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  • Giovedì 26 aprile 2018

La sentenza contro cui si protesta in Spagna

Cinque uomini accusati di avere violentato una diciottenne durante la festa di San Firmino sono stati condannati per abuso sessuale e non per aggressione: cioè, per un reato minore

Le proteste per la sentenza di Pamplona davanti al ministero della Giustizia a Madrid, 26 aprile 2018
(AP Photo/Francisco Seco)
Le proteste per la sentenza di Pamplona davanti al ministero della Giustizia a Madrid, 26 aprile 2018 (AP Photo/Francisco Seco)

Da oggi pomeriggio, in Spagna sono in corso grandi proteste per la sentenza del tribunale di Pamplona contro cinque uomini accusati di avere stuprato in gruppo una donna di 18 anni nel 2016 durante la festa di San Firmino. Gli uomini, che hanno tra i 27 e i 29 anni, facevano parte di un gruppo WhatsApp chiamato “La Manada”, cioè “il branco”, e sono stati condannati per abuso sessuale a nove anni di carcere e non per aggressione sessuale, che è un reato più grave e per il quale l’accusa aveva chiesto ventidue anni. Sia gli avvocati della donna che quelli degli accusati hanno detto che ricorreranno in appello contro il verdetto.

Secondo la legge spagnola, quello di abuso sessuale è un reato minore e rispetto all’aggressione sessuale non implica che ci sia stata violenza o intimidazione. Per entrambi i reati si parla di un attentato contro la libertà sessuale di una persona. Se c’è violenza o intimidazione, si tratta di aggressione, se non c’è si parla invece di semplice abuso. Per tutti e due i reati è prevista l’aggravante della penetrazione (vaginale, anale o orale o con oggetti). Secondo i giudici, nel caso di Pamplona non c’è stata violenza palese né intimidazione vera e propria, ma solo un «consenso viziato». In base all’importanza attribuita al consenso si possono distinguere tre diversi modelli di diritto penale sessuale. Il modello consensuale puro dà rilevanza massima al consenso: c’è un reato quando in qualsiasi tipo di relazione sessuale manca il consenso valido della persona offesa. Il modello consensuale limitato dà importanza al dissenso: è cioè necessaria una effettiva e manifesta volontà contraria della persona che ha subìto una violenza. In Spagna si può parlare di modello vincolato: non si attribuisce in modo esplicito al consenso un ruolo centrale, ma ci si basa sul fatto che le aggressioni sessuali, per essere perseguite e punite, debbano avere certe caratteristiche: violenza, minaccia, costrizione. Il problema principale del terzo modello, come ha dimostrato la sentenza di Pamplona, è che alcune aggressioni sessuali non sono ritenute tali.

La sentenza di Pamplona è stata accolta dalle proteste di centinaia di femministe che indossavano dei guanti rossi e che si erano riunite davanti alla sede del tribunale. Nel corso della giornata le manifestazioni si sono moltiplicate in molte città del paese. A Madrid, davanti alla sede del ministero della Giustizia, si sono radunate più di 10 mila persone, secondo la polizia. Le manifestanti hanno gridato frasi come «Non è un abuso, è uno stupro» e «Se toccano una di noi, toccano tutte».

https://twitter.com/Elisa_CastilloN/status/989589775060537345

Lo stupro di gruppo di Pamplona era stato raccontato dai giornali di mezzo mondo, così come il successivo processo che era stato criticato perché sotto accusa sembrava essere finita la ragazza che era stata violentata, più che i cinque stupratori, uno dei quali è un membro della Guardia Civile, un corpo di polizia nazionale, che dopo l’arresto era stato sospeso.

I fatti risalgono al 7 luglio del 2016: José Ángel Prenda, Alfonso Cabezuelo, Antonio Manuel Guerrero, Jesús Escudero e Ángel Boza si erano offerti di accompagnare la donna conosciuta quella sera alla sua auto e l’avevano portata invece nell’androne di un palazzo dove l’avevano aggredita e violentata. A supportare quanto accaduto c’erano anche diversi video: alcuni mostravano gli uomini condurre la donna nel posto dove era avvenuto lo stupro, e uno mostrava la violenza vera e propria, ripresa dagli stessi uomini che poi avevano promesso, vantandosi, di inviare i filmati su WhatsApp ad altri amici. La donna era stata ritrovata poco dopo da una coppia e aveva descritto i suoi aggressori alla polizia che, il giorno dopo, li aveva identificati e arrestati.

Durante il processo, gli avvocati dei cinque imputati hanno affermato che la donna era consenziente e che aveva lasciato che uno degli uomini la baciasse. Sostenevano inoltre che i 96 secondi di riprese video che mostravano la ragazza immobile e con gli occhi chiusi durante lo stupro erano la prova del suo consenso. L’accusa ha dovuto spiegare che la vittima era troppo terrorizzata per muoversi o reagire e lei stessa aveva dovuto raccontare che voleva soltanto che tutto finisse presto.

Per il processo, uno degli accusati aveva anche commissionato a un investigatore privato un rapporto sulla vittima, di cui era stato seguito il comportamento, online e non, dopo la violenza. Due settimane dopo l’inizio del processo, la difesa – che aveva presentato alcune fotografie che mostravano la ragazza sorridente con degli amici come prova della mancanza di trauma – aveva deciso di ritirare il report dalle prove: c’erano state infatti moltissime critiche dall’opinione pubblica spagnola e da parte di diversi gruppi di femministe che erano scese per le strade gridando “Ti crediamo, sorella”.

Il verdetto di giovedì 26 aprile – trasmesso in diretta televisiva – è arrivato a circa cinque mesi dalla conclusione del processo ed è stato criticato anche da molti politici e associazioni che lavorano a favore dei diritti umani. Il leader di Podemos Pablo Iglesias ha ad esempio scritto su Twitter «Se non lotti contro 5 bruti non ti stanno violentando: vergogna e schifo». Susana Díaz, governatrice dell’Andalusia, ha detto che contro la violenza sessuale deve esserci «tolleranza zero» e Pedro Sánchez, leader del partito socialista spagnolo, ha scritto: «Ha detto NO. Ti crediamo e continueremo a crederti». Amnesty International ha dichiarato che «la mancanza di riconoscimento legale del fatto che le relazioni sessuali senza consenso costituiscano uno stupro dà origine all’idea che spetta a noi donne proteggere noi stesse dallo stupro». Il gruppo internazionale per i diritti delle donne Women’s Link ha fatto a sua volta sapere che il caso di Pamplona offriva ai giudici un’opportunità unica di creare un precedente che avrebbe aiutato a proteggere le vittime delle aggressioni sessuali, ma che «la corte non l’ha colta. Di nuovo. Ancora una volta». In un tweet pubblicato poco dopo la lettura dei verdetti, le forze di polizia nazionali spagnole hanno scritto «No es No» per dodici volte, insieme al loro numero di telefono per le emergenze e al messaggio: «Siamo con te».