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  • Martedì 7 marzo 2017

Ormai lo sappiamo, da dove arrivano i tweet di Trump

Da fonti inaffidabili e di terza mano, come dimostrano le accuse infondate sulle presunte intercettazioni ordinate da Obama

David Becker/Getty Images)
David Becker/Getty Images)

Alcuni giornali americani hanno cercato di ricostruire in che modo il presidente americano Donald Trump si sia convinto che il suo predecessore Barack Obama abbia intercettato le sue telefonate, un’accusa gravissima che Trump ha scritto in una serie di tweet pubblicati sabato mattina e che è subito stata ripresa in tutto il mondo.

Come succede spesso, Trump non ha citato le fonti delle sue accuse, lasciando ai giornalisti la ricostruzione dell’origine della notizia. Trump è noto per informarsi quasi solo con gli approfondimenti di attualità della tv via cavo – e quindi perlopiù CNN, che però sostiene di disprezzare – oppure su siti e tv di destra solitamente poco affidabili come Breitbart News, che fino all’anno scorso era guidata dall’attuale stratega di Trump Stephen Bannon, e varie tv e radio della rete di Fox News. In più occasioni è emerso un pattern: diverse gravi accuse di Trump sono arrivate pochi minuti dopo un particolare servizio trasmesso da Fox News o CNN o poco dopo la pubblicazione di un certo articolo su Breitbart. Sembra che sia andata così anche in occasione dei tweet contro Obama.

I collaboratori e portavoce di Trump – che secondo il New York Times non erano a conoscenza delle accuse che Trump avrebbe pubblicato su Twitter – hanno passato la giornata di domenica 5 a difendere i suoi tweet, sostenendo che sono corroborati da diversi articoli pubblicati dai media “istituzionali”. In realtà due persone vicine a Trump hanno raccontato al New York Times che probabilmente la sua fonte era un articolo pubblicato da Breitbart News il 3 marzo, mentre l’oggetto degli articoli dei giornali più istituzionali era diverso. A sua volta, l’articolo di Breitbart News è ricavato da due fonti: una trasmissione radiofonica del presentatore conservatore Mark Levin e un vecchio articolo di Heat Street, un sito di news di destra.

Levin e Heat Street sostengono in sostanza che a giugno e ottobre del 2016 l’amministrazione Obama chiese a un tribunale apposito di poter monitorare le comunicazioni tra Trump e molti dei suoi collaboratori. Non è chiarissimo a cosa si riferiscano queste accuse: forse a una richiesta dell’FBI, citata ad esempio dal Guardian ma mai confermata ufficialmente, per sorvegliare alcuni collaboratori di Trump; oppure a un’altra richiesta avanzata dagli avvocati del Dipartimenti di giustizia per tenere sotto controllo i movimenti di alcune banche russe (citata solo da Heat Street, e non confermata da altri). Nessuno degli articoli in questione ha citato Obama né l’esistenza di intercettazioni telefoniche: ciò nonostante, in uno dei paragrafi finali del suo articolo Breitbart News ha scritto: «sintetizzando, l’amministrazione Obama ha cercato, e a un certo punto ottenuto, l’autorizzazione per ascoltare di nascosto le comunicazioni del comitato elettorale di Trump». In questi giorni le accuse sono state smentite da Obama, dall’allora direttore dell’Intelligence nazionale James Clapper e dall’attuale direttore dell’FBI James Comey.

Non è ancora chiaro se l’articolo in questione di Breitbart facesse parte della rassegna stampa mattutina preparata dai collaboratori di Trump – che sono soliti nascondere gli articoli più duri nei suoi confronti – oppure se qualcuno glielo abbia girato personalmente: il New York Times sostiene che l’articolo era circolato fra diversi dei collaboratori di Trump. Sta di fatto che Trump lo ha utilizzato come base per accuse gravissime, nonostante la scarsa reputazione di Breitbart News, la poca solidità delle accuse a uno sguardo appena più approfondito, e l’assenza di conferme da parte di membri dell’intelligence o anche solo dei suoi collaboratori. Come ha fatto notare il giornalista del Washington Post David Fahrenthold, diventato noto negli ultimi mesi per aver condotto e scritto l’inchiesta giornalistica più importante dell’intera campagna elettorale americana, «Trump è nella posizione di essere l’uomo più informato al mondo», eppure continua a fare affidamento su «notizie di terza mano».

In questi mesi i giornali americani hanno accumulato dei discreti elenchi di casi in cui Trump sembra aver twittato dopo aver visto un servizio in tv o letto un articolo online, facendo commenti sopra le righe o diffondendo notizie false. Uno dei casi più noti risale a gennaio di quest’anno: Trump vide un servizio di Fox News su Chelsea Manning, militare statunitense che aveva cambiato sesso e che era stata condannata a 35 anni di carcere per aver fornito a Wikileaks centinaia di migliaia di documenti riservati, e la definì un “traditore ingrato”, proprio come il titolo del segmento trasmesso da Fox News pochi minuti prima.

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Un mese prima, Trump aveva minacciato di cancellare un contratto stipulato fra la Boeing e lo stato americano poco dopo che il Chicago Tribune aveva pubblicato una critica del CEO di Boeing alle misure protezioniste in materia economica (cioè uno dei punti centrali e più importanti del messaggio di Trump in campagna elettorale).

Intorno alle 8 di mattino del 27 gennaio, CNN mandò in onda un’intervista a Gregg Phillips, un analista noto per le sue teorie complottiste che sosteneva fra le altre cose che secondo una sua ricerca circa 3 milioni di persone avevano votato illegalmente alle elezioni, appoggiando quindi una vecchia e mai provata teoria di Trump. Alle 8.12, Trump aveva twittato di essere “impaziente” di conoscere i risultati finali della ricerca di Phillips, e che in generale «dobbiamo fare di meglio!».

Altre volte è capitato che Trump capisse male quello di cui si stava parlando, o semplicemente forzasse l’argomento a suo favore, come capitato probabilmente nel caso di Breitbart News e le presunte intercettazioni ordinate da Obama; oppure quando Trump riprese le teorie complottiste sui presunti problemi di salute di Hillary Clinton o quelle sul presunto coinvolgimento del padre del politico Repubblicano Ted Cruz nell’omicidio di John Fitzgerald Kennedy (entrambe fatte circolare da siti e radio di destra inaffidabili). Matt Yglesias, che si occupa di politica americana per Vox, ha suggerito semplicemente che dovremmo abituarci a cose del genere: dopo tutto, Trump «ha costruito la sua carriera politica facendo accuse false e senza prove che Obama fosse nato in Kenya».

https://twitter.com/mattyglesias/status/838473700303384576