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  • Domenica 22 gennaio 2017

Come fare un sacco di soldi con una notizia falsa

Lo ha raccontato al New York Times chi ha inventato la storia dei brogli elettorali di Hillary Clinton in Ohio, finendo per guadagnare migliaia di dollari

Cameron Harris ha 23 anni, ha da poco terminato l’università – dove è stato anche quarterback nella squadra di football – e negli ultimi mesi ha guadagnato decine di migliaia di dollari scrivendo notizie false nel tempo libero, dopo aver comprato per cinque dollari un dominio ormai inutilizzato, ChristianTimesNewspaper.com. Harris avrebbe potuto guadagnare altri 100 mila dollari vendendo il dominio, se non avesse perso il momento opportuno per farlo. Il giornalista Scott Shane ha raccontato la sua storia sul New York Times, dopo essere risalito a Harris tramite i dati relativi al dominio e averlo convinto a raccontare il suo progetto, di cui ha parlato «con un misto di senso di colpa per averlo fatto e di orgoglio per averlo fatto così bene». Shane si concentra in particolare sulla storia della notizia falsa di maggior successo di Harris, che inventò, scrisse e pubblicò in pochi minuti: la mise online su Christian Times Newspaper il 30 settembre scorso con il titolo “BREAKING: Decine di migliaia di voti fraudolenti per Clinton sono stati trovati in un magazzino in Ohio“, a firma di “admin1”.

All’epoca Donald Trump non era stato ancora eletto presidente degli Stati Uniti, anzi era ancora dato per sfavorito nei sondaggi rispetto di Hillary Clinton. Per questo Trump andava ripetendo da agosto che secondo lui le elezioni – che poi avrebbe vinto il 9 novembre – erano rigged, truccate: sembrava «un modo per un vincente come lui di mettere le mani avanti nel caso in cui avesse poi perso», scrive il New York Times. Trump iniziò a parlare di elezioni truccate in un comizio a Columbus, in Ohio, dicendo che sentiva ripetere «sempre più spesso» che c’erano prove a riguardo, pur non specificando quali.

Prove in realtà non ce n’erano, ma c’erano molte persone pronte a credere a qualsiasi cosa confermasse le accuse di brogli. Harris – che già aveva comprato il dominio Christian Times Newspaper e ci aveva già scritto notizie false – intuì che era l’occasione giusta, si sedette al tavolo della cucina e scrisse in pochi minuti quella che il New York Times ha definito un «capolavoro di notizia falsa». Non fece in realtà granché: si limitò a inventarsi le improbabili prove che sostenevano le vaneggianti teorie di Trump, le scrisse nel modo giusto e con l’adeguato livello di indignazione e le accompagnò con titolo e fotografia azzeccati.

La notizia falsa (ancora disponibile in questo archivio, nonostante Christian Times Newspaper non sia più online) è ambientata a Columbus, in Ohio, perché, ha detto Harris, «sembrava giusto che quella sconvolgente scoperta avvenisse proprio nella città e nello stato in cui Trump aveva iniziato a parlare di elezioni truccate». Ambientarla in Ohio rendeva tutto più credibile e rilevante, dato che era uno degli stati in bilico in cui per Trump era fondamentale vincere, com’è poi accaduto. Ambientare la storia in uno stato dove Clinton era strafavorita, come la California, l’avrebbe resa invece meno importante. «Prima di mettermi a scrivere avevo una teoria – spiega Harris – Tutti quelli che erano per Trump non si fidavano dei media. Avrebbero però cliccato qualsiasi cosa fosse invece stata in linea con quanto detto da Trump. Trump andava in giro a dire “elezioni truccate, elezioni truccate”. Quelle persone erano portate a credere che Hillary Clinton avrebbe potuto vincere solo barando». È la post-verità, spiegata in altre parole.

Dopo aver deciso che la notizia avrebbe parlato di brogli in Ohio, Harris si mise a pensare a chi avrebbe potuto scovare le schede contraffatte, e inventò il personaggio di Randall Prince, dipendente di una società elettrica, un uomo normale, tipico sostenitore di Trump con un cognome che suggeriva però un certo grado di nobiltà. Nell’articolo Prince raccontava di essere entrato per caso nel retro di un magazzino e di averci trovato scatoloni pieni di schede con voti per Clinton. Harris gli fece dire che: «Nessuno entra in questo edificio. È usato soprattutto come deposito da un idraulico della zona», aggiunse un paio di frasi di spiegazione e indignazione e specificò che «il Christian Times Newspaper non è per ora riuscito a ottenere una fotocopia di quei voti trovati nelle scatole».

L’articolo era pronto, mancava soltanto la foto. Harris trovò su Google quella che faceva al caso suo: un’immagine con un uomo in un locale, che spuntava dietro a una pila di scatoloni neri di plastica con scritto sopra “ballot box”, “urne elettorali”. L’uomo non era ovviamente l’inesistente Randall Prince ma un britannico, e la foto era stata scattata tempo prima. Harris l’aggiunse al pezzo e lo concluse con una frase che diceva: «la storia è in evoluzione e CTV vi darà nuovi aggiornamenti appena arriveranno». Condivise l’articolo su alcune pagine Facebook che aveva appositamente creato: in poco tempo iniziò a girare online, spesso accompagnata da indignanti commenti di seguaci di Trump che finalmente trovavano la prova dei loro sospetti. Secondo i dati di CrowdTangle – una società che analizza il traffico internet – la notizia raggiunse circa sei milioni di persone. «Ancora prima di pubblicarlo sapevo che l’articolo avrebbe spaccato», ha detto Harris al New York Times. Il giorno dopo, in Ohio fu aperta un’indagine per vedere se c’erano irregolarità nell’allestimento dei seggi ma venne subito fuori che la fonte era una notizia falsa e la cosa finì lì.

Harris ha raccontato di essersi dedicato al sito circa mezz’ora a settimana per qualche mese. Ha detto di aver votato per Trump (anche se avrebbe preferito Marco Rubio) ma di aver iniziato a fabbricare notizie false per soldi, non per ragioni politiche: aveva finito l’università a maggio e doveva pagare l’affitto e tirare avanti in attesa di un lavoro. Prima della storia dei brogli in Ohio aveva già pubblicato su Christian Times Newspaper una notizia intitolata “Hillary Clinton dà la colpa al razzismo per la morte del gorilla di Cincinnati” (cioè Harambe, ucciso dopo che un bambino era finito nella sua gabbia) e un’altra su un’esplosione, mai avvenuta, a Washington DC, che avrebbe causato un morto. Dopo la storia sui brogli, Harris ne scrisse una intitolata “La polizia di New York sta per indagare Bill Clinton per un giro di sesso con minorenni”, una in cui diceva che Hillary Clinton aveva chiesto il divorzio e una sulla (finta) morte di un senzatetto e veterano di guerra, picchiato a Philadelphia da alcuni manifestanti.

A fine ottobre, poco prima delle elezioni, Harris chiese una stima sul valore del sito, che nel frattempo era diventato tra i 20mila più visitati. Avrebbe potuto venderlo per una cifra tra i 115 e i 125 mila dollari ma preferì aspettare sperando di ricavarne di più. Nel frattempo però le notizie false erano diventate un argomento di discussione e Google aveva deciso di bloccare le pubblicità sui siti di fake news: tra questi c’era anche Christian Times Newspaper, che perse improvvisamente tutto il suo valore.

Harris ha raccontato al New York Times di non sentirsi troppo in colpa perché «quasi niente di quello che dice un candidato in campagna elettorale» è vero al 100 per 100. Si è comunque scusato su Twitter per quel che ha fatto, e ha detto di aver capito molte cose su come funzionano gli Stati Uniti e la stampa e che vuole «contribuire con la sua esperienza a una discussione più vasta su come gli americani statunitensi usano i media». Da giugno, si legge sul suo profilo LinkedIn, lavora come consulente legislativo.

https://twitter.com/camharris_us/status/821879977301962752

Harris deve anche decidere cosa fare dei 24mila indirizzi email che ha raccolto attraverso una raccolta firme prima che il suo sito diventasse inaccessibile: l’obiettivo era fermare il piano di Clinton per “rubare le elezioni”.

ctn