• Sport
  • Martedì 19 giugno 2018

Un italiano allenerà l’Ungheria

Marco Rossi, ex giocatore, è stato chiamato per rimettere in piedi la nazionale ungherese, mezzo secolo fa fortissima e oggi ai suoi minimi storici

Marco Rossi dopo una partita del Dunajska Streda (DAC)
Marco Rossi dopo una partita del Dunajska Streda (DAC)

Dopo essere stata guidata nelle ultime amichevoli dall’anziano allenatore belga Georges Leekens, la nazionale di calcio ungherese ha ingaggiato l’italiano Marco Rossi, ex giocatore di Brescia e Sampdoria, come suo nuovo allenatore per i prossimi due anni. Con Rossi l’Ungheria proverà a qualificarsi per la seconda volta consecutiva agli Europei, obiettivo che può raggiungere dopo l’allargamento del torneo da 16 a 24 squadre deciso nel 2016. Per l’Ungheria la qualificazione agli Europei del 2020 è essenziale: dopo aver visto praticamente sparire il suo calcio nazionale, che mezzo secolo fa era tra i più moderni e forti al mondo, ora sta cercando di rimetterlo in piedi, partendo però da zero.

Rossi allena in Ungheria dal 2012, anno in cui venne ingaggiato dalla Honved, l’ex squadra dell’esercito ungherese e di Ferenc Puskas, uno dei calciatori più forti di tutti i tempi. Capitato in una società di fatto povera, con poche strutture e soprattutto in un paese in cui il calcio è stato nel tempo soppiantato da altri sport, Rossi ha portato la Honved al terzo posto in campionato nel suo primo anno. L’anno seguente lasciò l’incarico per alcuni contrasti con la dirigenza, che però lo richiamò l’anno successivo, a stagione in corso, per continuare quello che aveva iniziato. Nella stagione 2015/16 arrivò in bassa classifica ma l’anno dopo tornò a vincere il campionato ungherese in quella parte di Budapest dove mancava da 24 anni. Nell’ultima stagione è stato ingaggiato dal Dunajska Streda, ambizioso club della minoranza ungherese in Slovacchia, con cui ha concluso il campionato al terzo posto portando la squadra ai preliminari di Europa League.

I giocatori dell’Ungheria cantano l’inno davanti ai propri tifosi dopo l’eliminazione negli ottavi di finale degli Europei 2016 contro il Belgio (EMMANUEL DUNAND/AFP/Getty Images)

Nella metà del Novecento il calcio ungherese era considerato il migliore d’Europa, forse anche del mondo, grazie a una generazione di giocatori eccezionali e soprattutto di allenatori innovativi che negli anni precedenti avevano ripreso e migliorato lo stile di gioco inglese di inizio secolo. Il calcio giocato dagli ungheresi in quegli anni, oltre a essere estremamente efficace e spettacolare come non si era mai visto prima, anticipò quella che sarebbe poi diventata la modernità del gioco: pochi lanci e tanti passaggi, anche di prima, ritmi elevati e abilità tecniche espresse liberamente come in Europa non era quasi mai accaduto prima. Lì si diffuse l’uso del modulo 4-3-3 e ungherese fu il primo trequartista della storia, Nandor Hidegkuti. Il più forte di tutti, però, fu Ferenc Puskas, che esordì con l’Ungheria a diciotto anni nel 1945 e partecipò alle Olimpiadi del 1952, dove vinse la medaglia d’oro: dopo quella partita, la nazionale magiara venne soprannominata la “squadra d’oro” (in ungherese Aranycsapat) e divenne una leggenda del calcio mondiale.

I giocatori di Ungheria e Inghilterra entrano in campo per l’amichevole di Wembley del 1953. In quella partita l’Inghilterra subì la sua prima sconfitta casalinga: finì 6-3 (Allsport Hulton/Archive)

La sua carriera fu influenzata allo stesso modo dalla sua bravura e da tutto quello che successe in Ungheria fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Nel 1956 scoppiò infatti la Rivolta ungherese, che in due mesi causò tremila morti e l’espatrio di circa trecentomila persone (uno dei più grandi esodi nella storia moderna dell’Europa). Nel 1956 finì anche la storia della squadra d’oro: quasi tutti i giocatori più importanti – Puskas ma anche Laszlo Kubala e Zoltan Czibor – si stabilirono all’estero e non tornarono mai più in Ungheria, almeno come calciatori. Il livello del campionato ungherese rimase accettabile per qualche anno ma solo grazie alla popolarità ottenuta dalla squadra d’oro. Quando terminò la rivolta, il regime, che controllava tutte le squadre del campionato, interruppe ogni tipo di sostegno al calcio, dato che i primi piccoli disordini avvennero nel 1954 dopo la finale dei Mondiali persa contro la Germania. L’intero movimento venne lasciato in secondo piano, gli investimenti furono ridotti all’osso. Nel 1989, quando l’Ungheria diventò indipendente, le condizioni delle società di calcio erano ferme a quarant’anni prima e la popolarità del calcio era quasi sparita: tutto questo in un paese fra i più poveri d’Europa, che non poteva permettersi di pensare al calcio.

Nel 2010 il governo ungherese, per espressa volontà del primo ministro nazionalista Viktor Orban, ha iniziato un piano che prevede l’adeguamento del movimento calcistico ungherese al livello degli altri paesi europei. Negli ultimi anni sono stati costruiti o ammodernati una ventina di impianti sportivi in tutto il paese, talvolta con finanziamenti e metodi poco trasparenti, per i quali Orban è stato accusato di favoritismi. Mancano però ancora le conoscenze, un piano di sviluppo giovanile su base nazionale e un adeguato sostegno economico. Il pubblico invece sta lentamente crescendo mentre alcuni club stanno altrettanto lentamente raggiungendo un minimo di competitività anche in campo internazionale. La federazione, che non può permettersi ingaggi alti, ha scelto di chiamare Rossi per la sua conoscenza del calcio ungherese degli ultimi anni, che tornerà utile anche nella gestione delle nazionali giovanili.