• Mondo
  • Domenica 5 febbraio 2017

Trump ha fatto ricorso contro l’annullamento del divieto sull’immigrazione

Ma la corte d'Appello ha respinto la sua richiesta di ripristinare immediatamente il “muslim ban”: per ora quindi non è in vigore, in attesa di una decisione definitiva

(Zach Gibson/Getty Images)
(Zach Gibson/Getty Images)

Sabato sera il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha fatto ricorso contro la sentenza di venerdì del giudice James Robart di Seattle, che aveva momentaneamente sospeso il cosiddetto “muslim ban”, il divieto sull’immigrazione voluto dal presidente Donald Trump e che impediva l’accesso negli Stati Uniti ai cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana. Il ricorso è stato presentato alla 9° corte distrettuale d’Appello di San Francisco, chiedendo che la sentenza di Robart venisse sospesa con effetto immediato con un provvedimento d’emergenza: domenica mattina la corte d’Appello di San Francisco ha respinto questa richiesta, di fatto prolungando la sospensione del “muslim ban” decisa dal tribunale di Seattle. Nelle motivazioni del ricorso, il dipartimento di Giustizia ha scritto che la sentenza costituisce un pericolo immediato per gli americani, che blocca l’applicazione di un ordine esecutivo e che «mette in discussione le valutazioni del presidente sulla sicurezza nazionale, riguardo al rischio rappresentato dall’accoglienza di alcune categorie di cittadini non americani e ai mezzi migliori per minimizzare questo rischio».

Il ricorso del dipartimento di Giustizia sarà quindi esaminato da tre giudici che decideranno se confermare l’ordine esecutivo di Trump o se prolungarne la sospensione in attesa di un processo d’appello completo. Normalmente la prima discussione dell’appello avviene dopo circa un mese, ma il governo chiederà con ogni probabilità di velocizzare le procedure: il tribunale ha detto che fisserà al più presto una data. In situazioni di emergenza, talvolta i tribunali decidono di affidare la decisione a un solo giudice, o di far parlare i tre giudici solo telefonicamente, e non in una riunione. Sabato sera Trump, che è in vacanza per il weekend nella sua residenza a Mar-a-Lago, in Florida, ha detto ai giornalisti di essere sicuro che l’appello sarà accolto: «Per la sicurezza del nostro paese, vinceremo».

L’appello del dipartimento di Giustizia è arrivato dopo un giorno di grande confusione negli Stati Uniti: la sentenza di Robart venerdì sera aveva accolto una causa presentata dallo stato di Washington e dal Minnesota contro l’ordine esecutivo deciso da Trump, che aveva causato sofferenze e problemi a decine di migliaia di persone a cui è stato improvvisamente impedito di entrare o rientrare negli Stati Uniti, e provocando grandi proteste in diverse città americane. La sentenza aveva provocato una sospensione momentanea del cosiddetto “muslim ban”, ma per molte ore sono sostanzialmente mancate le istruzioni su come gestire l’ingresso nel paese delle persone interessate dal divieto, provenienti da Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Alcuni aeroporti hanno fatto sapere di non avere ricevuto istruzioni, mentre alcune compagnie aeree, come Qatar Airways e Air France, hanno detto che permetteranno ai cittadini dei sette paesi del divieto di imbarcarsi sugli aerei diretti negli Stati Uniti.

Trump ha criticato duramente su Twitter Robart, definendolo «cosiddetto giudice» e avvertendo sui rischi della sua sentenza. La Casa Bianca ha annunciato che avrebbe agito per annullare la decisione di Robart. Quando in Italia era sabato pomeriggio, molte ore dopo la sentenza di Seattle, il dipartimento per la Sicurezza Interna ha annunciato che effettivamente tutte le misure prese per applicare l’ordine esecutivo sono sospese finché la sentenza non sarà effettivamente annullata. Al momento, quindi, il cosiddetto “muslim ban” non è in vigore: inizialmente non era chiaro se le persone i cui visti erano stati cancellati dopo il decreto, circa 60mila, potessero di nuovo viaggiare verso gli Stati Uniti. Dopo qualche ora di incertezze, sabato pomeriggio il dipartimento di Stato ha detto che le cancellazioni dei visti sono state revocate, specificando però che possono viaggiare verso gli Stati Uniti solo le persone i cui visti «non sono stati fisicamente cancellati». Come ha spiegato Ryan Nobles di CNN, le persone i cui visti sono stati sequestrati fisicamente dopo il “muslim ban” devono fare nuovamente domanda per il visto.

Finché l’appello del dipartimento di Giustizia non sarà accolto, quindi, il divieto di ingresso negli Stati Uniti per i cittadini dei sette paesi del “muslim ban” non è in vigore: questo ha provocato, nella giornata di sabato, alcuni tentativi negli aeroporti di tutto il mondo di imbarcarsi sui voli diretti in America, di persone preoccupate di avere a disposizione solo una breve finestra di tempo per approfittarne e ritornare negli Stati Uniti, dove in molti hanno famiglia e lavoro. Molte organizzazioni che si occupano di diritti civili e di assistenza legale per persone straniere hanno consigliato a chi era stato coinvolto nel divieto sull’immigrazione di provare a prenotare un volo il prima possibile. Non ci sono state, in ogni caso, segnalazioni di particolari resse agli aeroporti di persone che volevano salire su un aereo per gli Stati Uniti, probabilmente anche per le difficoltà di prenotare con così poco anticipo un volo.

Il dipartimento di Stato ha detto che sta lavorando per prenotare un volo per gli Stati Uniti per i rifugiati il cui trasferimento era già stato programmato prima dell’ordine esecutivo, che tra le altre cose aveva sospeso l’accoglienza di rifugiati per quattro mesi. Leonard Doyle, un portavoce dell’ONU, ha detto che circa 2000 persone sono pronte a partire. Tra le storie delle persone che sono riuscite a tornare negli Stati Uniti tra venerdì e sabato il New York Times ha raccontato quella di Nael Zaino, un siriano di 32 anni a cui è stato consentito, dopo una settimana di tentativi, di prendere un aereo a Istanbul per Francoforte, e di lì per Boston. Dopo due ore di controlli, è riuscito a raggiungere sua moglie e suo figlio, nato negli Stati Uniti.