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  • Domenica 15 gennaio 2017

Com’è andato Obama sull’occupazione

Se si considera solamente il calo della disoccupazione ha fatto meglio di quasi tutti i presidenti americani della storia moderna: ma è un po' più complesso di così

di Ana Swanson e Christopher Ingraham – The Washington Post

Il presidente uscente degli Stati Uniti Barack Obama durante il suo discordo d'addio a Chicago, in Illinois, il 10 gennaio 2017 (NICHOLAS KAMM/AFP/Getty Images)
Il presidente uscente degli Stati Uniti Barack Obama durante il suo discordo d'addio a Chicago, in Illinois, il 10 gennaio 2017 (NICHOLAS KAMM/AFP/Getty Images)

Oggi l’economia americana è lontana dall’essere perfetta ma, alla fine della sua presidenza, Barack Obama la lascia in condizioni di gran lunga migliori rispetto a quelle che ha ereditato. Obama, infatti, terminerà la sua amministrazione con il secondo maggior calo nel tasso di disoccupazione dai tempi dei New Deal, che contribuì a far uscire il paese dalla Grande Depressione. Meglio di Obama ha fatto solo Bill Clinton: durante i suoi mandati il tasso di disoccupazione scese dal 7,3 per cento del gennaio 1993 al 3,9 per cento del dicembre 2000. Quando Obama iniziò il suo primo mandato nel mezzo della recessione il tasso di disoccupazione americano era del 7,8 per cento. Il mese scorso è arrivato al 4,7 per cento. Nonostante sia un calo consistente, durante la presidenza Obama il tasso medio di disoccupazione è stato relativamente alto, al 7,4 per cento.

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Come mostra il grafico, negli Stati Uniti la disoccupazione è diminuita sotto ogni presidente Democratico a eccezione di Jimmy Carter, mentre è aumentata sotto ogni presidente Repubblicano a eccezione di Ronald Reagan. Queste tendenze, tuttavia, potrebbero non essere così indicative come potrebbe sembrare. A dispetto della narrazione popolare, generalmente gli economisti sostengono che i presidenti americani abbiano un controllo limitato sull’economia, perlomeno se paragonati alla forza del ciclo economico, la velocità delle innovazioni tecnologiche e gli eventi dell’economia globale. Il campione preso in considerazione da questi grafici – 11 presidenti – è inoltre decisamente troppo piccolo per trarre delle ampie conclusioni.

Il calo del tasso di disoccupazione durante la presidenza Obama nasconde anche un’altra tendenza pericolosa, e cioè che il numero delle persone che smettono del tutto di partecipare al mercato del lavoro americano è in crescita. La diminuzione del tasso di disoccupazione durante i mandati di Obama è dovuto in parte al fatto che alcuni lavoratori hanno smesso di cercare un lavoro. Il governo americano conta come “disoccupate” soltanto le persone che non hanno un impiego e hanno cercato attivamente lavoro nel corso dell’ultimo mese. I “lavoratori scoraggiati” – le persone che potrebbero lavorare ma non stanno più cercando un impiego – non vengono contate come disoccupate. Queste persone rientrano nella misurazione del tasso di partecipazione della forza lavoro. Analizzando i dati relativi alle persone nel pieno dell’età lavorativa – quelle dai 25 ai 54 anni – si può desumere che durante la presidenza Obama il tasso di partecipazione della forza lavoro è sceso, nonostante negli ultimi anni abbia iniziato a riprendersi. Questi dati indicano che molti americani che potrebbero avere un lavoro rimangono invece in disparte.

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La ragione esatta di questa tendenza non è nota, anche se esistono diverse spiegazioni plausibili, ha detto Jed Kolko, capo economista del motore di ricerca per trovare lavoro Indeed. Molti economisti attribuiscono la responsabilità ai cambiamenti tecnologici e dell’automazione che hanno eliminato posti di lavoro ben retribuiti destinati a lavoratori poco qualificati. C’è chi ha proposto altre motivazioni, tra cui l’aumento dei livelli di incarcerazione, che ha fatto sì che più americani avessero precedenti penali che li rendono non idonei o sgraditi per i datori di lavoro. Altre persone incolpano il crescente tasso di tossicodipendenza e addirittura i videogiochi, che smorzerebbero la predisposizione delle persone al lavoro: tutti fattori che, in ogni caso, sono fuori dal controllo di un presidente.

© 2017 – The Washington Post