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  • Venerdì 6 ottobre 2017

La Campagna internazionale contro le armi nucleari ha vinto il Nobel per la Pace

"Per i suoi sforzi fondamentali nell'ottenere un trattato che metta al bando queste armi"

Beatrice Fihn, direttrice esecutiva, Daniel Hogsta, direttore, e Grethe Ostern, membro del comitato di direzione, festeggiano il Nobel nella sede di ICAN a Ginevra
(Martial Trezzini/Keystone via AP)
Beatrice Fihn, direttrice esecutiva, Daniel Hogsta, direttore, e Grethe Ostern, membro del comitato di direzione, festeggiano il Nobel nella sede di ICAN a Ginevra (Martial Trezzini/Keystone via AP)

Il premio Nobel per la Pace 2017 è stato assegnato alla Campagna Internazionale contro le Armi Nucleari (ICAN) per «il suo lavoro nel portare l’attenzione sulle conseguenze umanitarie catastrofiche di qualsiasi uso delle armi nucleari e per i suoi sforzi fondamentali per ottenere un trattato che metta al bando queste armi». Il comitato che assegna il Nobel ha spiegato che alcuni stati stanno modernizzando i loro arsenali nucleari e che c’è il pericolo che altri paesi cerchino in futuro di procurarsi dispositivi di questo tipo. In passato, attraverso accordi internazionali vincolanti, la comunità internazionale aveva adottato divieti contro le mine antiuomo, contro le bombe a grappolo, contro le armi biologiche e chimiche. Le armi nucleari, «ancora più distruttive» non erano state finora oggetto di una simile proibizione giuridica internazionale: «Attraverso il suo lavoro, ICAN ha contribuito a colmare questo divario giuridico».

L’ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear weapons) è un’organizzazione non-profit fondata nel 2007 a Vienna che raccoglie più di 400 organizzazioni (internazionali o nazionali) attive in 100 paesi del mondo: ne fanno ad esempio parte la Lega Internazionale Donne per la Pace e la Libertà (fondata nel 1915 contro la Prima guerra mondiale), Peace Boat, organizzazione giapponese, e la Norwegian People’s Aid. In Italia aderiscono all’ICAN, tra le altre, Senzatomica e Rete Disarmo. Nella sua campagna l’ICAN è stata sostenuta anche da altri premi Nobel per la Pace, come Desmond Tutu, il Dalai Lama e Jody Williams, pacifista statunitense fondatrice della Campagna Internazionale per il Bando delle Mine Antiuomo. Nel novembre del 2012, l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon citò l’ICAN per il suo lavoro a favore «di un mondo libero da armi nucleari». La sede che coordina e gestisce la campagna internazionale è a Ginevra, in Svizzera, e la sua direttrice è Beatrice Fihn.

Grazie al lavoro dell’ICAN, lo scorso luglio la Conferenza delle Nazioni Unite ha approvato il Trattato sul divieto delle armi nucleari, il primo accordo internazionale legalmente vincolante (per i paesi che vi aderiscono) per la completa proibizione delle armi nucleari. Ai negoziati – che si sono svolti in due sessioni per un totale di quattro settimane – hanno partecipato delegazioni di circa 140 paesi e della società civile provenienti da tutto il mondo. Non hanno invece partecipato le nove nazioni che possiedono armi nucleari e i paesi che fanno parte della NATO, compresa l’Italia, con la sola eccezione dei Paesi Bassi. Il testo del Trattato è stato adottato con il voto a favore di 122 stati, un astenuto (Singapore) e un solo voto contrario, quello dei Paesi Bassi, unico membro della Nato che ha partecipato ai lavori perché obbligato da un voto del Parlamento.

Il punto centrale del Trattato è l’articolo 1 che vieta agli stati aderenti di sviluppare, testare, produrre, acquisire, possedere qualsiasi dispositivo nucleare esplosivo; vieta di «trasferire a qualsiasi destinatario qualunque arma nucleare o altri dispositivi esplosivi nucleari», di «ricevere il trasferimento o il controllo delle armi nucleari direttamente o indirettamente», di «utilizzare o minacciare l’uso di armi nucleari» e di «assistere, incoraggiare o indurre, in qualsiasi modo, qualcuno ad impegnarsi in una qualsiasi attività che sia vietata dal presente Trattato». Il Trattato vieta anche «qualsiasi dislocazione, installazione o diffusione di armi nucleari o di altri dispositivi esplosivi nucleari sul proprio territorio o in qualsiasi luogo sotto la propria giurisdizione o controllo». Proibisce quindi esplicitamente il cosiddetto “nuclear sharing” in base al quale l’Italia ospita ad esempio decine di testate termonucleari statunitensi.

Il Trattato è stato finora firmato da 53 paesi ed è dunque entrato in vigore (la soglia necessaria era la firma di almeno 50 paesi), ma come abbiamo visto non è stato sottoscritto dall’Italia. Il coordinatore dell’organizzazione Rete Disarmo, Francesco Vignarca, ha spiegato che «Al momento l’Italia ritiene che un trattato che non coinvolga anche le potenze nucleari sia controproducente e mini i percorsi concordati di disarmo previsti da precedenti accordi: percorsi che però sono in stallo da oltre 20 anni». E ancora: «Se l’Italia dovesse ratificare il trattato, dovrebbe far smantellare gli ordigni presenti sul nostro territorio. Ma è per questo che i paesi europei con accordi di “nuclear sharing” con gli Stati Uniti (Belgio, Olanda e Germania oltre a noi) sono fondamentali per la riattivazione del percorso di disarmo nucleare».

Prima della firma alle Nazioni Unite il governo italiano aveva dichiarato che «la convocazione di una Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi» costituiva «un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere gli sforzi a favore del disarmo nucleare». L’Italia, aveva sostenuto il governo, preferiva dunque seguire «un percorso graduale, realistico e concreto in grado di condurre a un processo di disarmo nucleare irreversibile, trasparente e verificabile», basato cioè sulla «piena applicazione del Trattato di non-proliferazione (TNP) pilastro del disarmo» (le organizzazioni italiane dell’ICAN hanno fatto però notare che l’Italia non rispetta di fatto nemmeno il TNP, che impegnerebbe gli stati militarmente non-nucleari a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente»).

Il premio Nobel per la Pace fu assegnato per la prima volta nel 1901 e andò al francese Frederic Passt, fondatore e presidente della Società d’arbitraggio tra le nazioni, la prima società espressamente creata per il mantenimento della pace. A differenza di tutti gli altri premi Nobel, il Nobel per la Pace viene consegnato a Oslo, in Norvegia, e non a Stoccolma, in Svezia. Ogni anno organizzazioni e istituzioni sono invitate dal comitato dei Nobel a proporre le candidature, tra le quali viene poi scelto il vincitore attraverso consultazioni e votazioni interne. Il comitato che assegna il Nobel ha fatto sapere che quest’anno il numero di candidati era 318, di cui 215 persone singole e 103 organizzazioni. Nella storia del premio è il secondo numero di candidati più alto: il record è ancora della scorsa edizione, quando i candidati furono 376.

L’anno scorso il premio era stato vinto dal presidente della Colombia Juan Manuel Santos per avere raggiunto un accordo di pace con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), che ha messo fine a una guerriglia durata mezzo secolo e che ha ucciso 220mila persone.