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  • Mercoledì 24 maggio 2017

Ha senso parlare di “mondo musulmano”?

E di musulmani moderati? Non molto, sono espressioni superficiali che mescolano e distorcono cose molto diverse tra loro

Donne iraniane pregano in una moschea a sud di Teheran (AP Photo/Vahid Salemi)
Donne iraniane pregano in una moschea a sud di Teheran (AP Photo/Vahid Salemi)

Durante la sua visita in Arabia Saudita, il presidente americano Donald Trump ha detto: «Ho scelto di fare il mio primo viaggio ufficiale all’estero nel cuore del mondo musulmano». La scelta dell’espressione “mondo musulmano”, un modo di dire molto diffuso in Occidente, non è passata inosservata: tra gli altri ne ha scritto Zareena Grewal, docente dell’Università di Yale e collaboratrice di alcuni grandi giornali americani. In un articolo sull’Atlantic, Grewal ha sostenuto che il “mondo musulmano” in quanto tale non esiste, e ha criticato il passaggio in cui Trump ha paragonato i “musulmani moderati” ai “buoni”, alla “brava gente”. «Io ripudio l’espressione “musulmana moderata”. Mi presento sempre come musulmana radicale», ha scritto Grewal.

Le precisazioni di Grewal si inseriscono in un ampio dibattito sul modo in cui spesso negli Stati Uniti e in Europa ci si riferisce ai paesi a maggioranza musulmana. L’utilizzo dell’espressione “mondo musulmano” o “mondo islamico” è superficiale e non ha molto senso. Grewal scrive: «Il “mondo musulmano” non è una cosa che esiste. È un’idea occidentale costruita su una logica razziale errata secondo cui i musulmani vivrebbero in un loro proprio mondo, e secondo cui l’Islam sarebbe una religione esotica che appartiene a un luogo distante, lontano e polveroso». Questa è la logica che è sembrata prevalere durante la campagna elettorale di Trump, quando l’allora candidato Repubblicano diceva cose come «l’Islam ci odia». È un’idea che Trump sembrava avere adottato anche nei primi mesi di presidenza, per esempio promuovendo il cosiddetto “muslim ban”, che dalle parole di un suo stesso collaboratore era nato come un modo per legalizzare un divieto per le persone musulmane di entrare in territorio statunitense.

Ci sono altre ragioni per le quali sarebbe meglio evitare l’espressione “mondo musulmano”.

La prima è che non è chiaro se ci si voglia riferire ai paesi a maggioranza musulmana oppure alle persone musulmane nel mondo. La differenza non è poca: si può ben immaginare quanto sia diverso un musulmano dell’Arabia Saudita da un musulmano della regione cinese dello Xinjiang o da uno di New York, per esempio, ma se si considerassero solo i paesi a maggioranza musulmana il cinese dello Xinjiang e quello di New York non sarebbero nemmeno coinvolti dal discorso.

Inoltre, anche tra i paesi a maggioranza musulmana, le differenze e le rivalità sono enormi. L’Iran e l’Arabia Saudita sono rispettivamente un paese sciita e uno sunnita e si contendono ferocemente la supremazia della regione del Golfo Persico. La loro inimicizia è evidente sia nella guerra in Yemen che in quella in Siria, dove combattono su due fronti opposti. C’è poi da dire che spesso l’espressione “mondo musulmano” viene usata come sinonimo di “mondo arabo”, e questo è un altro errore. Il mondo arabo comprende in realtà i 22 paesi in cui si parla arabo e che sono membri della Lega Araba – quindi in sostanza i paesi del Medio Oriente, del Nordafrica e del Corno d’Africa – ma non comprende per esempio i paesi dell’Asia Centrale e del sud-est asiatico.

Per tutte queste ragioni l’espressione usata da Trump, «il cuore del mondo musulmano», non ha particolarmente senso: di che mondo stava parlando?

Grewal fa poi un’altra critica a chi usa questa semplificazione, e se la prende con l’accostamento tra persone “buone” e “per bene” e i “musulmani moderati”. Secondo Grewal, nella concezione di Trump i “musulmani moderati” sono coloro che oltre ad avere una certa visione dell’Islam appoggiano le posizioni del governo statunitense, ed è per questo che sono “buone”. Per Trump e per molte amministrazioni americane prima di lui, per esempio, i sauditi – che abitano un paese che adotta un’interpretazione ultra-radicale dell’Islam – sarebbero “musulmani moderati”, in quanto alleati degli Stati Uniti. Il problema, scrive Grewal, è che l’Occidente interpreta in maniera fuorviante l’espressione “musulmani radicali”, che in Occidente si accosta spesso al terrorismo. Molti musulmani in giro per il mondo descrivono se stessi come “musulmani radicali” perché sono impegnati a favore della giustizia sociale e della lotta al razzismo, per esempio.