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  • Domenica 3 settembre 2017

Il paradosso della Premier League

L'Economist si chiede perché il campionato di gran lunga più ricco e seguito al mondo non sia il più bello né il più vincente

Tifosi indonesiani del Manchester United guardano una partita di Premier League in un locale di Giacarta (Chandan Khanna/AFP/Getty Images)
Tifosi indonesiani del Manchester United guardano una partita di Premier League in un locale di Giacarta (Chandan Khanna/AFP/Getty Images)

Da anni il campionato di calcio europeo più ricco e famoso è la Premier League inglese. Lo dice il valore della lega, la portata degli accordi commerciali e gli introiti derivanti dalla vendita dei diritti televisivi (e di conseguenza gli ascolti che fanno registrare le sue partite in tutto il mondo). Ma essere il campionato più ricco e seguito non garantisce anche la superiorità nei risultati. Parlando in una conferenza stampa in occasione del 25mo anniversario della Premier League, persino l’allenatore del Manchester City, Pep Guardiola, ha voluto ribadirlo: «In termini economici, in termini di business, è di gran lunga il miglior campionato al mondo. Ma sul campo il miglior campionato è nettamente la Liga spagnola».

Sembra un controsenso, a maggior ragione guardando nei dettagli il confronto economico con gli altri quattro principali campionati europei. Nella passata stagione i club inglesi hanno registrato entrate per circa 5 miliardi di euro, circa il doppio rispetto agli altri campionati. Nella passata stagione il Sunderland ha incassato più di 100 milioni di euro dalla vendita dei diritti televisivi: per la stagione 2015/2016 la Juventus ha ricevuto praticamente gli stessi soldi, solo che la Juventus ha vinto la Serie A e il Sunderland è arrivato ultimo in Premier League ed è quindi retrocesso in Championship.

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L’ultimo club inglese a raggiungere la finale di Champions League è stato il Chelsea nel 2012. L’ultimo calciatore inglese a finire fra i primi cinque giocatori candidati al Pallone d’Oro è stato Wayne Rooney nel 2011. Nel ranking UEFA dei campionati l’Inghilterra (63.176) è dietro la Germania (63.427) e non è poi così lontana dall’Italia (61.916). Questa settimana l’Economist ha provato a mettere insieme le ragioni che stanno dietro gli scarsi successi delle squadre inglesi in campo internazionale, chiedendosi perché un campionato così mediocre sia anche così popolare, e viceversa.

La differenza la fa principalmente l’appetibilità del prodotto, a partire dalla lingua, che rende la Premier League molto più coinvolgente della Bundesliga e della Serie A, per esempio: gli spettatori possono comprendere più facilmente quello che dicono gli allenatori a bordocampo, o gli arbitri, o i commentatori. Poi c’è la questione degli stadi e degli ambienti in cui si giocano le partite. Per lo spettacolo e per l’esperienza televisiva, la Premier League permette di guardarle in un contesto in cui i campi da gioco sono pressoché perfetti e gli stadi per la maggior parte pieni, cosa che le rende ulteriormente coinvolgenti. Questi sono i due vantaggi più evidenti della Premier League, che quindi ha potuto raggiungere i mercati esteri da ben più tempo degli altri campionati. I club più importanti come Manchester United e Arsenal hanno iniziato infatti a stringere accordi commerciali e organizzare tournée in altri continenti da circa vent’anni, anticipando di alcuni anni gli altri club europei. Alla lunga, tuttavia, la posizione privilegiata del campionato inglese potrebbe cambiare.

L’equa ripartizione dei diritti televisivi che contraddistingue la Premier League esiste perché non si crei una netta disparità tra i club di alta classifica e tutti gli altri, come invece avviene da anni in Spagna, Italia e Germania. Questo fa sì che nessun club raggiunga una posizione dominante, ma la competitività della lega non ne trae beneficio, principalmente per via dello stile di gioco inglese, noto ormai da anni per essere sia poco spettacolare che poco efficace contro gli altri stili europei. La sola grande qualità che gli viene riconosciuta è l’imprevedibilità, che viene mantenuta tale anche grazie all’equa spartizione delle entrate annuali. Di conseguenza i grandi giocatori preferiscono andare a giocare altrove, dove hanno più possibilità di vincere i più ambiti trofei internazionali: è il caso per esempio di Luis Suarez e Gareth Bale, due fra i più forti calciatori che la Premier League abbia mai avuto, andati entrambi a giocare in Spagna, dove con Barcellona e Real Madrid hanno vinto praticamente tutto.

Lo stile di gioco inglese è inoltre estremamente difficile da cambiare dall’interno: basti pensare alle difficoltà incontrate da Pep Guardiola con il Manchester City, che dopo un anno sembra stia facendo ancora fatica ad adattarsi. Ci sono tuttavia allenatori che hanno interpretato molto bene il calcio inglese, come Antonio Conte al Chelsea, ma le loro vittorie internazionali sono rimaste spesso isolate. Alla lunga, quindi, la mancanza di vittorie potrebbe spostare parte dell’attenzione su altri campionati, che nel frattempo potrebbero anche ridurre il loro scarto economico con la Premier League. A questo potrebbero aggiungersi poi le conseguenze del basso livello dei settori giovanili inglesi, i cui giocatori fanno molta fatica a trovare sbocchi in prima squadra per via del sempre maggior numero di giocatori stranieri – e nemmeno così giovani – che i club acquistano regolarmente grazie alle ampie risorse di cui dispongono.