I documentari sulla natura fanno male alla natura?

Ci mostrano la vita degli animali in un modo così straordinario che forse ci fanno dimenticare quanto siano minacciati dall'uomo

Una scena di "Planet Earth II" in cui si vede un bradipo che nuota
Una scena di "Planet Earth II" in cui si vede un bradipo che nuota

I documentari sulla natura fatti in modo da affascinare le persone sulla vita degli animali selvatici – come la famosa serie Planet Earth II di BBC – contribuiscono all’estinzione delle specie animali che mostrano: lo ha scritto – in un articolo pubblicato sul Guardian – Martin Hughes-Games, un addetto ai lavori di questo genere di programmi televisivo, che produce e presenta altre serie di documentari di BBC.

Secondo Hughes-Games, il problema della maggior parte dei documentari sulla natura è che mostrano il mondo come se l’estinzione di massa non stesse avvenendo: sono girati nei parchi naturali in giro per il pianeta, la cui ampiezza continua a ridursi, e fanno credere agli spettatori che esista un «bellissimo, incantevole mondo di fantasia, un’utopia in cui le tigri vagano libere e indisturbate, un mondo in cui l’uomo non è mai esistito». In questo modo, invece di spingere le persone a preoccuparsi della sorte delle specie animali come sperano i realizzatori di Planet Earth II, si dà l’impressione che alla fine la condizione degli animali selvatici non sia tanto a rischio.

Invece, spiega Hughes-Games, non è così: secondo l’ultimo Living Planet Report del WWF e della Società Zoologica di Londra, tra il 1970 e il 2012 il numero di animali vertebrati (Homo Sapiens escluso) che vivono sul pianeta è diminuito del 58 per cento. Questo perché le persone hanno continuato a distruggere, ridurre e degradare gli habitat naturali di questi animali, inquinando, sfruttando il suolo, contribuendo al cambiamento climatico in tempi rapidi e importando specie invasive nei posti sbagliati. Nel periodo in cui Planet Earth II è stato trasmesso su BBC, tra il 6 novembre 2016 e l’1 gennaio 2017, i giornali hanno parlato del fatto che le popolazioni mondiali di leoni e di elefanti stanno diminuendo e che le giraffe ora sono considerate una specie a rischio di estinzione, dato che il loro numero è diminuito del 40 per cento in 15 anni.

L’opinione di Hughes-Games è in parte allineata alla linea editoriale dello stesso Guardian, che a dicembre ha elogiato moltissimo Planet Earth II rammaricandosi soltanto del fatto che David Attenborough, il noto divulgatore che presenta la serie, una sorta di Piero Angela britannico, non sia stato più deciso nel criticare le attività umane che mettono in pericolo le specie animali.

Hughes-Games ritiene che Planet Earth II – che è in qualche modo il seguito di una precedente serie, Planet Earth, andata in onda nel 2006 e disponibile anche in Italia su Netflix – sia «magnifica e spettacolare» e che nessun altro documentario prima sia stato girato tanto vicino agli animali e in così alta qualità. Per questa ragione non pensa assolutamente che programmi del genere non debbano essere prodotti. La sua proposta è un’altra: istituire una sorta di “tassa sulla difesa degli animali” per tutti i programmi che parlano di animali e ambienti naturali. “Tassa” non nel senso di fondi da devolvere, ma nel senso di dedicare una frazione di questi programmi esclusivamente al tema della salvaguardia dell’ambiente. Per Hughes-Games dovrebbe essere di un quinto per ogni documentario sulla natura (compresi quelli per bambini) e dovrebbe avere lo scopo di mostrare i veri rischi in cui le specie animali si trovano a causa delle attività umane. La BBC, essendo una società di servizio pubblico, potrebbe imporre questa “tassa” – che in qualche misura ridurrebbe il fascino dei documentari – senza i problemi economici che una televisione privata potrebbe dover affrontare adottando questa strategia.