Cosa sta succedendo alle monete mondiali

Perché la sterlina è crollata, e cosa sta succedendo alle altre monete ed economie coinvolte dai risultati del referendum britannico

(AP Photo/Thibault Camus)
(AP Photo/Thibault Camus)

La notte del referendum sull’uscita dal Regno Unito dall’Unione Europea, i primi a prendere sul serio l’eventualità che i sondaggi avessero sbagliato a prevedere come sarebbe andata a finire sono stati i mercati finanziari. Quando il conteggio dei primi voti reali ha mostrato un vantaggio inaspettato del “Leave” a Sunderland, uno dei primi collegi a comunicare i risultati, la sterlina è precipitata.

A fine scrutinio la sterlina era arrivata al suo valore minimo in trent’anni e nei giorni successivi ha continuato a calare, generando una serie di reazioni a catena che hanno avuto effetto sulle valute di tutto il mondo. Tema che è divenuto uno dei principali e più rilevanti tra le conseguenze del referendum, e che oggi occupa l’apertura del Wall Street Journal con un articolo che prova a spiegarlo.

La sterlina
Il problema principale generato dal Brexit è l’incertezza. Nessuno sa oggi cosa accadrà in futuro tra Regno Unito e Unione Europea, se ci sarà davvero un’uscita, a cosa porterà, e in quali tempi e a quali condizioni avverrà. In questa situazione, la cosa più sensata da fare è essere prudenti: che in economia significa sospendere gli investimenti in attesa di capire cosa accadrà in futuro. Questo meccanismo è, da solo, in grado di rallentare la crescita economica e, potenzialmente, causare una recessione. Tendenzialmente, gli operatori di mercato acquistano le monete di paesi che percepiscono avere un’economia solida, dinamica e promettente, mentre cedono quelle di paesi in difficoltà. Ecco quindi che per paura di una futura recessione, moltissimi operatori hanno venduto le loro sterline, causando un crollo nel valore della moneta.

Cosa significa?
Il calo di valore di una moneta ha un effetto immediato che è in parte positivo: le esportazioni di quel paese costeranno relativamente di meno e quindi saranno più competitive. Questa è una delle ragioni per cui diverse società quotate alla borsa di Londra hanno resistito meglio di altre: il loro business è basato sulle esportazioni, quindi potrebbero riuscire a guadagnare dalla crisi in corso grazie alla maggiore competitività dei loro prodotti. Il problema è che il Regno Unito non è un paese manifatturiero, come Germania e Italia, e quindi solo una parte ridotta della sua economia è basata sulle esportazioni che possono beneficiare di un cambio favorevole. Società immobiliari, banche e linee aeree rischiano tutte grossi problemi se la sterlina continuerà ad essere molto debole.

E le altre monete?
Come ha scritto il Wall Street Journal: «Le monete possono deprezzarsi ma non tutte insieme». Quando una moneta scende di valore, in genere, significa che è scesa rispetto a un’altra. Chi sposta i suoi investimenti da una valuta legata a un’economia a rischio, preferisce investirli in un’altra, percepita invece come stabile. Quindi il calo della sterlina ha spinto molti ad acquistare dollari, e il dollaro è aumentato di valore. E insieme a lui, in questi giorni, si sono apprezzate quasi tutte le altre principali valute: lo yen giapponese, il franco svizzero, e in misura minore l’euro (anche l’oro, poi, molto).

E qual è il problema?
Per cominciare, uno opposto a quello del Regno Unito: Giappone, Svizzera e alcuni dei principali paesi dell’euro, Italia e Germania, sono grandi esportatori e rischiano di soffrire un cambio troppo elevato. Inoltre, un cambio forte finisce anche con l’abbassare l’inflazione, visto che le importazioni costano relativamente di meno.  Un’inflazione intorno al 2 per cento è uno degli obiettivi che la BCE e la banca centrale del Giappone stanno cercando di ottenere da parecchio tempo e con scarsi successi. Miliardi di euro, yen e dollari sono stati immessi negli ultimi anni sul mercato, in un tentativo da parte delle banche centrali di spingere la crescita, ma questo denaro, in Europa e Giappone almeno, non è riuscito a rimettere in moto l’economia e ha fallito nel ravvivare l’inflazione. Tra esperti ed investitori oggi si discute molto di come i tradizionali strumenti utilizzati dalle banche centrali per influenzare le valute e le economie sottostanti abbiano perso efficacia.

Rialzi marcati della valuta hanno conseguenze dirette sulle economie dei paesi interessati e per i loro principali esportatori. Il produttore di fotocamere e stampanti Canon, per esempio, stima che ogni punto di aumento dello yen sul dollaro riduce i profitti operativi di circa 38 milioni di dollari. Il Giappone deve fare i conti da tempo con un livello debole di esportazioni a causa del valore della sua valuta, tanto che ci si attende un nuovo aggiustamento da parte della Banca centrale giapponese entro la fine di luglio. Gli analisti segnalano che uno yen ancora più forte potrebbe avere duri effetti sull’economia del paese. Lo yen è cresciuto del 18 per cento da inizio anno nonostante gli sforzi della banca centrale.

La Banca nazionale svizzera ha problemi simili nel tenere sotto controllo l’aumento del franco. È stata tra le prime a intervenire dopo l’esito del referendum nel Regno Unito, ottenendo una riduzione del valore della sua moneta, che ha fatto comunque registrare un aumento da inizio anno. Secondo gli analisti gli interventi di questo tipo non faranno un granché e continuerà a esserci un’alta domanda per la valuta, con implicazioni sul suo valore.

Brexit, quindi, è arrivato in una situazione già complicata e che ora rischia di complicarsi ancora di più. Dopo anni passati a immettere denaro nel sistema, la banca centrale americana (FED) stava lentamente alzando i tassi di interesse, ma il referendum probabilmente metterà in attesa questi programmi e i mercati continueranno a essere inondati di liquidità, cioè di altri soldi.

Riassumendo: l’incertezza generata da Brexit ha portato a una fuga dalla sterlina verso monete percepite come più stabili: dollaro, euro, yen e franco svizzero. Queste monete si sono apprezzate, causando potenzialmente dei danni alle economie relative. Per rispondere a questa situazione, i banchieri centrali probabilmente saranno costretti a ricorrere ancora ai sistemi che hanno usato fino ad oggi per cercare di controllare il valore delle loro valute. Per la FED questo significherà bloccare i previsti aumenti di tassi di interesse. Per le banche centrali del Giappone e della Svizzera significherà ricorrere a misure meno ortodosse. Il punto è se funzioneranno davvero: è dall’inizio della crisi che le banche centrali sperimentano nuove strategie, ma fino ad ora i risultati sono stati quasi sempre molto deludenti.