Il caso CONSIP regge ancora?

Cosa resta dell'indagine che coinvolgeva anche Tiziano Renzi, dopo che i magistrati di Roma hanno scoperto che un'intercettazione che lo riguardava era stata falsificata

(ANSA/MAURIZIO DEGL INNOCENTI)
(ANSA/MAURIZIO DEGL INNOCENTI)

Da ieri, lunedì 10 aprile, il capitano dei carabinieri Giampaolo Scafarto è formalmente accusato di aver manipolato il contenuto di un’intercettazione in modo da far ricadere alcuni sospetti su Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio. Scafarto è uno dei principali investigatori che hanno condotto le indagini sullo scandalo CONSIP, una vicenda complicata in cui, tra gli altri, è indagato proprio Tiziano Renzi. Secondo i magistrati di Roma che lo hanno indagato per falso, avrebbe manipolato anche un altro rapporto, in cui accusava i servizi segreti di aver interferito nelle sue indagini pur sapendo che si trattava di accuse false. Sin dall’inizio l’indagine che riguarda Tiziano Renzi, accusato di traffico di influenze in uno dei numerosi filoni dello scandalo CONSIP, era stata raccontata da molti giornalisti come piuttosto traballante e ora sembra ancora più in bilico. Ieri, Matteo Renzi, ospite a Porta a Porta ha commentato: «È molto strano quello che sta avvenendo, ma ho fiducia nella magistratura, la verità verrà a galla».

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Scafarto è stato interrogato ieri a Roma dopo che i magistrati che seguono uno dei filoni dell’inchiesta CONSIP, composta di diversi filoni divisi tra le procure di Roma e Napoli, hanno scoperto una grave incongruenza tra i verbali con cui Scafarto riassumeva un’intercettazione ambientale e l’intercettazione originaria, in cui era registrata una conversazione avvenuta nel dicembre dell’anno scorso all’interno dell’ufficio di Alfredo Romeo, un imprenditore napoletano arrestato per un altro filone dell’inchiesta. Nell’informativa, una sorta di riassunto dell’intercettazione, Scafarto scrisse che a un certo punto Romeo aveva detto: «Renzi, l’ultima volta che l’ho incontrato…», per poi aggiungere una serie di considerazioni personali: «Questa frase assume straordinario valore e consente di inchiodare alle sue responsabilità Tiziano Renzi in quanto dimostra che effettivamente Romeo e Renzi si sono incontrati, atteso che Romeo ha sempre cercato di conoscere Matteo Renzi senza riuscirvi».

Riascoltando tutte le intercettazioni, i magistrati di Roma hanno scoperto che non era stato Romeo a pronunciare quella frase, ma un suo collaboratore, l’ex parlamentare Italo Bocchino, che ieri ha diffuso una nota per spiegare che si riferiva al figlio di Tiziano, Matteo, da lui incontrato per ragioni politiche che non avevano nulla a che fare con gli affari di Romeo. Nel lavoro di Scafarto ci sarebbe un’altra grave incongruenza, secondo i magistrati. In un’altra informativa, il capitano scrisse che durante un’operazione la sua pattuglia era stata seguita e fotografa da un misterioso personaggio, probabilmente appartenente ai servizi segreti. Secondo Scafarto, Matteo Renzi avrebbe: «Messo in campo tutte le risorse disponibili per tutelare la sua famiglia». I magistrati di Roma, però, hanno scoperto che quando scrisse l’informativa, Scafarto aveva già scoperto che il misterioso “agente segreto” era in realtà un dipendente dell’Opera Pia Stabilimenti spagnoli in Italia che si trovava a passare di lì per caso. Al momento non è chiaro se Scafarto abbia alterato l’intercettazione di proposito o per errore: durante l’interrogatorio di lunedì il capitano si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Scafarto è un capitano del Nucleo operativo ecologico (NOE) dei carabinieri e in passato ha collaborato in numerose inchieste con Henry John Woodcock, il magistrato che ha iniziato l’inchiesta CONSIP. Dopo che parte dell’inchiesta è stata trasferita a Roma per competenza territoriale, la procura romana ha deciso di togliere le indagini al NOE e al capitano Scafarto a causa di alcune fughe di notizie arrivate alla stampa.

L’intercettazione della conversazione tra Romeo e Bocchino non è mai stata uno degli elementi principali dell’accusa contro Tiziano Renzi e nelle scorse settimane i giornali non hanno quasi mai accennato alla sua esistenza. I magistrati hanno utilizzato altri indizi per sostenere la loro accusa, ma anche questi appaiono molto labili. Li ha elencati oggi il Fatto Quotidiano, il giornale che per primo ha parlato dell’inchiesta, pubblicando spesso carte e altri materiali posseduti soltanto dall’accusa e dagli indagati. L’indizio principale è un bigliettino strappato, rinvenuto da Scafarto in una discarica e successivamente ricomposto. Nel bigliettino ci sarebbe scritto: «30.000 per mese – T. 5.000 ogni 2 mesi R. C.». Secondo i magistrati, “T.” è Tiziano Renzi, “R.C.” un suo amico, l’imprenditore toscano Carlo Russo, anche lui indagato. Le cifre sarebbero tangenti che Romeo avrebbe pianificato di corrispondere ai due in cambio di un aiuto per ottenere alcuni appalti. Non è chiaro come mai i magistrati propendano per questa interpretazione e non sembra ci sia alcun altro elemento che la sostenga. Anche altri biglietti rinvenuti nel corso dell’indagine sembra che siano stati interpretati in maniera piuttosto arbitraria. Il giornalista del Foglio, Luciano Capone, ad esempio, ha messo in dubbio l’interpretazione dei magistrati di un altro di questi “pizzini”.

L’unica altra prova di un legame tra Tiziano Renzi e Romeo è la testimonianza di un commercialista di Napoli, Alfredo Mazzei, che nel corso di un interrogatorio ha detto che Romeo gli disse di aver incontrato Tiziano Renzi nel corso di una cena. Romeo e Renzi hanno sempre negato di essersi conosciuti.

I magistrati sembrano avere qualche elemento in più su un altro filone dell’inchiesta che riguarda sempre Tiziano Renzi: quello in cui è accusato di aver fatto pressioni su Luigi Marroni, presidente di CONSIP, la centrale di acquisti pubblica che gestisce numerosi appalti della pubblica amministrazione. L’elemento principale dell’accusa è l’interrogatorio di Marroni, avvenuto lo scorso dicembre, in cui il presidente di CONSIP disse che Renzi lo avrebbe incontrato chiedendogli di incontrare il suo amico Carlo Russo, l’imprenditore toscano suo conoscente. Marroni avrebbe accettato e Russo, nel corso dell’incontro, gli avrebbe chiesto di favorire una sua azienda in corsa per un appalto CONSIP. Russo avrebbe sfruttato il nome del senatore Denis Verdini e quello dello stesso Renzi per convincere Marroni ad aiutarlo.

Non sembra però che le parole di Marroni siano sufficienti a dimostrare il reato di traffico di influenze di cui è accusato Tiziano Renzi. Il reato, introdotto pochi anni fa, prevede la reclusione da uno a tre anni per chi «sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni». Al momento non esistono prove che Renzi o Marroni abbiano ricevuto denaro e nemmeno che Renzi abbia fatto pressioni su Marroni per spingerlo a compiere atti “contrari ai suoi doveri di ufficio”.

L’indagine CONSIP è formata da molti altri filoni e soltanto uno è stato toccato dagli ultimi avvenimenti rivelati dall’interrogatorio del capitano Scafarto. La procura di Napoli, ad esempio, sta indagando su alcuni appalti all’ospedale Cardarelli di Napoli, in cui secondo i magistrati potrebbero essere coinvolte anche associazioni mafiose. In un ulteriore filone, l’imprenditore Romeo è stato arrestato per aver versato centomila euro a un dirigente di CONSIP. In altre parole, l’indagine è molto vasta e solo una piccola parte è stata coinvolta negli ultimi avvenimenti che riguardano il capitano Scafarto.