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  • Giovedì 22 giugno 2017

Perché Macron ha fatto un nuovo governo?

In Francia è consuetudine che tra le presidenziali e le legislative ci siano delle modifiche, ma quelle del nuovo presidente sono state più politiche che tecniche

Il nuovo governo francese, Parigi, 22 giugno 2017 (AP Photo/Thibault Camus)
Il nuovo governo francese, Parigi, 22 giugno 2017 (AP Photo/Thibault Camus)

Mercoledì 21 giugno è stata annunciata la composizione del secondo governo presieduto da Edouard Philippe. Il primo governo Philippe era stato nominato lo scorso 14 maggio, dopo l’elezione di Emmanuel Macron alla presidenza della Repubblica; una settimana fa si erano svolte poi le elezioni legislative nelle quali il partito di Macron, La République En Marche! (LRM), aveva ottenuto la maggioranza assoluta. Nella politica francese non è insolito che un primo rimpasto di governo segua le elezioni legislative, ma avrebbe dovuto essere più tecnico che politico: secondo gli osservatori, invece, la situazione è stata sfruttata abilmente da Macron.

Come si è arrivati fino a qui
Negli ultimi giorni tre ministri di MoDem, il partito centrista alleato di Macron, si erano dimessi a causa di un’inchiesta preliminare avviata dalla procura di Parigi lo scorso 22 marzo: il sospetto è che MoDem abbia utilizzato i fondi del Parlamento Europeo per pagare degli assistenti parlamentari che operavano invece in Francia e non si occupavano di questioni europee. Un’inchiesta simile era iniziata nel 2015 anche contro il Front National di Marine Le Pen; il filone che riguarda MoDem è stato avviato dopo la segnalazione di un’eurodeputata del Front National, Sophie Montel.

I ministri MoDem del primo governo che si erano dimessi a causa dell’indagine erano François Bayrou, leader del partito e scelto inizialmente come ministro della Giustizia, Marielle de Sarnez, fino a ieri ministra degli Affari europei, e Sylvie Goulard, ex ministra delle Armi. A causa di un’indagine per un presunto conflitto di interessi si era dimesso anche l’ex socialista Richard Ferrand, ministro della Coesione territoriale.

Il nuovo governo
Ieri nel nuovo governo sono state nominate in totale 11 persone: 4 nuovi ministri, 6 sottosegretari e per un solo membro è stato deciso un cambio di ruolo. Del nuovo governo, nonostante l’indagine preliminare, fanno parte anche due esponenti di MoDem: una ministra “delegata” e una segretaria di stato.

I due posti più importanti lasciati vuoti dalle dimissioni degli ultimi giorni sono stati occupati da due donne socialiste: Nicole Belloubet, 62 anni, giurista, membro del Consiglio costituzionale, è la nuova ministra della Giustizia, mentre Florence Parly, 54 anni e ex ministra nel governo Jospin, è la nuova ministra delle Armi. Stéphane Travert, 47 anni, è stato scelto come ministro dell’Agricoltura e dell’Alimentazione al posto di Jacques Mézard, che è stato spostato alla Coesione territoriale. Nathalie Loiseau, 53 anni, è stata scelta come ministra degli Affari europei e Jacqueline Gourault, 67 anni, senatrice dei MoDem e vicina a François Bayrou, è la nuova ministra “delegata” degli Interni. Nel governo Macron, in realtà, non esiste la qualifica di “ministre délégué”, cioè “delegato”, ma di “ministre auprès”, un ministro che “vicino” a un altro ministero è incaricato di occuparsi di una particolare questione o di rafforzare quello stesso ministero. Jacqueline Gourault è dunque stata scelta come “ministre auprès” del ministro dell’Interno il cui titolare è Gérard Collomb, sindaco di Lione, membro del Partito Socialista e sostenitore di Macron per tutta la campagna elettorale.

Nel nuovo governo sono entrati anche sei nuovi segretari di stato, mentre gli altri ministri sono stati confermati: tra loro ci sono Bruno Le Maire all’Economia e alle Finanze, Jean-Yves Le Drian all’Europa e agli Esteri; Nicolas Hulot all’Ambiente, che è un giornalista e un attivista ambientalista alla sua prima esperienza al governo. Il secondo governo Philippe è formato da 20 ministri e da 10 sottosegretari ed è composto da 15 uomini e 15 donne: oltre al primo ministro, ci sono altri altri 4 esponenti dei Repubblicani, otto socialisti che hanno però sostenuto Macron per tutta la campagna elettorale, 15 esponenti della cosiddetta “società civile” e due MoDem.

Il rimpasto
In Francia non è strano che dopo l’esito delle elezioni legislative ci sia un rimpasto di governo. Dopo le presidenziali il nuovo presidente sceglie un primo ministro e viene formato un primo governo che è possibile subisca delle modifiche dopo i risultati delle elezioni per rinnovare l’Assemblea Nazionale. Jean-Marc Ayrault era stato nominato il 15 maggio del 2012, dopo che François Hollande aveva giurato come nuovo presidente. Il primo governo era stato formato il giorno successivo ed era composto da una maggioranza di socialisti, ma anche da due ecologisti e da due esponenti della sinistra radicale. Questa prima formazione era stata mantenuta fino a dopo la vittoria della sinistra alle elezioni legislative, che si erano svolte un mese dopo, a cui però erano stati aggiunti alcuni nuovi vice-ministri. Nel 2007 François Fillon era stato nominato primo ministro dopo il giuramento di Nicolas Sarkozy. Il suo governo era stato costituito il 18 maggio ed era stato caratterizzato da un’apertura a sinistra. Un mese più tardi, dopo le elezioni legislative, era stato formato un secondo governo senza però il ministro dell’Ecologia Alain Juppé, che era stato sconfitto nel suo collegio elettorale. Il rimpasto di Macron non è dunque un evento straordinario, ma è stato più ampio del previsto, e questo non è dipeso dall’esito delle legislative ma da fattori esterni: l’indagine giudiziaria che coinvolge MoDem.

Lo scorso febbraio il capo del partito centrista François Bayrou, più volte candidato alle presidenziali, aveva deciso di ritirarsi e di sostenere Emmanuel Macron. Una volta vinte le elezioni presidenziali e formato il primo governo, Bayrou e altri esponenti dei MoDem erano stati premiati e scelti per ruoli molto importanti. Il risultato del partito centrista alle legislative aveva poi rafforzato l’alleanza: La République en marche! aveva ottenuto 308 seggi e MoDem aveva eletto 42 deputati dando alla coalizione una maggioranza molto più ampia dei 289 seggi necessari per governare. I guai di MoDem non hanno quindi gravi conseguenze su Macron dal punto di vista dei numeri, poiché per avere la maggioranza assoluta bastano 289 seggi e il partito di Macron ha superato la soglia anche senza l’aiuto di MoDem.

Certamente il rimpasto di governo avrebbe dovuto essere più un’operazione tecnica che politica, con l’ingresso di alcuni sottosegretari, per esempio. Le cose sono andate in modo diverso, ma la situazione è stata in qualche modo sfruttata da Macron a suo favore. Gli osservatori scrivono infatti che se nel primo governo Philippe i «macronistes» erano stati relativamente trascurati, dopo il rimpasto hanno sensibilmente guadagnato peso. Macron ha cioè lanciato un messaggio molto chiaro con il rimpasto: che vuole essere lui l’unico «capitano della nave». Scegliendo di accettare le dimissioni del leader dei MoDem Bayrou ma di non escludere completamente il partito dal nuovo governo, il presidente ha poi evitato una spaccatura politica e possibili futuri conflitti: ha voluto ribadire che l’alleanza con il partito centrista è ancora rilevante e che MoDem, come ha spiegato Edouard Philippe su TF1, «rimane uno dei pilastri» della maggioranza.

Le Figaro aggiunge anche due ulteriori commenti al nuovo governo: che la destra ne esce rafforzata con la nomina di due sottosegretari molto influenti e che il Partito Socialista, pesantemente in crisi dopo le presidenziali e le legislative, sta prendendo una nuova forma, quella del “macron-socialismo”. Spiega Le Figaro che Macron ha scelto di colpire il PS «con metodo». Dopo aver costruito la propria ascesa in modo da far implodere i socialisti, già divisi tra una corrente più a sinistra e una più centrista, ha deciso di infliggere al PS un nuovo colpo: non tanto dal punto di vista numerico ma politico, riuscendo a far fondere l’ala più moderata del partito con il proprio movimento. E questo non ha solamente rafforzato il sostegno nei suoi confronti e ampliato la base del suo consenso: gli è servito anche per mettere a tacere chi lo accusa di essere troppo di destra.