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  • Martedì 20 dicembre 2016

Il calcio italiano è cambiato

Negli ultimi sei anni il campionato di Serie A ha attraversato una "rivoluzione tattica", spiega Emiliano Battazzi sull'Ultimo Uomo

(Gabriele Maltinti/Getty Images)
(Gabriele Maltinti/Getty Images)

L’Ultimo Uomo, rivista online di approfondimento sportivo diretta da Daniele Manusia, martedì ha pubblicato un lungo articolo scritto da Emiliano Battazzi che descrive la “rivoluzione tattica” avvenuta in Serie A negli ultimi sei anni, dalla stagione 2010/2011 fino a oggi. Nell’articolo, le cui illustrazioni sono state disegnate da Andre Milandri Bussetti, Battazzi parte dall’emersione internazionale di una nuova generazione di allenatori, da Pep Guardiola a Jorge Sampaoli, avvenuta fra il 2008 e il 2010, che ha introdotto nel calcio mondiale i concetti di simultaneità delle fasi di gioco, di dinamismo continuo e imposizione della propria strategia. Da lì, dopo un’introduzione alle squadre più rappresentative di quegli anni, si passa al campionato italiano, inizialmente rimasto indietro rispetto a quello che succedeva in molti altri campionati europei.

Nel frattempo, dopo aver raggiunto il vertice massimo dell’innovazione tattica con Sacchi, il calcio italiano ha elaborato e proseguito una scuola ricchissima ma che lentamente si è specchiata su se stessa, fino a perdere il senso di ciò che stava succedendo al di fuori. E così il gegenpressing, il juego de posición (gioco di posizione), gli half-spaces (spazi di mezzo), la periodizzazione tattica, a quel punto sono diventati strumenti, concetti e metodologie sviluppati nel resto d’Europa, ma non nel campionato italiano, che rimaneva il migliore nell’escogitare il particolare, nell’elaborare il dettaglio, perdendo però la visione più ampia su identità tattica e strategia di gioco. Ma la rivoluzione era iniziata: bisognava solo aspettare l’integrazione nella solidissima, e ostile ai cambiamenti, cultura calcistica italiana.

Nell’articolo, che spiega aspetti anche molto tecnici con linguaggio chiaro anche per chi non è un impallinato, vengono poi analizzate le squadre italiane che hanno introdotto gradualmente alcuni dei concetti già utilizzati da molti allenatori stranieri e il conseguente mutamento – per molti versi fisiologico – delle caratteristiche dei giocatori.

Per cambiare il calcio italiano non bastavano le idee e gli allenatori: alla fine è pur sempre l’orchestra a suonare. Anche tra i giocatori, quindi, i segni del cambiamento sono stati lenti ma inevitabili: oggi, i giocatori della Serie A hanno caratteristiche diverse rispetto a quelli di dieci o venti anni fa. Il cambiamento dei ritmi del calcio, più aggressivo e più dinamico, paradossalmente non ci ha regalato solo giocatori mutanti, fortezze fisiche con uno strepitoso controllo del pallone. Per contrasto ci ha finalmente permesso di apprezzare un certo tipo di calciatori, che prima venivano masticati e sputati dalla durezza della Serie A. All’aumentare del dinamismo e della velocità del gioco, cioè, è corrisposto un aumento di giocatori in grado di fermare il tempo.

Come scrive Valdano nel libro “Fútbol: El Juego Infinito”, “nel calcio ci sono tre tipi di velocità: quella fisica dello spostamento da un posto a un altro […]; quella mentale (che permette di scegliere la migliore tra molte possibilità quasi come un riflesso automatico; nel calcio, pensare rapidamente o prima di ricevere il pallone è diventato un fattore decisivo) e quella tecnica (che si chiama precisione, ed è la più importante di tutte […]: se controllo il pallone con un solo tocco sono rapido; se passo con un solo tocco rendo la mia squadra rapida)”.

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