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  • Mercoledì 10 maggio 2017

Trump ha licenziato il capo dell’FBI

È una decisione inattesa e molto controversa, perché James Comey stava guidando le indagini sui rapporti tra la Russia e il comitato elettorale di Trump

James Comey (Eric Thayer/Getty Images)
James Comey (Eric Thayer/Getty Images)

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rimosso dal suo incarico il direttore dell’FBI, James Comey. L’FBI è il più importante organo della polizia federale americana e da diverso tempo sta conducendo tre indagini sui rapporti fra il comitato elettorale di Donald Trump e la Russia, e sull’ingerenza della Russia nelle ultime elezioni presidenziali. La decisione di Trump era inaspettata: la nomina del direttore dell’FBI non è di natura politica e il suo mandato dura 10 anni; e se per consuetudine un direttore dell’FBI si dice pronto a dimettersi quando si insedia un nuovo presidente, Trump aveva confermato Comey e anche con un certo entusiasmo. Comey ha 56 anni ed era entrato in carica nel settembre del 2013: era stato inizialmente nominato dal presidente George W. Bush al dipartimento della Giustizia – Comey è stato a lungo iscritto nelle liste elettorali come Repubblicano – ed era stato poi promosso da Obama.

In una lettera inviata a Comey mentre questo si trovava all’FBI di Los Angeles, Trump ha spiegato di aver preso la decisione su raccomandazione del procuratore generale statunitense Jeff Sessions. La lettera gli è stata consegnata dall’assistente personale di Trump, decisione secondo molti non casuale, ma Comey aveva già appreso del suo licenziamento attraverso la tv. Secondo Trump, in sostanza, Comey non è più in grado di guidare efficacemente l’FBI. La lettera ha almeno un paio di passaggi notevoli: nel primo Trump esprime i suoi giudizi negativi su Comey “nonostante in tre diverse occasioni lei mi abbia rassicurato che non sono sotto indagine”, esplicitando un legame tra la sua decisione e l’inchiesta sulla Russia e apparentemente alludendo all’esistenza di un nesso tra la soddisfazione di Trump e il fatto che l’FBI indaghi su di lui o no.

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Il secondo passaggio problematico è proprio la raccomandazione del procuratore generale Jeff Sessions, che a marzo era stato costretto a rinunciare alla sua supervisione dell’inchiesta su Trump e la Russia dopo che era venuto fuori che aveva incontrato più volte l’ambasciatore russo negli Stati Uniti e lo aveva nascosto alla stampa e al Congresso, benché fosse sotto giuramento. Pur avendo rinunciato alla supervisione, ora Sessions ha raccomandato la rimozione del capo di quell’indagine; e il presidente Trump sceglierà un nuovo responsabile per l’indagine che lo riguarda.

La scorsa settimana una commissione del Senato americano che sta indagando sull’ingerenza della Russia nelle elezioni americane aveva sentito Comey, che nella sua testimonianza aveva detto di avere riaperto l’indagine sulle email di Hillary Clinton a due settimane dal voto di novembre perché, tra le altre cose, dall’indirizzo di Clinton erano state mandate “centinaia, migliaia” di email indirizzate a Anthony Weiner, il marito dell’assistente personale di Clinton, nonché protagonista di un altro grosso scandalo. Qualche ora fa la stessa FBI aveva però precisato che le email citate da Comey in realtà non erano “centinaia, migliaia” ma molte meno. Le motivazioni ufficiali del licenziamento di Comey, spiegate dal vice procuratore generale, citano proprio la sua gestione dell’inchiesta su Clinton, relativamente sia a questa imprecisione che in generale alla decisione di Comey – fin qui contestata dai Democratici e difesa dai Repubblicani – di annunciare la riapertura dell’indagine su Clinton a 11 giorni dalle elezioni presidenziali, condizionando la fine dell’ultima campagna elettorale.

Ascolta “S2E8. Perché Hillary Clinton ha perso le elezioni?” su Spreaker.

L’ultima puntata del podcast di Francesco Costa, peraltro vicedirettore del Post, sulla gestione del caso email da parte di James Comey e dell’FBI e il suo impatto nelle ultime elezioni presidenziali.

Nella stampa americana però praticamente nessuno prende sul serio questa ipotesi, anche perché la gestione di quell’indagine è una storia vecchia di mesi e che non era mai stata considerata problematica dai Repubblicani e da Trump (anzi, secondo pareri documentati era stata fondamentale nel far vincere le elezioni a Trump, che più volte aveva lodato Comey per questo). Anzi, il New York Times e altre testate riferiscono che Trump da una settimana stesse pensando di rimuovere Comey dall’incarico, e abbia chiesto a Sessions di trovare delle ragioni per giustificarlo: l’imprecisione nel corso dell’ultima audizione al Senato sarebbe stata allora un’occasione buona e un pretesto per chiudere il rapporto. Comey è stato sempre descritto come un direttore molto apprezzato dai suoi colleghi e sottoposti: per questo ci si aspettano ora nuove fughe di notizie sull’inchiesta (cioè agenti che in forma anonima raccontano cose ai giornali) soprattutto se questa dovesse arenarsi. Il New York Times e CNN, basandosi su alcune loro fonti, hanno scritto che alcuni giorni prima di essere licenziato Comey aveva chiesto al dipartimento di Giustizia più risorse per le indagini sull’ingerenza della Russia nelle elezioni presidenziali (il dipartimento di Giustizia ha smentito questa notizia).

L’indagine sull’ingerenza della Russia nella campagna elettorale e i presunti legami con il comitato elettorale di Trump andrà avanti, infatti, ma come minimo sarà rallentata dalla ricerca e poi dall’insediamento di un nuovo capo dell’FBI; senza contare che molti tra i Democratici e nella stampa ora temono che Trump nomini una persona non particolarmente indipendente dal punto di vista politico (e che anche se lo fosse, saprebbe che Trump può licenziarlo in qualsiasi momento se insoddisfatto dall’andamento dell’indagine), che chiuda l’inchiesta o non la persegua con determinazione. Anche per questo praticamente tutti i parlamentari Democratici stanno chiedendo alla Casa Bianca di nominare un procuratore speciale che gestisca l’inchiesta in autonomia, per sottrarla al controllo e alla supervisione della Casa Bianca; anche alcuni parlamentari Repubblicani si sono associati a questa richiesta. In serata, la portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders ha detto che l’amministrazione non ritiene necessaria la nomina di una figura di questo tipo.

Intanto sia tra i Democratici che sui giornali molti hanno definito il licenziamento improvviso di Comey come una mossa “nixoniana” da parte di Trump, in riferimento al cosiddetto “massacro del sabato sera” del 1973. Con questa espressione nella storia americana si intende infatti la decisione del presidente Richard Nixon di licenziare il procuratore speciale Archibald Cox, nominato allo scopo di gestire in modo indipendente l’indagine sul Watergate. Il licenziamento di Cox provocò le dimissioni per protesta del procuratore generale Elliot Richardson e del vice procuratore William Ruckelshaus. L’indagine sul Wategate proseguì, anche se non portò mai all’impeachment, ma Nixon si dimise poi nel 1974.