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  • Giovedì 28 settembre 2017

Gabriel Rufián, simbolo giovane e spaccone del referendum in Catalogna

Il successo di un 35enne diventato famoso grazie ai discorsi virali racconta i tentativi degli indipendentisti di conquistare i "nuovi catalani"

Gabriel Rufián durante una protesta a Barcellona, il 20 settembre 2017. (PAU BARRENA/AFP/Getty Images)
Gabriel Rufián durante una protesta a Barcellona, il 20 settembre 2017. (PAU BARRENA/AFP/Getty Images)

Un parlamentare spagnolo di 35 anni è diventato, nell’anno e mezzo in cui ha ricoperto la carica, uno dei più importanti e visibili rappresentanti del fronte che sostiene il referendum per l’indipendenza in Catalogna, che dovrebbe tenersi domenica (dovrebbe, perché di fatto non si sa ancora cosa succederà): si chiama Gabriel Rufián, e coi suoi tweet efficaci e i video dei suoi interventi in Parlamento è diventato una specie di “rock star”, come l’ha definito il direttore del quotidiano catalano El Periodico.

Rufián è particolarmente importante per la campagna a favore dell’indipendenza della Catalogna, perché la sua famiglia non è catalana: i suoi genitori sono infatti originari delll’Andalusia, ma si trasferirono a Barcellona una cinquantina di anni fa. La propaganda indipendentista di Rufián insiste particolarmente su questo punto, e funziona infatti soprattutto tra la circa metà degli abitanti della Catalogna che come lui appartiene a famiglie originarie di altri posti della Spagna (o del mondo), e che per questo partecipa meno all’identità regionale ed è meno ricettiva nei confronti delle istanze separatiste, quando non profondamente legata all’identità nazionale spagnola.

Rufián appartiene all’Esquerra Republicana de Catalunya, partito indipendentista di sinistra che ha nove seggi nel parlamento spagnolo e venti in quello catalano (dove fa parte della coalizione Junts pel Sí). Si definisce marxista, anche in aula indossa magliette sotto la giacca, piace ai giovani e i suoi discorsi sembrano pensati per diventare virali su YouTube, tutti motivi per cui viene accusato di essere un agitatore di folle senza veri contenuti e un populista. Quando parlò per la prima volta al parlamento spagnolo, nel marzo del 2016, lo fece in modo enfatico, con pause a effetto, annunciando «la vostra sconfitta, la nostra vittoria». El Paìs, il più importante quotidiano spagnolo, schierato contro l’indipendenza catalana, scrisse che era «nata una stella».

Su Twitter ha quasi 300mila follower, e riceve migliaia di retweet. Spesso adotta stratagemmi stravaganti per fare parlare di sé: lo scorso 13 settembre è andato in parlamento con una stampante, e rivolgendosi alla vice prima ministra Soraya Sáenz de Santamaría le ha detto: «Ve la state prendendo con questo. È questo quello che state cercando. Ho una scheda elettorale, spero non mi arresterete». Rufián si riferiva al sequestro di milioni di schede elettorali per il referendum catalano, e all’arresto di 14 funzionari che lo stavano organizzando. Sáenz de Santamaría gli ha risposto dicendogli che può «indossare magliette con gli slogan che vuole, raccogliere i suoi migliori tweet della settimana, perfino portare la stampante per farci vedere come fate il vostro referendum fatto in casa. Questo governo che critichi così tanto, questo stato che ti dà così fastidio e che ti soffoca, ti permette di fare ogni settimana il tuo ridicolo spettacolo».

Rufián è stato accusato, come la maggior parte dei politici indipendentisti, di adottare una propaganda campanilista e xenofoba: il fatto che rivendichi le sue origini andaluse gli ha però consentito di smarcarsi da queste critiche. Sostiene anzi che l’indipendenza della Catalogna sia l’unico modo per rendere la Spagna un paese più democratico, e per liberarsi definitivamente dall’eredità fascista della dittatura del generale Francisco Franco, durante la quale l’indipendentismo fu duramente represso. A Politico ha detto che il referendum servirà anche al resto del paese.

Lluis Orriols, docente all’università Carlo III di Madrid, ha spiegato che Rufián serve agli indipendentisti per sostenere che dietro al referendum non ci siano solo rivendicazioni identitarie e persone con il cognome catalano: serve a raccogliere consensi nelle aree di recente immigrazione, come quella di Barcellona e della costa, dove i partiti indipendentisti sono più deboli e si parla più spagnolo che catalano. Il fronte indipendentista in Catalogna è cresciuto moltissimo negli ultimi anni, passando da circa il 14 per cento dei consensi del 2006 al 41 per cento del 2016: per diventare maggioritario, però, ha bisogno di conquistare i nuovi catalani come Rufián. Tra chi parla come lingua principale il catalano (cioè circa il 40 per cento della popolazione della regione), il sì al referendum ha circa il 71 per cento dei consensi; tra chi parla principalmente spagnolo (il 44 per cento, perché il 15 per cento dice di parlarle entrambe senza distinzioni), ha circa il 17 per cento.

Per provare a convincere gli elettori più moderati, Rufián ha insistito sul fatto che non si può ottenere più autonomia evitando la separazione dalla Spagna. Spesso il bersaglio principale dei suoi discorsi è il Partito Socialista, votato in Catalogna da elettori di centrosinistra non indipendentisti: ma che comunque hanno più possibilità di diventarlo degli elettori del Partito Popolare. Lo stile spavaldo e provocatorio di Rufián, secondo molti, serve anche a provocare gli avversari politici e spingerli a rispondere in maniera esasperata e avventata, per poi sfruttare le loro parole per rafforzare l’idea di una Spagna reazionaria e oppressiva nei confronti dei catalani.