Come si eleggono i presidenti di Camera e Senato

Le votazioni saranno importanti per capire in che direzione stiamo andando, e soprattutto: l'accordo tra centrodestra e M5S reggerà?

(ANSA/ MASSIMO PERCOSSI)
(ANSA/ MASSIMO PERCOSSI)

Venerdì cominceranno le votazioni per eleggere i presidenti di Camera e Senato, il primo atto della nuova legislatura uscita dalle elezioni del 4 marzo. Le notizie di questi giorni sono di un accordo tra il Movimento 5 Stelle e il centrodestra per spartirsi le camere, molto però dipenderà da quello che accadrà domani e dopodomani, quando i nuovi parlamentari si riuniranno e cominceranno a votare. Camera e Senato, inoltre, eleggono i loro presidenti a scrutinio segreto e in maniera differente, e questo potrebbe rendere gli accordi più complicati, oltre a permettere elaborate tattiche e ripensamenti dell’ultimo minuto.

Come si elegge il presidente delle Camera
Si vota a scrutinio segreto, quindi è possibile per i deputati non rispettare le indicazioni dei loro capigruppo. Per i primi tre scrutini serve una maggioranza dei due terzi. Dal quarto in poi diventa sufficiente la maggioranza assoluta dei votanti. Nell’attuale Camera, dove nessuna forza ha la maggioranza, serve quindi un accordo trasversale o almeno l’astensione di uno dei tre principali schieramenti.

Primo scrutinio: maggioranza pari a due terzi dei parlamentari
Secondo scrutinio: maggioranza pari a due terzi dei votanti
Terzo scrutinio: maggioranza pari a due terzi dei votanti
Quarto scrutinio: maggioranza assoluta dei votanti

Come si elegge il presidente del Senato
Anche al Senato si vota a scrutinio segreto. Per eleggere il presidente serve la maggioranza dei senatori per i primi due scrutini, la maggioranza dei votanti al terzo, mentre il quarto scrutinio si svolge con un ballottaggio tra i due candidati più votati nel terzo scrutinio.

Primo scrutinio: maggioranza assoluta dei senatori
Secondo scrutinio: maggioranza assoluta dei senatori
Terzo scrutinio: maggioranza assoluta dei presenti
Quarto scrutinio: ballottaggio tra i due candidati più votati al terzo scrutinio

Quanto ci vuole?
Nel 2013 furono sufficienti quattro scrutini per eleggere entrambi i presidenti delle Camere. Le votazioni cominciarono il 15 marzo, giorno dell’insediamento delle camere, e terminarono il giorno successivo, il 16 marzo. La presidente delle Camera Laura Boldrini venne eletta al quarto scrutinio, quello in cui vince chi ottiene la maggioranza dei voti espressi. All’epoca, la coalizione di centrosinistra aveva la maggioranza dei voti alla Camera. Per le prime tre votazioni, quelle che hanno bisogno di una maggioranza di due terzi, il PD non presentò candidature. Boldrini venne eletta a sorpresa (il suo nome non era praticamente circolato nei giorni precedenti) la mattina del 16 marzo, al quarto scrutinio.

Al Senato la situazione era più complessa, perché da solo il PD non aveva i numeri per eleggere il suo candidato. Per le prime due votazioni, quindi, il centrosinistra scelse di non presentare alcun candidato e fece il nome di Pietro Grasso soltanto la mattina del 16 marzo, durante il terzo scrutinio. Grasso ottenne 120 voti e il candidato del centrodestra Renato Schifani 111. Visto che Grasso non aveva raggiunto la maggioranza assoluta dei voti espressi si procedette al ballottaggio tra i due candidati più votati al terzo scrutinio. Grasso vinse con 137 voti.

Quindi chi sarà eletto?
È la grande questione di questi giorni: Movimento 5 Stelle e centrodestra riusciranno ad accordarsi per dividersi le due Camere o l’elezione dei presidenti sarà più complessa del previsto? L’accordo che sembrava quasi raggiunto oggi appare a un passo dalla rottura. Il centrodestra ha insistito nuovamente proponendo come presidente del Senato Paolo Romani. Luigi Di Maio ha scritto su Facebook che il Movimento non può votare Romani per via di una sua condanna non definitiva per un reato minore. Di Maio ha chiesto un nuovo incontro ai leader del centrodestra e quindi è probabile che tra oggi e domani ci siano nuove trattative. Senza i voti del centrodestra, però, il Movimento non riuscirà a eleggere il presidente della Camera, per cui serve la maggioranza dei voti.

A questo proposito il segretario della Lega, Matteo Salvini, che conduce le trattative per contro del centrodestra, è stato piuttosto definitivo. Ai giornalisti che gli domandavano se le trattative fossero “azzerate” ha risposto «penso proprio di sì» per poi chiedere che il PD partecipi a una nuova serie di incontri.

Se l’accordo dovesse essere recuperato all’ultimo momento potrebbe essere un passo importante per cercare di raggiungere un accordo anche sulla formazione di una maggioranza di governo (che rimane comunque un obiettivo molto complesso). Se invece le trattative non dovessero essere riallacciate, il centrodestra avrebbe comunque la maggioranza relativa al Senato e quindi potrebbe eleggere il presidente del Senato da solo al ballottaggio previsto per il quarto scrutinio.

Alla Camera, invece, dove serve la maggioranza assoluta dei votanti, è necessario trovare l’accordo con un’altra forza politica. Se gli accordi con il Movimento 5 Stelle dovessero fallire, l’unica altra forza che sarà possibile interpellare è il PD che potrebbe decidere di fare due cose: votare il candidato del centrodestra (che sembra al momento piuttosto improbabile) oppure astenersi, permettendo così al candidato del centrodestra di vincere. Terza eventualità è che il centrodestra decida di appoggiare un candidato PD alla Camera.