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  • Mercoledì 11 luglio 2018

Com’è fatta la nuova Siria di Assad

Nei territori riconquistati dal regime gli uffici e i servizi sono tornati a funzionare, ma gli effetti devastanti della guerra si vedono ovunque, racconta un articolo dell'Economist tradotto da Internazionale

Il bazar della città vecchia di Damasco (LOUAI BESHARA/AFP/Getty Images)
Il bazar della città vecchia di Damasco (LOUAI BESHARA/AFP/Getty Images)

In Siria si continua a combattere – siamo entrati nel settimo anno di guerra – ma c’è un pezzo di paese che è tornato saldamente sotto il controllo del presidente e dittatore Bashar al Assad: è la “spina dorsale” della Siria, quella che va da Aleppo nel nord fino a Damasco nel sud, che i colonizzatori francesi chiamavano “la Syrie utile” (la Siria utile).

La vita in questa parte di Siria sembra essere tornata a livelli accettabili – gli uffici statali funzionano, le forniture elettriche e idriche anche, e il prossimo anno la produzione di gas naturale potrebbe superare i livelli pre-bellici – ma ci sono cose che mostrano come la situazione sia profondamente cambiata rispetto all’inizio del conflitto: la maggior parte dei siriani sunniti potrebbe non tornare più a casa per paura di ritorsioni da parte del regime alauita di Assad e per una nuova legge che consente al governo di confiscare le terre, senza contare che passando tra una grande città all’altra ci sono distese di paesi distrutti dalla guerra, che il regime non ha le risorse economiche per ricostruire. Di questo e altro ha parlato un recente articolo pubblicato sull’Economist, poi tradotto da Internazionale.

Dalle macerie della guerra sta emergendo una nuova Siria. A Homs, la città che i siriani in passato avevano rinominato “capitale della rivoluzione” contro il presidente Bashar al Assad, il quartiere musulmano e quello commerciale sono ancora in macerie, mentre quello cristiano si sta riprendendo.

Le chiese sono state sontuosamente restaurate e un grande crocifisso è appeso in alto, sopra la strada principale. “Sposo del paradiso”, proclama un cartellone che contiene la foto di un soldato cristiano ucciso nel corso del conflitto durato sette anni. Nei loro sermoni i patriarchi ortodossi elogiano Assad per aver salvato una delle più antiche comunità cristiane del mondo.

Homs, come tutte le città riconquistate dal governo, appartiene oggi perlopiù alle vittoriose minoranze della Siria: cristiani, sciiti e alawiti (una corrente esoterica dell’islam sciita, a cui appartiene Assad). Questi gruppi si sono uniti contro i ribelli, che sono quasi tutti sunniti, e li hanno cacciati dalle loro città. I civili sunniti, che un tempo erano un’ampia maggioranza, li hanno seguiti. Più di metà dei 22 milioni di abitanti del paese sono diventati profughi: 6,5 milioni all’interno della Siria e più di sei milioni all’estero. La maggior parte di loro è sunnita.

La riconquista delle rovine
Le autorità sembrano decise a mantenere questo nuovo equilibrio demografico. Quattro anni dopo che il governo ha ripreso Homs, gli abitanti hanno ancora bisogno di permessi di sicurezza per poter tornare e ricostruire le loro case. Pochi sunniti li ottengono. Quelli che ci riescono hanno poco denaro per rifarsi una vita. Alcuni partecipano alle messe cristiane, sperando nell’elemosina o in visti per l’occidente da parte di vescovi con contatti all’estero. Anche questi sunniti sono guardati con sospetto. “Vivevamo così bene prima”, dice un insegnante cristiano di Homs. “Ma come puoi convivere con un vicino che dal giorno alla notte ha cominciato a chiamarti kafir (infedele)?”.

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