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  • Domenica 20 maggio 2018

Oggi si vota in Venezuela

La maggioranza delle opposizioni ha deciso di boicottare le elezioni, ma il principale avversario del presidente Maduro è dato in vantaggio da alcuni sondaggi

24 April 2018, Venezuela, Caracas: Three men selling fruit before a wall with political propaganda for President Maduro. Maduro is seeking another term in office in the elections taking place on 20 May. However, numerous countries and international organisations fear that the elections will be neither free nor fair. Photo by: Rayner Pena/picture-alliance/dpa/AP Images
24 April 2018, Venezuela, Caracas: Three men selling fruit before a wall with political propaganda for President Maduro. Maduro is seeking another term in office in the elections taking place on 20 May. However, numerous countries and international organisations fear that the elections will be neither free nor fair. Photo by: Rayner Pena/picture-alliance/dpa/AP Images

Domenica 20 maggio in Venezuela ci saranno le elezioni presidenziali, che la stragrande maggioranza delle forze di opposizione – unite nella coalizione Mesa de la Unidad Democrática (MUD) – ha deciso di boicottare. Nicolás Maduro, presidente dal 2013, si presenterà per un nuovo mandato, mentre da diversi mesi i suoi principali avversari politici sono in prigione, in esilio o impossibilitati a ricoprire incarichi pubblici. Maduro negli ultimi anni ha fatto di tutto per rimanere al potere, compreso destituire e sostituire in blocco il Parlamento.

Nicolás Maduro bacia la bandiera del Venezuela mentre Diego Armando Maradona applaude, a sinistra, Caracas, 17 maggio 2018 (AP Photo/Ariana Cubillos)

In un primo momento le elezioni presidenziali erano state fissate per il 22 aprile, e poi rimandate al 20 maggio. La decisione era stata presa dopo un accordo che il governo di Maduro aveva raggiunto con una parte minoritaria dell’opposizione, che aveva deciso di non boicottare le elezioni. L’accordo era stato firmato solo dai partiti che avevano deciso di presentarsi con Henri Falcón, candidato delle opposizioni espulso dalla MUD. Falcón ha promesso di mettere fine all’iperinflazione che impedisce ai venezuelani di procurarsi beni di prima necessità persino al mercato nero, di salvare l’economia del paese usando il dollaro come valuta, di aprire il settore petrolifero del paese agli investimenti stranieri, di eliminare il controllo sui prezzi, di liberare decine di prigionieri politici e di pagare i lavoratori con un salario minimo pari all’equivalente di 75 dollari al mese (attualmente il salario minimo, a causa dell’inflazione, è pari all’equivalente di 3 dollari al mese).

Una sostenitrice di Henri Falcón mostra una falsa banconota da 100 dollari usata per la campagna elettorale, Caracas, 14 maggio 2018 (AP Photo/Fernando Llano)

Il Venezuela sta attraversando da almeno tre anni una crisi economica e sociale profondissima e senza precedenti. Il governo non riesce a garantire cibo, energia e servizi di base ai suoi cittadini: migliaia di persone rovistano nei rifiuti quotidianamente per trovare qualcosa da mangiare o cercano di superare il confine. Negli ultimi due anni, infatti, più di un milione di persone ha lasciato il Venezuela cercando rifugio all’estero: si spostano principalmente in Colombia e in Brasile, arrivando a migliaia ogni giorno. È una crisi umanitaria enorme: l’acqua e l’elettricità mancano più volte al giorno, le file nei negozi e nei centri di distribuzione del governo sono lunghissime e gli ospedali trattano casi di malnutrizione di bambini quasi ogni giorno. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che l’inflazione del Venezuela – già considerata la più alta del mondo – raggiungerà quest’anno il 13 mila per cento, distruggendo completamente i mezzi di sostentamento delle classi più povere. La valuta della nazione, il bolívar, ha un tasso di cambio pari a quasi 700 mila dollari sul mercato nero e ogni giorno che passa vale sempre meno.

In Venezuela si muore di fame

Nicolás Maduro è nato 56 anni fa a Caracas da madre colombiana e padre venezuelano. È presidente del Venezuela dall’aprile del 2013: prima era stato autista di autobus e rappresentante sindacale, presidente del Parlamento venezuelano, ministro degli Esteri e vicepresidente. Maduro è considerato da sempre l’erede politico di Hugo Chávez: prima di sottoporsi al suo quarto e ultimo intervento chirurgico per rimuovere un tumore, Chávez parlò in televisione chiedendo ai cittadini del Venezuela di affidarsi a Maduro nel caso lui fosse morto o se la malattia lo avesse reso incapace di fare il presidente. E così è successo: Maduro vinse le elezioni presidenziali del 2013.

I primi mesi di presidenza non furono facili per Maduro, che cominciò a pagare per le politiche economiche insostenibili adottate negli anni precedenti. I problemi più grossi erano legati alla mancanza di beni come latte, farina, zucchero e caffè. Con Maduro gli effetti della grave recessione economica cominciarono a farsi sentire di più rispetto agli anni precedenti, anche a causa dei grossi cambiamenti nel mercato internazionale del petrolio, su cui il Venezuela aveva basato la propria economia. La crisi ha causato molte proteste in cui sono morte più di 100 persone e che sarebbero state organizzate, secondo Maduro, dalle potenze straniere che lo volevano destituire. Sempre più isolato a livello internazionale, Maduro ha cercato in ogni modo di rafforzare la propria posizione: ha tolto i poteri legislativi al Parlamento controllato dalle opposizioni assegnandoli a un’Assemblea costituente da lui voluta, e ha stravinto le ultime elezioni amministrative grazie alle divisioni dentro l’opposizione e al boicottaggio del voto.

Falcón, il principale avversario di Maduro (ce ne sono altri due, ma sono dati molto in basso nei sondaggi), ha 56 anni, è un ex membro del Partito Socialista Unito di Maduro ed è presidente di Avanzada Progresista (AP), un partito di centrosinistra fondato nel 2012 che si definisce progressista, inclusivo e democratico. Dopo che Chávez fu eletto nel 1998, Falcón aiutò a riscrivere la Costituzione, poi divenne sindaco di Barquisimeto, una grande città del paese, e poi governatore dello stato di Lara. Non è chiaro perché abbia lasciato il Partito Socialista Unito nel 2010: alcuni sostengono che sia stato Chávez a non volerlo più, altri che fu lui stesso ad andarsene per divergenze sulla linea politica. Falcón ha continuato a governare come membro dell’opposizione, ma è stato espulso dalla MUD quando ha accettato di candidarsi alla presidenza.

Henri Falcón incontra alcuni elettori a Caracas, 26 marzo 2018 (Wil Riera/picture-alliance/dpa/AP Images)

Falcón è però convinto che Maduro debba e possa essere sconfitto solo attraverso regolari elezioni: cita il Cile di Pinochet, il Nicaragua, il Perù e anche la Spagna postfranchista. I critici sostengono invece che partecipare alle elezioni non farà altro che convalidare un sistema elettorale manipolato, in cui il presidente sceglie i propri avversari, e accusano Falcón e il suo partito di essere dei traditori: «Quelli che partecipano, come Falcón, stanno collaborando con il regime», ha detto Jorge Millán, un parlamentare dell’opposizione che afferma che non voterà. «Stanno aiutando Maduro, che sta cercando la legittimità in questa farsa elettorale».

Alcuni sondaggi indipendenti citati dal New York Times dicono che Falcón ha un vantaggio significativo su Maduro, alimentato dalla rabbia per la mancanza di cibo, medicine e acqua. Maduro, da parte sua, sta facendo una campagna elettorale basata sulla strumentalizzazione della fame e della paura, usando il cibo, la cui distribuzione è controllata dal governo, per radunare gli elettori e mobilitarli per il voto di domenica.

Diversi paesi, compresi gli Stati Uniti, il Canada, il Brasile, l’Argentina, il Cile, la Colombia e il Messico, hanno già fatto sapere che non riconosceranno il risultato delle presidenziali. Diverse organizzazioni internazionali, come l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ma anche l’Unione Europea, hanno denunciato la mancanza di trasparenza e delle necessarie garanzie elettorali del voto di domenica. Tuttavia altri paesi – come Bolivia, Cuba e Russia – hanno espresso il loro sostegno per la giornata elettorale.