• Mondo
  • Domenica 17 settembre 2017

Ma questi ribelli rohingya, chi sono?

Cosa sappiamo del gruppo che si sta scontrando con l'esercito birmano e del suo leader, nato in Pakistan e cresciuto in Arabia Saudita

Immagine tratta da un video diffuso da ARSA: l'uomo senza passamontagna è Ata Ullah
Immagine tratta da un video diffuso da ARSA: l'uomo senza passamontagna è Ata Ullah

Da più di tre settimane sono ricominciati gli scontri in Myanmar tra i ribelli della minoranza musulmana dei rohingya e le forze di sicurezza birmane. Gli scontri, particolarmente violenti, hanno già costretto più di 300mila rohingya a lasciare le loro case e scappare in Bangladesh, paese che confina a sud con lo stato birmano del Rakhine, dove vivono i rohingya. Nonostante la terribile situazione dei rohingya sia stata raccontata in diverse occasioni negli ultimi anni, lo stesso non si può dire del gruppo di ribelli che si sta scontrando con le forze di sicurezza birmane: si chiama Esercito per la salvezza dei rohingya nel Rakhine (più noto con la sigla inglese ARSA), è guidato da un rohingya nato in Pakistan e cresciuto alla Mecca, in Arabia Saudita, e negli ultimi tempi ha attirato anche l’attenzione dei vertici di al Qaida, che hanno invitato i musulmani di tutta la regione ad andare in Myanmar e sostenere la causa dei rohingya.

Rohan Gunaratna, capo dell’International Center for Political Violence and Terrorism Research della scuola di Studi Internazionali di Singapore, ha detto al Wall Street Journal: «Nei prossimi anni il Myanmar sarà colpito da una insurgency molto potente, a meno che il governo non comincerà a lavorare con la comunità internazionale per risolvere il conflitto». Ma perché solo di recente si parla del rischio di una insurgency radicale islamista in Myanmar, quando è da decenni che i rohingya sono perseguitati ferocemente dal governo birmano? Non c’è una risposta chiara e definitiva, anche perché il nord dello stato del Rakhine è praticamente off-limits per organizzazioni internazionali, giornalisti stranieri e turisti, ma qualcosa si può cercare di capire, con le informazioni disponibili.

Sembra che ARSA sia stato fondato nel 2012 dopo gli scontri di quell’anno tra buddisti e rohingya musulmani nello stato del Rakhine: il fondatore del gruppo è anche il suo attuale leader. Si chiama Ata Ullah ed è figlio di un uomo rohingya costretto a trasferirsi a Karachi, in Pakistan, a causa delle persecuzioni del governo del Myanmar. Ata Ullah, che oggi ha una quarantina d’anni, è nato proprio a Karachi ma è cresciuto in Arabia Saudita, dove si trasferì la sua famiglia quando aera ancora piccolo. Ata Ullah si è formato in una madrassa, una scuola coranica, ed è per questo che oltre a parlare il dialetto usato dai musulmani nel nord del Rakhine conosce anche l’arabo. Nel 2012, dopo gli scontri tra buddisti e musulmani, Ata Ullah decise di lasciare l’Arabia Saudita: secondo l’esercito birmano andò in Pakistan, dove ricevette dai talebani un addestramento di sei mesi sulle tecniche di guerriglia. Alla fine dell’addestramento, tra il 2012 e il 2013, tornò nel Rakhine e cominciò a reclutare giovani combattenti per formare un gruppo inizialmente chiamato Harakah al Yaqin, che sarebbe poi diventato ARSA.

Un servizio di CNN sui ribelli rohingya, con un pezzo di intervista ad Ata Ullah. Il video è stato pubblicato nel febbraio 2017

In un rapporto del dicembre 2016 l’International Crisis Group, organizzazione non governativa che si occupa di crisi e conflitti, scriveva a proposito di ARSA: «Il rafforzamento di questo gruppo ben organizzato e apparentemente ben finanziato è un elemento di svolta negli sforzi fatti dal governo del Myanmar per affrontare le complesse sfide dello stato del Rakhine, che includono le discriminazioni di lunga data contro la popolazione musulmana, la negazione dei diritti e della cittadinanza». Secondo il rapporto, per molto tempo ARSA non era riuscito a imporsi tra i rohingya dello stato del Rakhine, una comunità musulmana senza grandi storie di radicalizzazione islamista e i cui leader consideravano la violenza come uno strumento controproducente per vedere riconosciuti i propri diritti. Nell’ultimo anno però le cose sembrano cambiate: le politiche profondamente discriminatorie e violente del governo birmano contro i rohingya hanno provocato un rafforzamento di ARSA, che è riuscito a trovare nuovo sostegno tra la popolazione locale.

Alcuni analisti sostengono che oggi ARSA sia formato da parecchie centinaia di combattenti e sia supervisionato da un comitato di una ventina di rohingya in esilio in Arabia Saudita. Dicono anche che, rispetto ai suoi primi anni di vita, sia meglio armato e organizzato. Negli ultimi mesi, inoltre, diversi gruppi islamisti indonesiani hanno cominciato a reclutare volontari per andare a combattere in Myanmar a fianco dei rohingya e lo stesso hanno iniziato a fare alcune fazioni radicali nel sud delle Filippine. ARSA continua a negare di avere legami con organizzazioni terroristiche internazionali come al Qaida, e sostiene che la sua lotta sia finalizzata solo a liberare i rohingya dalle persecuzioni del governo birmano. Ad agosto il governo birmano ha inserito ARSA nella lista delle organizzazioni terroristiche.

L’ultima crisi tra rohingya e forze di sicurezza birmane è cominciata il 25 agosto, quando ARSA ha attaccato una stazione di polizia nello stato del Rakhine uccidendo 12 persone e provocando la feroce reazione delle forze di sicurezza birmane. Secondo l’International Crisis Group, l’attacco sarebbe stata una mossa calcolata: «ARSA sapeva che stava spingendo le forze di sicurezza a rispondere con violenza, e sperava così che quella reazione avrebbe alienato ulteriormente le comunità rohingya, spingendole a sostenere ARSA, e avrebbe posto l’attenzione del mondo sugli abusi dei militari nello stato del Rakhine».