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  • Domenica 27 novembre 2016

In Wisconsin si ricontano i voti

Dopo una richiesta della candidata dei Verdi Jill Stein: al riconteggio parteciperà anche il comitato elettorale di Clinton, e Trump non l'ha presa bene

Cittadini americani votano a Milwaukee, in Wisconsin, l'8 novembre 2016 (Darren Hauck/Getty Images)
Cittadini americani votano a Milwaukee, in Wisconsin, l'8 novembre 2016 (Darren Hauck/Getty Images)

Il 26 novembre il comitato elettorale di Hillary Clinton ha detto che parteciperà al processo di riconteggio dei voti delle elezioni presidenziali americane nello stato del Wisconsin, chiesto dalla candidata dei Verdi Jill Stein, e che farà lo stesso anche nel caso in cui Stein o un altro candidato chieda il riconteggio in Michigan o Pennsylvania. In Wisconsin, Michigan e Pennsylvania il presidente eletto Donald Trump ha vinto per circa 107mila voti, in totale: sono pochi, ma sono stati decisivi per il risultato delle elezioni, perché hanno permesso a Trump di ottenere i grandi elettori necessari per vincere (cioè più di 270). Nell’ultimo periodo due gruppi di attivisti ed esperti di informatica hanno insistito perché Hillary Clinton chiedesse un riconteggio dei voti in questi stati. Hanno notato che Clinton ha ottenuto un numero superiore di voti nelle contee in cui si votava con la scheda elettorale cartacea, rispetto a quelle in cui gli elettori votavano tramite una macchina elettronica: secondo loro questo dato potrebbe indicare che i risultati dei posti in cui il voto è avvenuto per via elettronica sono stati manipolati.

Finora il comitato elettorale di Clinton non aveva risposto a queste richieste perché i due gruppi non hanno portato nessun tipo di prova concreta a sostegno della loro teoria: era solo un’ipotesi, basata su quella che loro hanno interpretato come un’anomalia. Diversi analisti hanno espresso scetticismi sulla teoria del voto manipolato, spiegando che non c’è una vera anomalia: in Iowa e Minnesota, due stati confinanti col Wisconsin dove il voto è solamente cartaceo, i risultati sono stati per esempio comparabili a quelli del Wisconsin, come spesso è accaduto in passato. In Pennsylvania, inoltre, Trump ha vinto di 65mila voti: un margine ampio abbastanza da non far pensare che lo spostamento di qualche voto possa incidere sull’esito finale. Quella di una manipolazione del voto è un’accusa molto grave, e il riconteggio dei voti è una procedura a cui si ricorre solamente in casi estremi e in cui c’è un ragionevole dubbio di irregolarità, dato che è molto costosa e politicamente “pesante”. Praticamente tutti gli osservatori hanno poi avvertito che, qualunque esito abbia il riconteggio, è davvero improbabile che cambi radicalmente il risultato delle elezioni: per ribaltare il risultato a suo favore Clinton dovrebbe dimostrare di avere ottenuto più voti sia in Wisconsin sia in Michigan sia in Pennsylvania, cosa al momento impensabile.

Nel comunicato diffuso ieri il rappresentante legale di Hillary for America Marc Elias ha spiegato che il comitato elettorale di Clinton ha già fatto moltissime verifiche e ha detto: «Dato che non abbiamo scoperto nessuna prova di attacchi informatici o di altri tentativi esterni di sabotaggio della tecnologia di voto, abbiamo deciso di non chiedere il riconteggio dei voti, ma dato che ora questo processo è iniziato in Wisconsin, abbiamo intenzione di partecipare per assicurarci che tutto sia svolto in maniera equa per tutte le parti in causa».

Lo stesso comunicato di Elias mostra che il comitato elettorale di Clinton non ritiene che il riconteggio possa cambiare qualcosa nel risultato delle elezioni. Tra i molti esperti che hanno espresso scetticismi sulla questione del riconteggio c’è stato anche Nate Silver, il fondatore e direttore di FiveThirtyEight, che ha detto di avere molti dubbi sulla concretezza delle accuse, spiegando che nessuna altra analisi sul voto nei tre stati in questione evidenzia irregolarità. Secondo l’analisi di FiveThirtyEight, basta l’analisi demografica per capire i risultati delle elezioni.

Donald Trump ha criticato il sostegno del comitato elettorale di Clinton all’iniziativa di Stein e ha ricordato che prima che il risultato elettorale fosse noto i Democratici avevano detto che avrebbero accettato l’esito del voto. Trump ha anche attaccato i Verdi: ha definito il riconteggio una «truffa» con cui Stein e il suo partito vogliono raccogliere soldi ingannando i loro elettori: in Wisconsin se la differenza dei voti è maggiore dello 0,25 per cento il candidato che chiede il riconteggio deve pagarne interamente i costi. La procedura può essere costosa: un riconteggio locale in Wisconsin in cui erano in ballo 9mila voti è costato 13mila dollari, cioè circa 12mila euro. Alle elezioni presidenziali hanno votato più di 3 milioni di persone nello stato. Secondo Trump i soldi che i Verdi raccoglieranno serviranno solo in parte per le spese per il riconteggio, e il resto sarà trattenuto dal piccolo partito.

Stein ha fatto richiesta per il riconteggio il 25 novembre, circa un’ora prima della scadenza per chiederlo. Ha raccolto 5 milioni di dollari (più di 4,7 milioni di euro) per coprire le spese, e ora cercherà di raccogliere altri fondi per il Michigan e per la Pennsylvania, dove non è ancora scaduto il limite di tempo per chiedere i riconteggi. Finora la raccolta fondi è stata finanziata da singoli sostenitori: il comitato elettorale di Hillary Clinton non ha finanziato in alcun modo l’iniziativa di Stein, ma pagherà i propri avvocati per seguire le fasi del riconteggio.

Tra le teorie più citate riguardo a un possibile broglio elettorale c’è quella di un intervento di hacker russi: infatti, come ha spiegato Elias, è stato provato che siano stati informatici pagati dalla Russia a rubare dati al Partito Democratico durante la campagna elettorale. Tuttavia la stessa amministrazione del presidente Barack Obama ha fatto sapere con un comunicato pubblicato sul New York Times che il governo non ha riscontrato nessun aumento di attacchi informatici durante le elezioni allo scopo di modificarne il risultato: «Pensiamo che le nostre elezioni siano state libere e imparziali dal punto di vista della sicurezza informatica».