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  • Domenica 8 ottobre 2017

“Le ragazze del ’68”

Inizia stasera su Rai 3 la prima di sei puntate dedicate alle donne che il Sessantotto l'hanno fatto o vissuto: chi in una comune, chi in giro per il mondo, chi nelle piazze e chi lavorando nei campi

Silvia Fardella in una foto degli anni Sessanta.
Silvia Fardella in una foto degli anni Sessanta.

Su Rai3 da stasera e poi ogni domenica andranno in onda sei puntate di un programma che racconta la storia di dodici donne che hanno vissuto il ’68 e che a quel tempo avevano più o meno vent’anni: sono donne non famose, che studiavano o che lavoravano nei campi, che erano ragazze madri, artiste, hippie, borghesi, proletarie, femministe o lesbiche. Donne che hanno partecipato (ciascuna a modo suo) alla rivoluzione collettiva che anche l’Italia stava vivendo quell’anno.

Il “Sessantotto” in Italia non cominciò nel 1968, convenzionalmente, ma il 24 gennaio del 1966, quando a Trento gli studenti e le studentesse occuparono la facoltà di Sociologia. Quello stesso anno il giornale studentesco del Liceo Parini di Milano pubblicò un’inchiesta intitolata “Un dibattito sulla posizione della donna nella nostra società, cercando di esaminare i problemi del matrimonio, del lavoro femminile e del sesso”. Seguirono altri sgomberi e occupazioni. Nel 1969 gli operai delle fabbriche cominciarono a scioperare e le loro contestazioni si saldarono con quelle degli studenti. Il movimento delle donne si formò non come conseguenza, ma sullo stesso slancio di questi movimenti e in modo originale: distaccandosi dalle loro ideologie, da quel linguaggio e anche da quelle pratiche.

Il Sessantotto e i movimenti femministi di quegli anni furono comunque per le donne un nuovo inizio: cinque anni prima negli Stati Uniti era stato pubblicato “La mistica della femminilità” di Betty Friedan, che da cronista raccontò «il problema che non aveva nome» delle donne americane degli anni Cinquanta. La conclusione fu genuina ed esplosiva: «Non possiamo più ignorare quella voce interiore che parla nelle donne e dice: “Voglio qualcosa di più del marito, dei figli e della casa”». In quegli stessi anni negli Stati Uniti venne approvata la pillola anticoncezionale, si cominciò a discutere di aborto, sesso, maternità, matrimonio, ruoli, e tutto cominciò a cambiare. Alla fine degli anni Sessanta il femminismo si espanse per contatto e per contagio: le notizie e le idee circolarono da un posto all’altro, furono copiate, tradotte, inventate di nuovo.

Alla fine degli anni Sessanta il femminismo mise definitivamente al centro del proprio pensiero e dei propri obiettivi la sfera della riproduzione e della sessualità. Una volta abolita l’esclusione dal diritto di voto e, almeno in parte, lo sfruttamento economico, restava per le donne una grande ingiustizia sociale e familiare. Le risposte delle femministe liberali sulla produzione e il lavoro e di quelle socialiste sui diritti giuridici e civili non erano più sufficienti: era necessario andare alle radici del problema. E alla radice c’era la supremazia maschile nella sfera della sessualità e della riproduzione: una differenza biologica, anatomica, fisiologica, “sessuale”, che era stata trasformata in una differenza di ruoli sociali e familiari, in un destino. Le conseguenze degli slanci femministi e delle contestazioni del Sessantotto furono concretissime, per tutte le donne: portarono al pensiero differente del proprio corpo, al piacere slegato dalla riproduzione, alla liberazione dalla funzione materna come destino. La liberazione non fu indolore, ma fu sovversiva: «Ognuno di noi aveva trovato il modo di partorire un altro se stesso».

Nelle foto ci sono i nomi, la breve storia e alcune dichiarazioni delle donne che partecipano al programma “Le ragazze del ’68”, che andrà in onda per sei domeniche, alle 20.30 su Rai3 a partire dall’8 ottobre