Peter Greenaway, regista e artista

Compie 75 anni e ha detto che per fare film servirebbe prima studiare arte per tre anni e che, tra l'altro, «il cinema non è un mezzo adatto alla narrazione»

(LOIC VENANCE/AFP/Getty Images)
(LOIC VENANCE/AFP/Getty Images)

Peter Greenaway compie oggi compie 75 anni ed è un regista, ma anche un artista: soprattutto pittore, ma non solo. E anche da regista è uno da film strani, complicati, di nicchia e d’autore. Ha fatto tante cose nel cinema e anche fuori dal cinema, o al confine tra il cinema e l’arte più concettuale. Greenaway – nato a Newport, in Galles, il 5 aprile 1942 – prima e durante la sua carriera da regista di lungometraggi cinematografici (i film) è stato, ha fatto e ha detto tante altre cose. Il primo lungometraggio l’ha diretto negli anni Ottanta, dopo aver studiato, dipinto, scritto e lavorato come montatore e regista di cortometraggi (suoi) o documentari (di altri).

Greenaway ha fatto film con un particolare approccio alla composizione delle inquadrature, alla luce, ai contrasti; e con tantissimi riferimenti alla pittura e alla sua storia. Ha fatto film di quelli che non passano al multisala, ha sperimentato molto, ha usato spessissimo il numero 92 (è anche appassionato di numerologia), ha toccato temi drammatici (a volte con approccio umoristico), ha fatto film che secondo i critici mostrano una chiara influenza rinascimentale, barocca e della pittura fiamminga, ha fatto installazioni multimediali di vario tipo, ha detto molte cose piuttosto drastiche sul cinema.

Per esempio: «Penso che nessun giovane cineasta agli inizi dovrebbe avere il permesso di usare una macchina da presa o una videocamera senza avere prima frequentato tre anni di una scuola d’arte». Del cinema ha detto anche – in una frase riportata in varie versioni, ma il cui concetto è sempre quello – che non lo ritiene un «mezzo adatto alla narrazione» perché «se vuoi raccontare una storia, è meglio che tu faccia il romanziere». Quando nel 1993, sul set del suo film Il bambino di Mâcon, alcuni suoi attori gli fecero notare che nel film che stava girando c’erano errori di continuità (quella cosa per cui, per esempio, se un personaggio indossa una maglietta rossa in una scena non può averla blu in quella subito dopo, senza che la cosa sia mostrata o motivata) rispose: «La continuità è noiosa». Queste frasi già potrebbero dare un’idea di che tipo sia Greenaway; un’idea un po’ più dettagliata la danno aneddoti, sintesi di alcuni suoi film, video dei suoi cortometraggi, curiosità e cose da sapere.

    • È nato in Galles ma dopo pochi anni la famiglia si spostò nell’Essex, in Inghilterra. Suo padre era appassionato di ornitologia e uno dei suoi primi cortometraggi è intitolato Un viaggio attraverso H (La reincarnazione di un ornitologo)
    • Il suo primo cortometraggio – Death of Sentiment, del 1962 – è stato girato in quattro cimiteri di Londra
    • Tra i suoi film preferiti ci sono L’anno scorso a Marienbad (di Alain Resnais del 1961) e Il settimo sigillo (di Ingmar Bergman, del 1957)quello che – disse – gli fece venir voglia di fare il regista. Ha anche detto di apprezzare molto l’attrice francese Delphine Seyrig, morta nel 1990
    • Ha detto di aver smesso di fare documentari dopo che, a fine anni Sessanta, vide il regista del documentario di cui era assistente che diede della colla da far sniffare a un bambino, per girare una scena che altrimenti non avrebbe potuto girare come avrebbe voluto
    • Dalla metà degli anni Novanta vive ad Amsterdam
    • Ha lavorato per 15 anni come montatore, documentarista e aiuto regista per il Central Office of Information, un ente del governo britannico. Tra i cortometraggi fatti in quegli anni: uno su un treno, uno su un albero che cresce in mezzo all’asfalto, uno sulle mappe di un paese che non esiste, uno (scrive MyMovies) «su tredici cicli di tredici secondi che mostrano per tre volte le stesse immagini di Venezia, montate però su colonne sonore differenti» e Windows:
    • Intanto, dipingeva, scriveva romanzi, faceva illustrazioni e scriveva recensioni cinematografiche
    • È esperto di musica (le colonne sonore sono parte rilevante di molti suoi film) e ha collaborato molto spesso con il compositore Michael Nyman
    • Nei suoi film c’è un personaggio immaginario e ricorrente: lo scienziato Tulse Luper
    • Gli piacciono molto le inquadrature centrate

Queste sono invece poche righe per farvi nel caso venir voglia di vedere o rivedere alcuni dei suoi lungometraggi:

  • I misteri del giardino di Compton House è ambientato nel Diciassettesimo secolo e parla di un pittore che finisce in mezzo a varie vicissitudini della famiglia che gli ha commissionato un dipinto. Un film con temi che molti critici hanno paragonato a quelli di Blow Up di Michelangelo Antonioni 
  • Lo zoo di Venere è drammatico e grottesco (come altri film di Greenaway) e parla degli esperimenti di due zoologi e, così, tra le altre cose, ripercorre le tappe dell’evoluzione così come le individuò Charles Darwin. Contiene la frase: «Pensi che la zebra sia un animale bianco con strisce nere o un animale nero con strisce bianche?». Inizia così:
  • Il ventre dell’architetto parla di un architetto arrivato a Roma, ed è strapieno di simboli e riferimenti all’architettura classica.
  • Giochi nell’acqua parla di (SPOILER) tre donne – nonna, madre e figlia – che uccidono i mariti, con scene che, dicono i critici, ripercorrono la storia dell’arte.
  • Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante è ispirato a due quadri: La cena in casa Levi di Veronese e Il banchetto degli ufficiali del corpo degli arcieri di San Giorgio di Hals.
  • 8 donne e 1/2 è un omaggio a  di Federico Fellini e parla, tra le altre cose, delle fantasie sessuali dell’immaginario maschile
  • Nightwatching, del 2007, gira tutto intorno al quadro Ronda di notte di Rembrandt