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  • Martedì 19 luglio 2016

Il discorso plagiato di Melania Trump

La cosa di cui si sta parlando di più alla convention dei Repubblicani è un guaio imbarazzante e con qualche teoria del complotto intorno

di Francesco Costa – @francescocosta

Melania Trump nel 2016 e Michelle Obama nel 2008. (AP Photos)
Melania Trump nel 2016 e Michelle Obama nel 2008. (AP Photos)

L’evento principale della prima giornata della convention del Partito Repubblicano statunitense a Cleveland è stato il discorso di Melania Trump, terza e attuale moglie dell’imprenditore Donald Trump, candidato del partito alle elezioni presidenziali dell’8 novembre. Il discorso di Melania Trump – che è nata in Slovenia ed è un’ex modella – era stato ben commentato sul momento dalla gran parte dei giornalisti, ma nel giro di un’ora dalla fine dei lavori è venuto fuori che alcuni stralci erano identici ad altrettanti passaggi del discorso che Michelle Obama, l’attuale first lady, rivolse alla convention del Partito Democratico del 2008 a Denver.

Si tratta di un incidente particolarmente imbarazzante: c’era molta attesa per il discorso di Melania Trump, anche perché non è abituata a parlare in pubblico e ha un pesante accento dell’Europa dell’est, e copiare un discorso così importante e recente come quello di Michelle Obama del 2008 comporta la certezza di essere scoperti nel giro di pochi minuti; dall’altra parte i brani dei due discorsi sono effettivamente identici, parola per parola, cosa che fa pensare che non si possa trattare di una coincidenza. Beffa ulteriore: la speechwriter che scrisse quel discorso di Michelle Obama ha lavorato a lungo con Hillary Clinton, sfidante di Trump alle elezioni presidenziali.

Il comitato elettorale di Trump ha risposto fin da subito negando l’evidenza, sostenendo che il discorso di Melania Trump era stato eccezionale – gli stessi giornalisti lo avevano giudicato migliore delle aspettative – e per questo i media complici di Hillary Clinton si stavano dando da fare per screditarlo. Paul Manafort, capo della campagna elettorale di Trump, ha escluso che qualcuno potesse aver plagiato brani del discorso; Chris Christie, governatore del New Jersey e uno dei principali sostenitori di Trump, ha detto che «il 93 per cento del discorso di Melania Trump era comunque originale»; Katrina Pierson, aggressiva portavoce di Trump, ha detto «questa teoria per cui Michelle Obama avrebbe inventato la lingua inglese è assurda».

Diversi politici e funzionari Repubblicani hanno detto che il comitato di Trump dovrebbe semplicemente ammettere l’errore, licenziare il responsabile e chiudere il caso, invece di portare avanti una polemica che potrebbe durare giorni e deviare l’attenzione dal resto della convention. Corey Lewandowski, che fino a poche settimane fa era il capo della campagna di Trump ed è stato licenziato dopo molte polemiche interne con Paul Manafort, ha detto che l’autore del discorso dovrebbe essere licenziato e così anche lo stesso Manafort.

Questo apre un’altra faccenda di cui si è discusso molto a Cleveland tra giornalisti ed esperti di politica americana: chi ha scritto quel discorso? Plagiare un discorso così recente pronunciato da un politico così importante in un’occasione così importante vuol dire avere la certezza assoluta di essere scoperti nel giro di poche ore, con tutte le conseguenze del caso. Non si sa ancora ufficialmente chi ha scritto il discorso, visto che il comitato Trump nega del tutto che esista un caso plagio, ma il New York Times ha scritto che una sua prima bozza è stata scritta da Matthew Scully, giornalista, saggista ed esperto speechwriter.

Scully non è un novellino: è un saggista molto stimato ed è considerato uno speechwriter molto talentuoso, ha lavorato per George W. Bush quando era presidente e ha scritto l’apprezzato discorso di Sarah Palin alla convention del Partito Repubblicano del 2008. Insomma, Scully non è uno da cui ci si aspetta un errore del genere: e il fatto che sia particolarmente vicino alla famiglia Bush – in pessimi rapporti con Trump e i suoi – sta facendo circolare teorie del complotto alla House of Cards che nell’attuale situazione del Partito Repubblicano non sembrano così improbabili. Ma sempre il New York Times scrive che, secondo le sue fonti, Melania Trump è intervenuta pesantemente nella bozza di Scully: anche se non è ancora chiaro in quali parti.

Al di là del discorso in sé – una storia imbarazzante ma che non sposta voti, probabilmente – questo incidente è visto da molti analisti come un esempio dell’incapacità del comitato di Trump di gestire situazioni anche soltanto un po’ impegnative e complesse, di affidarsi a funzionari e collaboratori abili e talentuosi, di costruire un rapporto positivo e di fiducia con l’establishment del Partito Repubblicano: tutte cose che possono portare a guai peggiori, di quelli che i voti li fanno perdere. Ci sono altri due elementi preoccupanti per i sostenitori di Trump: la testardaggine nel non voler ammettere l’evidenza, che ha impedito di chiudere il caso rapidamente, e il rischio di oscurare il resto della convention. Ammesso che valga in generale, è improbabile che questo sia un caso di “bene o male, l’importante è che se ne parli”: nei giorni della convention di un partito statunitense tutte le attenzioni dei media sono comunque concentrate sul partito e sul candidato, non c’è competizione con gli avversari. E scandali come quello su Melania Trump deviano l’attenzione dall’attività promozionale del candidato, dai comizi dei suoi sostenitori e dalla descrizione delle sue proposte.