La storia di Al Capone

C'è una ragione per cui il nome di un criminale italoamericano – morto settant'anni fa oggi – è diventato sinonimo stesso di gangster

di Gabriele Gargantini

(AP Photo/File)
(AP Photo/File)

Non c’è stato, nella storia, un criminale più famoso di Al Capone: non c’è stato un altro gangster il cui nome sia diventato sinonimo di gangster. E soprattutto non c’è stato un boss mafioso che abbia avuto l’impatto che ha avuto Al Capone sulla cultura popolare, che abbia definito i canoni dei malavitosi finiti poi nei romanzi e nei film. Forse molti cattivi del cinema non fumerebbero il sigaro se non fosse stato per Al Capone, per esempio. Questo status leggendario Al Capone lo raggiunse tutto entro i trent’anni, ereditando una potente organizzazione criminale di Chicago e trasformandola in un impero infiltrato in tutti i settori dell’amministrazione locale. L’organizzazione che Capone diede alle sue operazioni di contrabbando, sfruttamento della prostituzione e gioco d’azzardo, sono studiate ad Harvard; l’impresa di rendersi responsabile di decine di omicidi (si parla di circa duecento in tutto) senza mai farsi arrestare è ancora oggi quasi inspiegabile.

Ma Capone è diventato una figura leggendaria anche per il suo stile di vita lussuoso ed esibito, e per le sue attività filantropiche: aprì una mensa per i poveri durante la Grande depressione che sfamava migliaia di persone ogni giorno. Una volta per un suo compleanno fece rapire il grande pianista jazz Fats Waller e lo fece suonare per tre giorni consecutivi, al termine dei quali lo caricò su un’auto, ubriaco e pieno di soldi. Quando andava all’opera, di cui era un grande amante, comprava decine di biglietti e si faceva accompagnare dai suoi scagnozzi. Negli anni Al Capone è stato interpretato da Robert De Niro e Ben Gazzara, sono stati scritti su di lui innumerevoli libri e anche alcune canzoni, è diventato un nome da rapper e ancora oggi, in molti ristoranti di Chicago, c’è una sua foto con sigaro, cappello e sogghigno.

L’ascesa
Al Capone nacque con il nome di Alphonse Gabriel a Brooklyn, nel 1899. Suo padre Gabriele era un barbiere, e sua madre Teresa una sarta: entrambi erano immigrati italiani della Campania, anche se non è chiaro da quale città, visto che i loro natali sono contesi da Napoli, Castellammare Stabia e Angri. I Capone avevano nove figli, erano arrivati negli Stati Uniti nel 1893 e si stabilirono al Navy Yard, il cantiere navale sull’East River, a Brooklyn. Al Capone frequentò una scuola cattolica, con scarsi successi e mettendosi spesso nei guai: Jonathan Eig, autore dell’apprezzata biografia Get Capone, ha scritto che non era particolarmente intelligente (aveva un QI di 95, nella media) ma aveva una gran propensione all’organizzazione, cosa che lo aiutò nella costruzione del suo impero criminale.

Non è facile ricostruire la maggior parte degli aneddoti e delle storie legate ad Al Capone, ma sappiamo che dopo aver lasciato la scuola, intorno ai 14 anni, fece diversi mestieri a Brooklyn e conobbe Johnny Torrio, uno dei più importanti criminali della costa orientale degli Stati Uniti, che sarebbe diventato il suo mentore. Cominciò anche a entrare nel giro della delinquenza, associandosi prima a gang piccole e irrilevanti e arrivando poi a far parte della Five Points Gang, una temuta e storica gang irlandese che operava nell’omonimo quartiere di Manhattan, tra i più malfamati della città. Aveva meno di vent’anni quando cominciò a lavorare per Frankie Yale, un barista di Coney Island: una sera, mentre faceva il buttafuori nel suo locale, fece un commento su una ragazza. Il fratello di lei lo aggredì con un coltello, sfregiandolo sulla parte sinistra della faccia. Per le ferite che si portò dietro fu soprannominato “Scarface”: lui provò per tutta la vita a nascondere le cicatrici nelle fotografie, e disse sempre che erano ferite di guerra. Nello stesso periodo, a 19 anni, si sposò con Mae Josephine Coughlin, una ragazza irlandese con la quale aveva avuto un figlio.

Dopo aver vissuto brevemente a Baltimora, Capone si trasferì a Chicago su invito di Torrio, per il quale fino ad allora aveva fatto soltanto lavori saltuari. Torrio anni prima era stato chiamato da James Colosimo, uno dei più importanti criminali di Chicago, di origini calabresi, perché gli facesse da vice. Colosimo aveva costruito un impero criminale che sarebbe poi stato conosciuto con il nome di Chicago Outfit, e che si basava soprattutto sullo sfruttamento della prostituzione, e in piccola parte sul gioco d’azzardo. Quando Capone arrivò, intorno al 1919, cominciò facendo il barista e il buttafuori in un bordello di Colosimo: in poco tempo contrasse la sifilide, che non si fece curare e che per tutta la vita gli causò demenza e frequenti raptus di violenza.

Nel 1920 negli Stati Uniti entrò in vigore il Volstead Act, la famosa legge che inaugurò il proibizionismo, ossia la messa al bando della produzione e della vendita di alcol. Torrio provò a convincere Colosimo a entrare nel giro del contrabbando, ma non ci riuscì. Poco dopo Colosimo fu ucciso in un’imboscata: nessuno venne condannato ma i sospetti ricaddero proprio su Torrio, che avrebbe ucciso Colosimo per ereditare il suo impero e entrare nel mercato del contrabbando illegale di alcolici. Si dice che a uccidere fisicamente Colosimo fu Yale, ma alcune versioni sostengono che tra i sicari ci fosse anche lo stesso Capone.

A partire dal 1920 Torrio diventò il capo dell’organizzazione di Colosimo, la più potente di Chicago, e Capone diventò il suo braccio destro. Prese in gestione alcuni bordelli, e in poco tempo fu messo a capo del Four Deuces, il locale che faceva da quartier generale per le operazioni di Torrio. Si diceva che negli scantinati del Four Deuces gli uomini di Capone torturassero i membri delle altre organizzazioni criminali, mentre al piano di sopra politici e criminali venivano intrattenuti con musica e prostitute. Torrio e Capone fecero uccidere Dean O’Banion, capo di un’organizzazione criminale rivale, rilevando progressivamente la sua quota del mercato del contrabbando a Chicago. Dopo un fallito attentato nei suoi confronti, però, Torrio decise di ritirarsi, lasciando al 26enne Capone il comando di uno degli imperi criminali più potenti degli Stati Uniti.

Gli anni di Capone
Capone e Torrio avevano corrotto molte persone nella polizia di Chicago, garantendosi l’impunità mentre allargavano la loro rete di contrabbando, che riguardava alcol, sigari e alimenti, e arrivava fino al Canada. Capone si impegnò a diversificare le attività della sua organizzazione, per anticipare il momento in cui il proibizionismo inevitabilmente sarebbe stato revocato e l’alcol sarebbe tornato legale. Oltre ai molti bordelli e al gioco d’azzardo, la parte più importante degli affari della Chicago Outfit era comunque rappresentata dai liquori: Capone creò a Chicago un clima di terrore tra i bar, che se si rifiutavano di acquistare da lui l’alcol spesso venivano fatti esplodere. Con il passare degli anni, le violenze tra la gang di Capone e le organizzazioni rivali aumentarono: Capone scelse allora di spostare le sue attività a Cicero, un quartiere più difficile da raggiungere per i suoi nemici, che però continuarono a progettare attentati contro di lui e i suoi. Nel settembre del 1926 alcuni sicari della North Side Gang (quella che era stata guidata da O’Banion) arrivarono a bordo delle loro auto fuori da una casa sicura di Capone, armati di mitragliatori Thompson e fucili a canne mozze, e cominciarono a sparare contro le finestre. Capone ne uscì illeso. Diversi suoi stretti collaboratori, però, in quel periodo vennero rapiti e uccisi.

Nel 1927 Capone trovò un importante alleato politico: dopo quattro anni in cui il Democratico William E. Dever aveva reso complicato gestire gli affari criminali, si ricandidò il Repubblicano William Hale Thompson, che era già stato sindaco per otto anni e in campagna elettorale fece intendere che sarebbe stato più morbido con certe attività illegali. Capone gli fece una donazione di 250mila dollari e contribuì alla sua stretta vittoria su Dever alle elezioni di quell’anno. L’anno successivo i Repubblicani tennero le primarie per il Senato e per il candidato a governatore dell’Illinois: nei mesi precedenti ci furono una lunga serie di attentati a sfondo politico, che rispecchiavano le diverse influenze e clientele dei politici locali, e i loro rapporti con le gang criminali. Il giorno delle elezioni gli uomini di Capone misero delle bombe nei seggi dove erano favoriti i candidati rivali di quelli sostenuti da Thompson, causando la morte di 15 persone. Fu anche ucciso in un attentato un candidato rivale popolare soprattutto tra gli afroamericani. James Belcastro, il principale sicario che aveva compiuto gli attentati per Capone, fu accusato insieme ad alcuni poliziotti corrotti, ma non vennero processati perché i testimoni più importanti ritrattarono le loro deposizioni.

Capone voleva risolvere una volta per tutti i problemi con la North Side Gang e incaricò i suoi uomini di uccidere Bugs Moran, che ne era diventato il capo. La mattina del 14 febbraio 1929 gli uomini di Capone, travestiti da poliziotti, fecero irruzione in un magazzino della gang rivale. Sette criminali della gang rivale vennero fatti allineare contro un muro e uccisi a sangue freddo con i mitragliatori. L’episodio divenne famoso come Massacro di San Valentino, e fu un momento di svolta nell’ancora breve carriera di Capone da gangster.

Per i primi anni Venti, Capone non era stato visto con troppa ostilità dagli abitanti di Chicago. Praticamente tutti gli adulti volevano bere alcolici, e se potevano farlo era grazie alla sua organizzazione. In un certo senso era visto come un Robin Hood, anche per le sue frequenti donazioni in beneficenza. Spesso, quando andava in luoghi pubblici come lo stadio, veniva accolto da applausi e acclamazioni; lui stesso diceva di vedersi più come un benefattore che come un criminale, e che gli omicidi e i regolamenti di conti erano parte dei suoi affari. Le cose cominciarono a cambiare con l’intensificarsi delle violenze, a partire da quelle delle primarie del 1928, e la sua figura diventò temuta e contestata soprattutto dopo il Massacro di San Valentino. L’approvazione degli abitanti di Chicago venne meno anche per via della Grande depressione, che impoverì la classe media mentre Capone continuava a esibire la sua vita opulenta.

Il processo
Capone a quel punto era diventato un peso per tutti, e se ne accorse anche la politica a Washington: il neo eletto presidente Herbert Hoover subito dopo l’insediamento affidò al segretario del Tesoro, Andrew Mellon, il compito di arrestare Capone. Si decise di attaccare Capone su due fronti: un’indagine avrebbe provato a stabilire se ci fosse stato il modo di incastrarlo per reati fiscali, mentre un’altra squadra interna al Bureau of Prohibition avrebbe cercato di indebolire la sua organizzazione con continui raid e sequestri, anche per dimostrare agli elettori che il governo federale si era impegnato a risolvere il problema. Si sperava anche che sottraendogli ricavi Capone avrebbe avuto più difficoltà a pagare per la sua protezione e influenza nella polizia, nell’amministrazione di Chicago e nei sindacati. A capo di questa seconda squadra fu messo l’agente Eliot Ness: lui e i suoi compagni divennero conosciuti con il nome di “Intoccabili”, perché avevano rifiutato la proposta di Capone che voleva corromperli. Ness fu interpretato da Kevin Costner nel famoso film Gli Intoccabili di Brian De Palma, diventando una figura leggendaria anche se il suo ruolo nell’arresto e nella condanna di Capone fu tutto sommato marginale.

Capone fu arrestato per la prima volta dopo che mentì sulle sue condizioni di salute per evitare di testimoniare in un processo, nel 1929. Fu poi arrestato nuovamente poco dopo per possesso illegale di una pistola. In entrambi i casi passò in prigione pochissimo tempo. Era sulla lista degli uomini più ricercati dall’FBI diretto da John Edgar Hoover, ma non si riusciva a incastrarlo per i suoi omicidi o per il contrabbando, per via della sua abilità nel nascondere il suo coinvolgimento negli affari illegali. Due anni prima, però, una sentenza della Corte Suprema aveva stabilito che il Quinto Emendamento, che garantisce il diritto a non incolparsi da soli per i propri reati, non permetteva di evadere le tasse sui propri ricavi illeciti: i soldi sporchi guadagnati dovevano comunque essere dichiarati al fisco, anche se questo in pratica voleva dire denunciarsi. La sentenza apriva la strada per incriminare Capone per reati fiscali, visto che i suoi enormi guadagni illegali non venivano dichiarati al governo.

Gli investigatori del dipartimento del Tesoro, guidati da Frank Wilson, verificarono che Capone non firmava mai di persona gli assegni per le sue attività illegali, ma riuscirono a ricostruire una lunga serie di acquisti di lusso e spese stravaganti incompatibili con il reddito dichiarato da Capone. Per incriminarlo, però, non bastava: dovevano dimostrare che aveva un reddito superiore a quello dichiarato. Nel 1930, dopo mesi di indagini, un avvocato di Capone contattò il dipartimento del Tesoro per chiedere di negoziare il suo debito verso il fisco americano. Wilson interrogò Capone, che negò di avere un reddito sostanzioso. L’interrogatorio non andò bene. Prima di uscire, Capone chiese: «Come sta sua moglie, Wilson? Si assicuri di prendersene cura». Wilson non si fece intimidire dalle minacce e continuò le indagini: pochi mesi dopo l’avvocato di Capone gli consegnò una lettera in cui il gangster ammetteva di non aver dichiarato redditi fino a 100mila dollari tra il 1928 e il 1929. Capone sperava di trovare un accordo con il dipartimento del Tesoro e patteggiare una piccola pena, ma a sorpresa il giudice James Wilkerson, che aveva seguito il caso, decise di fare saltare i negoziati e di portare tutto in tribunale.

Un informatore della squadra di Wilkins – uno dei pochissimi che si era fatto avanti per parlare – lo avvertì che Capone stava sfruttando la sua influenza nell’amministrazione di Chicago per corrompere la giuria del suo processo. Wilkins informò il giudice Wilkerson, che disse che la lista dei giurati non era ancora stata ufficializzata. Quando gli fu consegnata, si accorse che i nomi corrispondevano a quelli fatti dall’informatore: disse a Wilkins di non preoccuparsi. Arrivato il giorno del processo, Wilkerson entrò in aula e disse: «Il giudice Edwards comincia oggi un altro processo. Andate nella sua aula e portate qui tutti i suoi giurati, e portate i miei nella sua aula».

Allontanata la giuria corrotta, Wilkerson stabilì anche che la lettera presentata dall’avvocato di Capone, in cui ammetteva di non aver dichiarato decine di migliaia di dollari di ricavi, era ammissibile come prova della confessione di colpevolezza da parte di Capone, anche se i dettagli contenuti non potevano essere considerati come prove dai giurati. La difesa fu costruita su una presunta dipendenza di Capone dal gioco d’azzardo, che gli aveva fatto perdere decine di migliaia di dollari che quindi non aveva dichiarato. Non funzionò: il 18 ottobre 1931 Capone fu condannato per evasione fiscale. Qualche giorno dopo Wilkerson stabilì la pena a undici anni di carcere, la più lunga mai assegnata per un reato simile.

La fine
Fu imprigionato prima ad Atlanta, ma ci arrivò in pessime condizioni: la demenza causata dalla sifilide lo rendeva incoerente e vulnerabile, la gonorrea lo aveva indebolito, e aveva una grave dipendenza da cocaina. Anche a causa delle minacce e delle aggressioni degli altri detenuti, Capone fu presto trasferito al carcere di Alcatraz, su un’isola nella baia di San Francisco, aperto da poco. Qui nel 1936 venne accoltellato nei locali della lavanderia da un altro carcerato. La demenza diventò sempre più grave e Capone passò l’ultimo anno della sua sentenza nell’ospedale della prigione, in stato confusionale. Nel gennaio del 1939 fu trasferito in un carcere di bassa sicurezza a Los Angeles, e qualche mese dopo venne rilasciato.

Fuori dal carcere Capone fu curato in un ospedale di Baltimora (un altro lo aveva rifiutato), e dimesso qualche settimana dopo. Si trasferì a Palm Beach, in Florida, nella proprietà dove aveva passato gran parte della sua vita quando non era a Chicago: ormai la malattia mentale lo aveva reso quasi totalmente incapace di intendere e di volere. La sua organizzazione aveva continuato le sue attività, mantenendo un profilo più basso e riducendo la violenza. Gli affari legati alla prostituzione e al gioco d’azzardo continuarono sostanzialmente indisturbati anche dopo la fine del proibizionismo, nel 1933. Il 21 gennaio del 1947 Capone ebbe un infarto: nei giorni successivi sembrò riprendersi ma morì di arresto cardiaco il 25 gennaio dello stesso anno, a 48 anni. Spesso sulla sua tomba al Mount Carmel Cemetery di Hillside, poco fuori Chicago, si può trovare un sigaro lasciato da un visitatore.