(Joerg Koch/Getty Images)

Il lancio di Nesbø

Il giallista norvegese è stato a Milano per presentare “Sete”, ha parlato della Scandinavia e di quando aspettava una chiamata di Scorsese ed è arrivata

Alla vigilia del suo cinquantasettesimo compleanno, il famoso scrittore norvegese Jo Nesbø (si pronuncia Iuniesbù) è venuto in Italia, a Milano, per presentare il suo nuovo thriller Sete, l’undicesimo della serie dell’ispettore Harry Hole (si pronuncia Arrihula). Alle ore 21 di lunedì 27 marzo si trovava al Teatro Elfo Puccini di Corso Buenos Aires con lo scrittore Carlo Lucarelli per l’anteprima di Tempo di libri, la fiera del libro di Milano che si terrà dal 19 al 23 aprile. Alle 14:30 del giorno successivo è stato portato alla libreria Gogol & Co. di via Savona per un incontro riservato con alcuni blogger organizzato dalla casa editrice Einaudi, dopodiché – intorno alle 18 – si è spostato alla Libreria Mondadori di piazza del Duomo per firmare le copie dei suoi libri.

Nesbø è uno degli autori di thriller più venduti del mondo, soprattutto grazie al personaggio di Harry Hole, un poliziotto di Oslo che assomiglia a quelli degli hard boiled americani: è un imperterrito tabagista, generalmente alcolizzato di bourbon Jim Bean – anche se in Sete, paradossalmente, ha smesso di bere – e occasionalmente drogato, utilizza metodi rudi, ha imparato dall’FBI come usare le armi e, quasi sempre, è impegnato a dare la caccia a un serial killer che fa strage di donne. «Ma mi sono accorto», ha detto Nesbø parlando con Lucarelli sul palco dell’Elfo «che nella serie sono morte molte più persone, non dico che a Oslo, ma in tutta la Norvegia nel periodo considerato».

Quando esce un nuovo libro di uno scrittore importante come Nesbø – che probabilmente nelle prossime settimane sarà nei primi posti della classifica – la sua casa editrice italiana ha tutto l’interesse a farlo venire in Italia per un minitour di un paio di giorni da riempire di incontri pubblici e interviste. È il tipo di pubblicità in carne e ossa, relativamente poco costosa, su cui si basa spesso la promozione dei libri. Per il lancio di Sete Einaudi ha messo in palio anche un viaggio in Norvegia per due, ma quando lo scrittore è un personaggio si tende a puntare su questo: prima di diventare scrittore, Nesbø ha fatto il calciatore, suonato e cantato nel gruppo rock dei Di Derre, per cui suona tuttora, lavorato come giornalista e come broker di borsa, arrampicato su pareti ripidissime, che continua a scalare. Nei due giorni in cui è stato in Italia, Nesbø si è naturalmente sottoposto anche alle interviste per i giornali, scritte e video, scelte per fare girare la notizia sia sui siti tradizionali che sui social. È questa la ragione degli incontri con i blogger, che Einaudi ha già organizzato per Gianrico Carofiglio a Roma e Ian McEwan a Torino.

Il video dell’incontro con i blogger alla libreria Gogol & Co. di via Savona

I minitour sono anche occasioni che servono allo scrittore per sentirsi celebrato, e all’editore pure. La cerimonia inaugurale è stata, coerentemente, più istituzionale, dove si è molto parlato di narrazione e scrittura. Lunedì sera il Teatro Elfo Puccini, che ha 1600 posti, era pieno quasi per un terzo. Le prime file erano occupate da gente dell’editoria: c’erano Giorgio Cavagnino, direttore generale dell’area trade di Mondadori, Paolo Repetti di Stile libero e molti altri. Chiara Valerio, la direttrice di Tempo di libri, ha introdotto la serata. Nesbø indossava maglietta nera, jeans neri, giacca nera, cintura nera, scarpe nere, mentre i capelli erano, come sempre, biondastri. Anche Carlo Lucarelli era vestito di nero, ma con una lunga barba un po’ hipster e un po’ madrassa.  Nesbø ha detto di parlare poco – «come Harry Hole per non deludere i fans» – ma non era vero: le sue risposte sono state fluviali, anche se Sarah Cuminetti, l’interprete, è riuscita a tradurre ogni parola. «You must have a big brain», le ha detto Nesbø a un certo punto, lei è arrossita e il pubblico ha riso. Spesso la sala ha applaudito prima della traduzione. In questo genere di incontri c’è sempre chi lancia l’applauso prima che l’interprete prenda la parola, per mostrare al vicino di sedia che lui capisce l’inglese.

Lucarelli e Nesbø hanno parlato da scrittori e da giallisti, del come e del perché nasce una storia, dell’influsso dei serial sulla scrittura e del legame che unisce chi scrive ai personaggi che inventa. Lucarelli li ha definiti «amici ingombranti», che nascono per «raccontare la storia che hai voglia di sentire. A volte gli scrittori hanno voglia di liberarsene, ma nessuno riesce a uccidere il suo personaggio. Anche perché chi lo ha fatto, come Agata Christie, è morta poco dopo». Il pubblico ha riso. «Tutti parliamo delle nostre vite», ha detto Lucarelli, «i personaggi sono sempre un po’ te, ma la cosa bella è quando ti sorprendono e fanno cose che non ti aspetti». Nesbø ha risposto: «Non so se Harry Hole mi sorprenda, però a volte mi irrita perché sceglie sempre la strada più ardua. Ma so che non potrei fargli fare qualcosa di diverso da quello che fa. Ci sono personaggi che si comportano in modo diverso da come li avevi immaginati, e lo scopri quando iniziano a parlare. Per questo nelle sinossi iniziali inserisco sempre dei brevi dialoghi. Non voglio scoprire più avanti che il personaggio è diverso da come lo immaginavo. Invece Harry era lì con la sua voce perché era anche me».

Hanno parlato dell’importanza dei dettagli minimi, quelli intorno a cui sono costruite le scene o addirittura le storie per chi le scrive, e di cui chi leggerà forse non si accorgerà mai. Lucarelli ha fatto l’esempio delle famose «ossa che biancheggiano al sole di cui parlava Antonio Franchini» (un riferimento all’Odissea). Nesbø ha citato il vento che soffia nell’elmetto producendo un rumore fastidioso intorno a cui è costruito il suo romanzo Il pettirosso. Si sono citati molti scrittori, in particolare Jim Thompson, ma anche Jorge Luis Borges e Milan Kundera, con un accenno a Corman McCarthy per Non è un paese per vecchi. E si è parlato del rapporto con le aspettative del pubblico: «Non bisogna preoccuparsi di ciò che si aspetta il pubblico o l’editore, perché dopo un po’ rischi di fare quello che i lettori si aspettano. Ed è sbagliato. Tu li inviti a casa ma devi essere tu a decidere cosa si mangia e si beve a casa tua», ha detto Nesbø.

Lucarelli ha domandato se l’esplosione del giallo scandinavo possa essere un segno che qualcosa in Scandinavia è cambiato: «Quando ero bambino la Scandinavia era Pippi Calzelunghe e Vacanze nell’isola dei gabbiani. Poi sono arrivati loro, i giallisti. Mi ricordo che dopo la strage di Utøya, Nesbø in un articolo parlò di “paradiso perduto”. Oggi la Scandinavia è veramente un paradiso perduto?». Nesbø ha risposto che la Scandinavia non è tutta uguale: «Nei ristoranti norvegesi tutti parlano di cose su cui sono d’accordo in modo da non alzare la voce e non disturbare gli altri. Ma la Norvegia è considerata l’Italia della Scandinavia. Quell’articolo sul paradiso perduto me lo ricordo. La strage di Utøya è stata vissuta come una tragedia provocata da un pazzo. Non è paragonabile all’11 settembre. Quando i superstiti di Utoya si sono ritrovati hanno deciso di non avere misure di sicurezza particolari, quindi di non avere nessuna misura di sicurezza, per non permettere a un pazzo di cambiare le loro abitudini di vita. In questo senso, il paradiso non è perduto. Anche se, nel bene e nel male, ogni paradiso è sempre un po’ perduto».

Si è parlato anche dell’influenza del cinema e della tv sui romanzi. Nesbø ha detto: «Anche se gli scrittori in genere leggono molto fin da bambini, è plausibile che abbiamo visto molti più film di quanti libri abbiano letto. Quindi è inevitabile che siamo influenzati dai film, per il ritmo, gli stacchi tra le scene. Credo che i serial saranno il modello dello storytelling dei prossimi dieci anni. Oggi mi sembrano più interessanti dei romanzi e molto più dei film. I primi furono i Soprano, che subito furono considerati un prodotto di nicchia, e furono sperimentali, almeno all’inizio, proprio perché non erano mainstream. La mia sensazione, ma ne vedo meno perché ho più cose da fare, è che stiano diventando sempre meno rivoluzionari e sperimentali». La sala ha applaudito. Lucarelli ha chiesto che effetto gli faccia il fatto che presto Harry Hole sarà un film: «Sono sempre stato molto restio all’idea di fare film o serie tratti dai romanzi di Harry Hole. Non mi andava che la gente non potesse più immaginare com’era e come camminava. Così dicevo al mio agente: “Se non chiama Scorsese, non ditemelo neanche”. Poi, un giorno, ha chiamato Scorsese. Non proprio lui, il suo agente, e non sarà Scorsese il regista, ma uno dei produttori». The Snowman uscirà a ottobre e alla fine Hole avrà la faccia di Michael Fassbender.

Michael Fassbender in una scena di The Snowman.

Una ragazza norvegese nel pubblico ha chiesto perché le storie di Harry Hole siano ambientate nel quartiere Bislett di Oslo. Nesbø le ha risposto: «Perché sono pigro. Lo conoscevo bene». La serata è finita e il pubblico è andato via soddisfatto. Rimane la domanda su che cosa ci spinga davvero ad andare a vedere gli scrittori dal vivo. Che cosa può aggiungere Nesbø in più e di meglio rispetto a quello che scrive? I suoi libri potrebbero esistere anche senza di lui o se lui fosse un altro, ma lui non sarebbe esistito – qui, in questo momento – senza i suoi libri. Nel pubblico qualcuno prendeva appunti, probabilmente aspiranti scrittori. Ma quelli che non sono andati all’incontro nella speranza di incontrare qualche editore o per migliorare la propria tecnica, che cosa li ha spinti? E che cosa spinge Nesbø, che è un signore che ha venduto 30 milioni di copie, quindi ha guadagnato almeno 60 milioni di euro, a venire a raccontarsi a Milano, due giorni prima del suo compleanno, per vendere qualche copia in più? Che cosa aggiunge davvero la presenza – degli scrittori per il pubblico e del pubblico per gli scrittori – alla letteratura? In sala si percepisce un piacere sottile, la sensazione di formare un club momentaneo ed esclusivo, non riproducibile.

Il giorno dopo il tour è continuato alla libreria Gogol con i blogger e si è concluso al Mondadori Store di piazza Duomo dove sono arrivati in tanti. Un fan ha chiesto a Nesbø di autografare un bambino.

Il 29 marzo, giorno del suo cinquantasettesimo compleanno, il famoso scrittore Jo Nesbø è ripartito non si sa bene per dove. La casa editrice è giustamente molto restia a rivelare particolari della sua vita privata. «Jo – dicono – è molto geloso della sua privacy». Si sa soltanto che è andato ad arrampicare. Forse non proprio così, ma tipo così:

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