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  • Giovedì 19 gennaio 2017

Si è chiuso il caso del migrante ucciso a Fermo

L'aggressore ha patteggiato una pena ai domiciliari di quattro anni: difesa e procura avevano raggiunto un accordo che è stato ratificato

Una manifestazione a Fermo contro il razzismo e a sostegno di Emmanuel Chidi Namdi, luglio 2016 (© Patrizia Cortellessa/Pacific Press via ZUMA Wire)
Una manifestazione a Fermo contro il razzismo e a sostegno di Emmanuel Chidi Namdi, luglio 2016 (© Patrizia Cortellessa/Pacific Press via ZUMA Wire)

Mercoledì 18 gennaio al tribunale di Fermo si è svolta l’udienza in cui la giudice per le indagini preliminari ha ratificato l’accordo raggiunto nel dicembre scorso tra la difesa e la procura sul caso di Emmanuel Chidi Namdi, l’uomo nigeriano di 36 anni ucciso nel luglio del 2016 durante una rissa da Amedeo Mancini, ultrà della Fermana. Amedeo Mancini ha patteggiato una pena di quattro anni e la vedova dell’uomo ucciso riceverà 5 mila euro per il rimpatrio in Nigeria della salma del marito. Mancini sconterà i quattro anni agli arresti domiciliari con possibilità di uscire otto ore al giorno per lavorare.

Mancini era stato accusato di omicidio preterintenzionale. Alla pena di quattro anni si è arrivati partendo dal minimo della pena previsto dal codice, cioè dieci anni. Delle tre aggravanti contestate (recidiva, motivi abietti e futili e aggravante razziale), ne sono state eliminate due (recidiva, motivi abietti e futili), è stata riconosciuta l’attenuante della provocazione e mantenuta l’aggravante razziale, ma «con una rilevanza concreta poco più che simbolica», hanno spiegato gli avvocati di Mancini.
La vedova di Emmanuel Chidi Namdi, Chinyere, ha rinunciato a qualsiasi pretesa risarcitoria tramite un’azione civile, a fronte del pagamento dell’unica somma di 5 mila euro richiesta per il rimpatrio in Nigeria della salma del marito. Ha anche ottenuto l’assicurazione che Mancini non l’avrebbe denunciata per le dichiarazioni false circa la dinamica dei fatti da lei rilasciate alla polizia giudiziaria dopo la rissa.

L’avvocato della donna ha commentato dicendo che ora «c’è un colpevole che si professava innocente e una parte offesa, che tale è sempre stata, che in Italia è venuta senza niente e che di certo non si è voluta approfittare della situazione, volendo unicamente dar pace alla salma del compagno morto in quel maledetto 5 luglio 2016. Con questa condanna, quindi, si spera solo che chi ha sbagliato impari a rispettare il prossimo, chiunque esso sia, che Fermo ritorni ad avere l’immagine di città ospitale, solidale e accogliente che ha sempre avuto e che ora Emmanuel possa finalmente riposare in pace».

Emmanuel Chidi Namdi aveva 36 anni: aveva chiesto asilo in Italia dopo essere scappato con la compagna dalla Nigeria a causa dell’organizzazione terrorista Boko Haram. Namdi e la compagna erano arrivati in Italia attraverso la Libia; durante la traversata verso Palermo la donna, che era incinta, era stata picchiata sul barcone e aveva abortito. A Fermo i due si erano sposati, ma non avendo i documenti il matrimonio non era stato formalizzato. Nel luglio del 2016 Namdi era morto dopo un giorno di coma dopo essere stato aggredito e picchiato a Fermo, nelle Marche. L’aggressore, Amedeo Mancini, un uomo italiano di 35 anni, ultrà della Fermana descritto dai giornali come vicino a gruppi neofascisti e di estrema destra, già conosciuto dalle forze di polizia e sottoposto a Daspo, aveva incrociato Emmanuel Chidi Namdi e la sua compagna che passeggiavano per la strada. C’erano stati da parte sua degli insulti razzisti, Chidi Namdi aveva reagito ed era stato colpito battendo la testa. Da subito, sulla dinamica di quello che era successo, c’erano state diverse versioni.