• Mondo
  • Mercoledì 22 agosto 2018

In Repubblica Ceca, l’invasione della Cecoslovacchia è ancora un nervo scoperto

Il presidente Milos Zeman, noto filorusso, non ha partecipato alla cerimonia che ne ricordava i 50 anni, e la tv di stato ha trasmesso il discorso del presidente slovacco

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)

Ieri in Repubblica Ceca si sono tenute diverse manifestazioni pubbliche per ricordare i 50 anni dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia, il momento più teso e doloroso nella storia recente del paese. Duecentomila soldati dell’Unione Sovietica marciarono su Praga per deporre il leader dei comunisti riformisti Alexander Dubček e mettere fine al suo programma di riforme di apertura. Alla cerimonia principale per ricordare i 50 anni dall’invasione, che si è tenuta ieri a Praga, erano presenti quasi tutte le più alte cariche dello stato. Tutte tranne la più alta: il presidente Miloš Zeman, che al suo posto ha mandato il capo di gabinetto.

Zeman, che ha 73 anni ed è in carica dal 2013, è considerato «uno dei migliori alleati di Vladimir Putin all’interno dell’Unione Europea». Ha parlato spesso del rischio di assistere a una invasione di immigrati musulmani – per ora molto remoto, dato che la Repubblica Ceca ha un tasso bassissimo di residenti stranieri – chiesto più volte un referendum sulla permanenza del paese nella NATO e messo in dubbio l’efficacia dell’Unione Europea. Qualche tempo fa il Washington Post ha scritto che Zeman «parla e agisce come se fosse un agente russo».

Zeman non è il solo a guardare con benevolenza alla Russia e a Putin. Negli ultimi anni diversi partiti politici hanno usato gli argomenti tipici dei cosiddetti partiti populisti, cosa che ha inevitabilmente avvicinato il paese alla Russia. Ha funzionato, anche grazie al fatto che la retorica anti-immigrazione ha molta presa sull’elettorato, come in tutti i paesi dell’est Europa. Il primo ministro ceco, l’imprenditore Andrej Babiš, è amico di diversi oligarchi russi ed è apertamente contro le sanzioni imposte dall’UE in seguito all’invasione russa di Ucraina dell’est e Crimea.

Ma la nuova vicinanza alla Russia ha un significato più carico del solito in un paese che cinquant’anni fa è stato invaso militarmente dai russi e dai loro alleati dell’epoca, cioè i paesi del Patto di Varsavia. In alcune fasce della società il sentimento anti-russo e anti-comunista è ancora molto forte: in molti, ad esempio, criticano Babiš per avere accolto nella maggioranza di governo il Partito Comunista, apertamente filo-russo e nostalgico dell’URSS. Secondo l’analista politico Jiří Pehe, rettore della New York University di Praga, Zeman ha scelto di non partecipare alla cerimonia perché «sapeva di non poter accontentare nessuno, né a Mosca né a Praga». Anche Babiš, in effetti, è stato fischiato e insultato da centinaia di persone presenti alla cerimonia di Praga quando ha provato a tenere un discorso.

«Il presidente si comportò in maniera coraggiosa quando il coraggio era cosa rara, e questo vale più di mille discorsi che vengono pronunciato 50 anni dopo», ha scritto su Twitter il portavoce di Zeman, Jiří Ovčáček, sostenendo che il presidente ceco considera l’invasione sovietica «un crimine» e che in questi anni la sua opinione non sia cambiata. Ovčáček si riferisce al fatto che verso la fine degli anni Sessanta Zeman perse il suo posto di ricercatore universitario per aver criticato l’invasione sovietica.

Zeman non ha comunque colto l’opportunità di dire come la pensa nemmeno in un discorso televisivo, considerato la norma in queste occasioni. Al suo posto, la tv pubblica ceca ha trasmesso il discorso tenuto per l’occasione dal presidente della Slovacchia, Andrej Kiska.