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  • Domenica 22 aprile 2018

L’uomo che scrive i tweet di Donald Trump

Non tutti sono davvero suoi: storia di Dan Scavino, che faceva il caddy e ora è una delle persone più potenti di Washington

Dan Scavino alla Casa Bianca nel novembre del 2017. (Chip Somodevilla/Getty Images)
Dan Scavino alla Casa Bianca nel novembre del 2017. (Chip Somodevilla/Getty Images)

L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, composta in larga parte di persone screditate, con poca esperienza e molti tratti che le rendono uniche nella storia politica americana, è stata ampiamente raccontata dai media statunitensi. Da Stephen Bannon a Jared Kushner, da Sean Spicer ad Anthony Scaramucci, sono molti i personaggi che hanno attirato le attenzioni dei giornali, che in certi casi hanno anche contribuito al loro licenziamento anticipato.

Ma c’è una persona di cui si sa molto poco, perché è sempre rimasta nell’ombra e ha sempre evitato di parlare direttamente con i giornali, il cui incarico ha però conseguenze visibilissime. È uno dei consiglieri più fidati di Trump, e soprattutto uno di quelli che sentiamo parlare più spesso: Dan Scavino, l’uomo dietro l’account Twitter di Donald Trump. Il giornalista Robert Draper ha recentemente scritto un lungo profilo di Scavino sul New York Times Magazine, rivelandone aspetti sconosciuti e fornendo il suo primo ritratto completo. O quasi, visto che Scavino non ha voluto parlare con Draper.

Dan Scavino alla Casa Bianca. (AP Photo/Andrew Harnik)

Come ha scritto Draper, quando ha iniziato a interessarsi di Scavino sapeva che era «una delle persone più potenti di Washington, nonostante nessuno sapesse spiegare cosa facesse di lavoro». Fa parte dello staff di Trump dall’annuncio della candidatura, nel giugno del 2015, ed è l’unico di allora rimasto tra i suoi consiglieri principali. Draper ha raccontato che anche in quel comitato elettorale improvvisato e caotico, la maggior parte delle persone aveva un incarico in qualche modo noto. Scavino no: non si capiva cosa facesse, oltre a scattare foto agli eventi di Trump e a seguirlo ovunque.

L’ambiguità è proseguita dopo l’insediamento: la sua posizione attuale è “direttore dei social media”, che gli garantisce lo stipendio massimo per un dipendente della Casa Bianca, di circa 180mila dollari all’anno. Alla Casa Bianca ci sono anche un fotografo ufficiale e un capo dei media digitali, ma hanno l’ufficio in un edificio separato mentre Scavino lavora a pochi passi dallo Studio Ovale.

La prima e unica spiegazione ufficiale su quale incarico giustifichi questi privilegi fu fornita durante una causa sporta da alcune persone che erano state bloccate dall’account Twitter di Trump. Scavino, dicevano i documenti della causa, «assiste il presidente Trump nell’utilizzo dell’account @realDonaldTrump, compresa la scrittura e la pubblicazione dei tweet». Come spiega Draper, «nessun altro, a parte lo stesso Trump, ha accesso al più importante e controverso account su un social media al mondo». Nonostante l’importanza del suo ruolo, Scavino parla poco o niente con i giornali, e nessuno alla Casa Bianca è stato entusiasta all’idea del profilo sul New York Times Magazine.

Il rapporto tra Scavino e Trump iniziò nel 1990, quando il primo era un caddy adolescente al campo da golf Westchester County, nello stato di New York. Un giorno trasportò le mazze di Trump, che gli diede una mancia da 200 dollari e gli disse: «Un giorno lavorerai per me». Scavino studiò comunicazione all’università, poi lavorò per la Disney e infine per una grande casa farmaceutica del Texas, dove si stabilì con la famiglia. Dopo qualche anno, nel 2004, gli arrivò un’offerta di lavoro dal campo da golf dove aveva conosciuto Trump, che nel frattempo l’aveva comprato e rinominato Trump National Golf Club. Nel giro di poco tempo ne divenne il manager, e cominciò a viaggiare regolarmente sull’aereo privato di Trump. Quando iniziò a sentir parlare di una possibile candidatura di Trump, nel novembre del 2014, Scavino disse subito che voleva far parte della squadra.

Dan Scavino dietro a Donald Trump al Congresso, nel febbraio del 2017. (Tom Williams/CQ Roll Call)

La sua unica qualifica era conoscere Trump da un bel po’ di tempo: gli bastò per essere assunto da Corey Lewandowski, allora capo del comitato elettorale. All’inizio i suoi incarichi furono stringere relazioni con grandi donatori e politici dell’establishement del Partito Repubblicano: non ci riuscì. Quando iniziarono le primarie, però, cominciò a occuparsi di raggiungere in anticipo gli stati in cui si votava per stringere rapporti con i notabili locali: era un ruolo più simile a quello del caddy, racconta Draper, un po’ da “galoppino”, e questa volta gli riuscì molto bene. I suoi compiti erano vari e generici, e c’era anche quello di scrivere i tweet che Trump gli dettava e scattare le foto ai suoi eventi per poi pubblicarli sui social network.

Fu in questo periodo, racconta Draper, che Scavino prese ufficiosamente il posto della fotografa e del social media manager di Trump: la prima era troppo scrupolosa ed era vista come un impiccio, mentre il secondo non conosceva bene la base di elettori di Trump come Scavino. «Entro la fine del 2016, Scavino era diventato in pratica sia il fotografo che seguiva Trump nella campagna elettorale sia il suo capo dei social media. E dato che era un candidato autofinanziato senza intenzione di spendere un centesimo in pubblicità, Scavino con i suoi video su Facebook diventò anche la cosa più vicina a un pubblicitario per il comitato di Trump». Draper racconta anche che un giorno Jared Kushner, genero di Trump, convinse Trump che la pagina su Facebook era più importante dell’account Twitter: «Congratulazioni, allora. Sei a capo della mia pagina Facebook», gli disse Trump. Kushner delegò il lavoro a Scavino.

Come è noto, però, Trump ha sempre avuto una predilezione per Twitter. In campagna elettorale alcuni li scriveva e pensava direttamente lui, altri arrivavano da suggerimenti di Scavino e Hope Hicks, ex capo della comunicazione di Trump, che dava soltanto l’approvazione finale. Dopo qualche mese dall’insediamento, alcuni esperti studiarono i metadati dei tweet di Trump arrivando alla conclusione che quelli pubblicati con uno smartphone Android erano scritti direttamente da lui, quelli pubblicati con un iPhone dal suo staff. Dal marzo del 2017 sono tutti pubblicati da iPhone, ma sono rimasti altri modi per capire chi twitta dall’account di Trump: se c’è un allegato, o se più tweet sono legati in un thread, è probabilmente lo staff; quelli scritti la mattina presto o la sera tardi, così come quelli che contengono dei refusi, sono invece probabilmente scritti da lui stesso. Certe volte, capire chi aveva twittato è stato più semplice.

https://twitter.com/JoePerticone/status/915589807266508800

È normalissimo che un politico, e a maggior ragione il presidente degli Stati Uniti, abbia una persona che si occupa dei suoi social network, così come è normale che ci sia chi gli scrive i discorsi. Secondo le fonti consultate da Draper, il contenuto dei tweet di Trump è circa la metà delle volte farina del suo sacco, e l’altra metà di Scavino. Ma ciononostante, quando ha suggerito a un importante dirigente dell’amministrazione questa teoria, ha ottenuto una reazione indignata e una netta smentita.

Il rapporto di Trump con Twitter non è sempre stato entusiasta: si iscrisse nel 2009 ma per due anni ci scrisse poco. Poi iniziò a commentare programmi televisivi, lo sport e altri fatti di attualità, ma in un periodo in cui la piattaforma contava ancora poco nella politica: lo stesso Barack Obama, molto più “avanti” di Trump dal punto di vista tecnologico, lo usava poco. All’inizio della campagna elettorale nemmeno Trump e la sua squadra sapevano bene che utilizzo fare dell’account Twitter. Presto però si resero conto che invece di trasmettere impulsività e inesperienza, i suoi tweet comunicavano soprattutto l’immagine di un politico autentico e diretto, finalmente “disintermediato”. Oggi i tweet di Trump sono talmente importanti per il dibattito pubblico americano che i giornalisti politici si svegliano con il suono delle notifiche sui nuovi tweet del presidente. Su Twitter, Trump ha annunciato alcuni dei suoi provvedimenti più importanti, e la sostituzione di diversi suoi ministri e collaboratori. In mezzo ci sono quotidianamente accuse, insulti e autocelebrazioni che i giornali di tutto il mondo, da anni ormai, si chiedono se considerare notizie o no.

Parlando con alcuni colleghi di Scavino alla Casa Bianca, Draper ha ricostruito soprattutto l’immagine di un uomo estremamente dedito al lavoro, leale e disposto a sacrificarsi per Trump, e capace di fare pochissimi errori. Hicks ha raccontato a Draper che Scavino si occupa anche di tenere di buon umore Trump insistendo sul successo e sulla popolarità delle sue decisioni tra i suoi elettori, soprattutto quando la reazione dei media mainstream è diversa.

Dan Scavino mostra qualcosa sul telefono al chief of staff John Kelly. (Ron Sachs – Pool/Getty Images)

Scavino è stato spesso definito l’autista del “treno di Trump”, come è stata spesso chiamata la movimentata e travolgente esperienza alla Casa Bianca di Trump. Continua a svolgere anche incarichi più vari e “di manovalanza”: come insultare e accusare gli avversari politici dal suo seguitissimo account privato su Twitter, o tenere i rapporti con certi influencer della alt-right, l’estrema destra giovane e attiva su internet che è stata importante nella costruzione del consenso di Trump.

Essere l’unica persona di cui Trump si fida per gestire il proprio account Twitter porta con sé molte conseguenze: la prima è che Scavino ha sulle sue spalle, da solo, un pezzo enorme dell’immagine pubblica di Trump. Draper racconta anche che il lavoro alla Casa Bianca ha «distrutto il matrimonio» di Scavino, che ha da poco divorziato. Ed è finito anche in mezzo all’indagine su Trump e la Russia: a dicembre il Washington Post ha rivelato che Scavino ebbe una conversazione per mail con un dirigente di Vkontakte, il più diffuso social network russo. Per questo, e per il fatto che essendo sempre insieme a Trump potrebbe sapere altre cose sulle interferenze russe e sul licenziamento dell’ex direttore dell’FBI James Comey, è stato convocato dalla commissione giustizia del Senato. Per ora, Scavino è riuscito a evitare di comparire.