• Mondo
  • Lunedì 3 aprile 2017

Se ci fosse un altro Watergate, finirebbe nello stesso modo?

Se lo chiede – pessimista – Robert Redford, pensando alla storia che ispirò il suo famoso film e alle differenze con l'America di oggi

di Robert Redford -The Washington Post

Robert Redford al Sundance Film Festival a Park City, in Utah, nel 2009 (AP Photo/Peter Kramer)
Robert Redford al Sundance Film Festival a Park City, in Utah, nel 2009 (AP Photo/Peter Kramer)

Nel luglio 1972 stavo facendo un tour della Florida in treno per promuovere Il candidato. A bordo del treno c’erano giornalisti che si occupavano di intrattenimento e politica, e li sentii parlare di un’effrazione nella sede del Partito Democratico, nel complesso Watergate di Washington. La storia era seguita da due giovani giornalisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein. I due erano all’inizio di un’indagine che sarebbe poi diventata nota come Watergate, il più grande scandalo politico nella storia americana moderna. All’epoca, però, erano solo un paio di piccoli articoli su un’effrazione.

Con il passare del tempo, la loro storia iniziò ad affascinarmi. Pensai che sarebbe potuta diventare un buon film: due giornalisti che lavorano sodo e lottano per scoprire la verità. La mia idea iniziale era semplicemente quella di fare un film su due reporter, sull’importanza del giornalismo e della libertà di stampa. Fu solo in un secondo momento che si scoprì quanto profondo era lo scandalo Watergate.

Provai a mettermi in contatto con Woodward e Bernstein. Le cose non andarono bene. All’inizio rifiutarono le mie telefonate, temendo che fosse un inganno da parte dell’amministrazione Nixon per attirarli in una trappola di qualche tipo. Alla fine riuscii finalmente a contattarli e a realizzare un film sulla loro storia, Tutti gli uomini del presidente.

Questo anno cade il 45esimo anniversario dello scandalo Watergate. Visto il mio ruolo nel film, alcune persone mi hanno fatto domande sulle analogie tra la situazione negli Stati Uniti nel 1972 e nel 2017. Ce ne sono parecchie. Quella più grande è l’importanza dei mezzi d’informazione liberi e indipendenti per la difesa della nostra democrazia. Quando il presidente Trump dice che c’è una «guerra in corso» tra lui e i media, li definisce «tra gli esseri umani più disonesti sulla faccia della Terra» e su Twitter scrive che sono «nemici del popolo americano», il suo linguaggio porta le accuse dell’amministrazione Nixon sul giornalismo «scadente» e «sciatto» a nuovi e pericolosi picchi.

Un giornalismo valido e accurato difende la nostra democrazia. È una delle armi più efficaci a nostra disposizione per contenere gli affamati di potere. Ho sempre detto che Tutti gli uomini del presidente è un film violento. Non vengono sparati colpi, ma le parole sono usate come se fossero armi.

Ebbi molte difficoltà a far interessare dei produttori a Tutti gli uomini del presidente. «Giornali, macchine da scrivere, giornalismo: non c’è drammaticità», disse la critica. Io la vedevo diversamente. Per me il film era la storia di due giornalisti che cercavano ostinatamente la verità. Questo per quanto riguarda il film; nel vero scandalo Watergate, però, non ci furono solo due persone alla ricerca della verità. Ci fu un intero gruppo di personaggi con ruoli importanti o minori che seguirono la loro coscienza: il consigliere del presidente presidente Nixon John Dean e le rivelazioni della sua testimonianza durante le udienze al Congresso; il procuratore generale Elliot Richardson e il suo vice William Ruckelshaus, che si dimisero entrambi piuttosto che seguire le richieste di Nixon e rimuovere il procuratore speciale Archibald Cox, e, soprattutto, i Democratici e i Repubblicani del Congresso. Nixon si dimise perché la Commissione Watergate del Senato – i suoi membri Democratici e Repubblicani – fece il suo lavoro. Oggi è facile pensare al Watergate come a un singolo evento. Non fu così: fu una storia che si svolse in 26 mesi e richiese molti atti di coraggio e onestà da parte di americani in tutto lo spettro politico.

Il sistema funzionò. Messi davanti all’esame più grande, i pesi e contrappesi progettati dalla Costituzione funzionarono. Funzionerebbero ancora oggi? E, l’altra metà della domanda, cosa è cambiato oggi? Molte cose. Il nostro paese è diviso e la nostra comprensione della verità debole. C’è stata una volta durante un periodo di crisi nazionale in cui politici di entrambi gli schieramenti misero da parte le faziosità politiche per scoprire la verità. C’è stata una volta in cui Democratici e Repubblicani si unirono per portare a una fine pacifica presidenza corrotta e criminale. C’è stata una volta in cui i membri del Congresso misero la difesa della nostra democrazia sopra agli interessi dei partiti, per la ricerca di un bene maggiore. C’è stata una volta.

Questa volta è diversa. Se ci sarà un altro Watergate, lo gestiremo altrettanto bene? In un comunicato del maggio 1973, John Dean, parlando di quelli che definì come tentativi di screditare la sua testimonianza screditando lui come persona, disse: «La verità emerge sempre». Di questi tempi sono preoccupato di quante possibilità ci siano che accada lo stesso.

© 2017 – The Washington Post