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  • Giovedì 23 febbraio 2017

I Sioux che protestavano contro il Dakota Access Pipeline sono stati sgomberati

La maggior parte ha accettato di andarsene dopo l'arrivo della polizia e ci sono stati 10 arresti, intanto i lavori per il contestato oleodotto sono ricominciati

O'Shea Spencer, 20 anni, davanti al campo di Oceti Sakowin, 22 febbraio 2017 (Stephen Yang/Getty Images)
O'Shea Spencer, 20 anni, davanti al campo di Oceti Sakowin, 22 febbraio 2017 (Stephen Yang/Getty Images)

Mercoledì 22 febbraio dieci nativi americani Sioux che vivono nella riserva di Standing Rock, in North Dakota, sono stati arrestati durante lo sgombero del campo Oceti Sakowin, deciso dopo la firma di un ordine esecutivo del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump per far riprendere i lavori del molto contestato oleodotto Dakota Access. Il governatore del North Dakota, Doug Burgum, Repubblicano, ha detto che lo sgombero è andato «molto bene» e che da oggi, giovedì 23 febbraio, il governo avrà «libero accesso» alla zona. Il campo dei manifestanti – che negli scorsi mesi era arrivato ad ospitare un migliaio di attivisti venuti da diverse parti degli Stati Uniti – è ora un cumulo di macerie bruciate. Durante lo sgombero, al campo c’è stata un’esplosione e un bambino di sette anni e una ragazza di diciassette sono stati portati con l’ambulanza in ospedale a causa delle ustioni riportate. La ragazza sarebbe in condizioni serie, e non è ancora chiaro cosa abbia causato l’incidente.

Mercoledì le forze dell’ordine hanno creato dei posti di blocco intorno al campo e la maggior parte dei manifestanti ha abbandonato volontariamente il campo sventolando bandiere e gridando slogan. Le dieci persone che sono state arrestate in una strada fuori del campo si erano rifiutate di obbedire agli ordini, secondo la polizia. Alle circa 50 persone che sono rimaste sarà data oggi la possibilità di andarsene, ha detto il governatore: se invece persisteranno saranno arrestate.

Burgum aveva firmato l’ordine di evacuazione di emergenza la scorsa settimana, dicendo di averlo fatto per consentire alla Energy Transfer Crude Oil, la società dietro al progetto dell’oleodotto, di rimuovere i rifiuti dalla zona del campo Oceti Sakowin e renderla più sicura dal punto di vista idrogeologico. Le temperature piuttosto elevate delle ultime settimane hanno accelerato lo scioglimento della neve e aumentato il rischio di inondazioni: secondo i funzionari, dunque, le persone del campo erano in pericolo. Uno dei leader della protesta ha fatto sapere che la loro azione continuerà in altri campi costruiti su terreni privati: «La libertà è nel nostro DNA, e non abbiamo altra scelta che continuare la lotta».

Il Dakota Access Pipeline è un oleodotto sotterraneo quasi ultimato, e dovrebbe servire a portare il greggio dalla Bakken Formation – una zona al confine tra Montana e North Dakota, due stati degli Stati Uniti che confinano con il Canada – fino all’Illinois, attraversando il South Dakota e l’Iowa. Ha avuto un costo complessivo di 3,7 miliardi di dollari, ma negli scorsi mesi la costruzione del tratto finale dell’oleodotto era stata al centro di grandi proteste, soprattutto dei nativi americani Sioux che vivono nella riserva di Standing Rock. Dopo settimane di manifestazioni e scontri anche molto violenti con la polizia, Obama aveva accettato di far cambiare il percorso all’oleodotto, accontentando i Sioux che non volevano passasse sotto il letto del fiume Missouri. Lo United States Army Corps of Engineers (USACE), la sezione dell’esercito americano specializzata in ingegneria e progettazione e che si è occupata dell’oleodotto, aveva detto che avrebbe cercato un percorso alternativo ma l’amministrazione Trump aveva cancellato il piano poco dopo il suo insediamento, permettendo la ripresa dei lavori.