Cosa vuol dire “redimere”

La sesta parola spiegata da Massimo Arcangeli ha a che fare con la volontà di qualcuno di liberare o salvare un'altra persona o un qualcosa da una condizione di assoggettamento o schiavitù

di Massimo Arcangeli

Chi vuol redimere qualcuno è intenzionato a salvarlo, riscattarlo, affrancarlo dalla povertà, dall’infelicità, dall’altrui dominio o altro ancora; a ricondurlo sulla retta via, perché vive nella disonestà, nella vergogna, nella dipendenza da un vizio; o ancora, parlando di un popolo, a sottrarlo a una condizione di assoggettamento o di schiavitù.

Si può anche voler redimere una cosa, per liberarla da una situazione di crisi, di disagio (per esempio ambientale), di grande difficoltà, ma in questo caso il verbo è sentito come fortemente letterario: redimere un’area dalla presenza di mine inesplose, per esempio, vorrebbe dire bonificarla. Infine, se sono io a volermi redimere, è perché intendo liberarmi da qualcosa che mi opprime, mi tormenta, non mi dà pace: un peso, un dolore, una colpa, un’umiliazione. Redimere possiede in realtà anche un significato economico-finanziario, ma è di fatto caduto in disuso: è quello di ricomprare, riacquistare, riscattare una cosa (un debito, un pegno, un gioiello, ecc.), versando la somma di denaro necessaria per “liberarla”.

Sono gli ultimi indicati, ancora presenti nei tecnicismi redimibile e redimibilità (con riferimento a una rendita, al debito pubblico o altro), i significati principali del latino redimere, che voleva dire anche “procacciarsi”, “appaltare”, “liberare (o salvare) a un dato prezzo”, ecc. Il suo passaggio dall’ambito economico-monetario alla sfera religiosa, dove redimere significa “riscattare il genere umano dal peccato”, si deve agli effetti dei cambiamenti linguistici intervenuti nel latino dei cristiani. Hanno avuto la stessa sorte di redimere altri verbi del latino classico (absolvere, praedicare, remittere, ecc.), e così tanti nomi e aggettivi. In età pagana i significati astratti negativi di humilis e humilitas prevalevano su quelli positivi, ma con l’avvento del cristianesimo il quadro si ribaltò. Un’altra storia interessante è quella del latino passio (greco πάθος): la parola esprimeva in origine una condizione di passività, simile a quella del paziente di un ospedale, che la vedeva opposta ad actio (“atto, azione”); lo stoicismo, nell’attribuirgli valori negativi (sofferenza, agitazione, turbamento), la contrappose a ratio, influenzando il cristianesimo; la gloriosa passio di Cristo ne attenuò infine il valore negativo: anche se oggi, nella parola passione, cogliamo meno che in passato il senso dell’antico sacrificio, le passioni che ci accendono i cuori o i sensi, perfino nel dar libero sfogo alle nostre inclinazioni, devono più di qualcosa al “glorioso” patimento, in corpo e in spirito, della sua morte in croce.

Ben 79 su 196 matricole universitarie non hanno saputo fornire nessun significato di redimere. Hanno indicato perdonare in ventitré, liberare in sette, salvare in sette, riscattare in cinque, pentire in cinque (pentirsi in sette), assolvere in quattro, espiare in tre, convertire in due. Hanno risposto stilare in quattro (confondendo redimere con redigere), eliminare in tre, confessare in due («Devo redimere i miei peccati»; «Redimere i peccati»), cancellare in due, dirigere in due. Gli studenti restanti hanno dato le risposte più varie, tutte presenti una sola volta. Eccone alcune: dichiarare, indire, licenziare, mutare, pretendere, richiamare, ridimensionare, risolvere («Devo redimere una questione prima di domani»). In quest’ultimo caso redimere è stato scambiato per dirimere.

Alla vigilia del Festival “Parole in cammino” che si è tenuto ad aprile a Siena, il suo direttore Massimo Arcangeli – linguista e critico letterario – ha raccontato pubblicamente le difficoltà che hanno i suoi studenti dell’università di Cagliari con molte parole della lingua italiana appena un po’ più rare ed elaborate, riflettendo su come queste difficoltà si estendano oggi a molti, in un impoverimento generale della capacità di uso della lingua. Il Post ha quindi proposto ad Arcangeli di prendere quella lista di parole usata nei suoi corsi, e spiegarne in breve il significato e più estesamente la storia e le implicazioni: una al giorno.