migliorare la vita degli astronauti in vista di missioni di lunga durata), ma naturalmente Lavazza la sfruttò anche per i suoi legittimi interessi commerciali.

Nelle pubblicità, Lavazza non ha però potuto utilizzare immagini riprese nella Stazione Spaziale Internazionale o degli astronauti che provavano l’espresso. Nella pagina dedicata agli esperimenti sulla ISS tenuta dalla NASA, ISSpresso è normalmente elencata, ma non ci sono informazioni sull’azienda italiana. La stessa Cristoforetti nei suoi tweet quando era in orbita non ha mai citato direttamente Lavazza.

Roscosmos, l’agenzia spaziale russa, ha dimostrato in passato di essere meno sensibile alle implicazioni che può comportare una sponsorizzazione. Nel 2001 la catena di pizzerie Pizza Hut pagò un milione di dollari per mostrare il suo logo su uno dei razzi spaziali Proton russi, in modo che fosse ripreso durante il lancio. Ottenne anche che fosse trasportata qualche pizza in orbita per gli astronauti, sempre nell’ambito della sponsorizzazione.

L’idea che razzi, navicelle e robot automatici della NASA abbiano adesivi di vari sponsor come la maglietta di un calciatore o un’automobile di Formula 1 non piace a molti, né tra i ricercatori né tra i semplici appassionati di esplorazioni spaziali. È vista come qualcosa di negativo, che in un certo senso renderebbe misera e dozzinale l’immagine di uno degli enti scientifici più importanti al mondo. Questa percezione in realtà potrebbe cambiare, complice la collaborazione della NASA con aziende private come SpaceX per trasportare i rifornimenti sulla ISS. A ogni lancio, il logo di SpaceX è ben visibile sulla capsula da trasporto Dragon, e lo sarà ancora di più quando lo stesso sistema sarà utilizzato per trasportare gli astronauti, che ora possono raggiungere la ISS solo sulle Soyuz russe. Anche Boeing farà altrettanto, quando contribuirà al trasporto degli astronauti statunitensi.

Passeranno comunque diversi anni prima di vedere qualche marchio su un razzo o la tuta di un astronauta della NASA, ammesso che mai ci si arrivi. Anche se la proposta di Bridenstine dovesse essere accettata, sarebbero comunque necessari lunghi passaggi burocratici per modificare il Regolamento della NASA, senza contare la necessità di fare approvare dal Congresso una legge che renda l’ente spaziale diverso dalle altre agenzie federali, per quanto riguarda le sponsorizzazioni.

C’è infine un ultimo dettaglio non trascurabile: quello economico. La NASA spende ogni anno svariati miliardi di dollari per gestire le sue missioni, fondi che vengono assegnati dal Congresso. Difficilmente qualche azienda privata potrebbe spendere più di qualche decina di milioni di dollari per le pubblicità spaziali, cifre minuscole se confrontate con la spesa complessiva dell’agenzia. Il denaro raccolto, inoltre, finirebbe al Tesoro che avrebbe poi il compito di indirizzarlo verso la NASA, ma non c’è scritto da nessuna parte che sia tenuto a farlo trattandosi di fondi a disposizione del governo federale.