Venerdì 10 giugno Repubblica ha pubblicato un articolo dello scrittore Michele Mari – il suo ultimo libro è Roderick Duddle (Einaudi, 2014) – sulla lingua usata da Emilio Salgari, autore di numerosi libri d’avventura tra cui Le tigri di Mompracen e Il Corsaro Nero. Il personaggio probabilmente più conosciuto di Salgari è il pirata Sandokan, insieme ai suoi compagni, il portoghese Yanez De Gomera, Tremal-Naik e Kammamuri. Sandokan è diventato ancora più famoso grazie al film per la tv del 1976 in cui viene interpretato dall’attore indiano Kabir Bedi; anche se è spesso raffigurato con fattezze indiane, Sandokan era malese e viene presentato tale solo in un fumetto di Hugo Pratt e Mino Milani, rimasto inedito fino al 2009. Un altro comune errore che si fa quando si parla di Salgari è la pronuncia del suo nome: è Salgàri e non Sàlgari.
Salgari è considerato un autore popolare e di libri per ragazzi ma, spiega Mari – appassionato dei suoi libri fin da bambino – il suo stile non è affatto ingenuo e trascurato, anzi è “iperletterario”, come mostrano anche le sue notevoli invenzioni linguistiche. Anche il realismo del testo è garantito da un importante lavoro di ricerca: Salgari era un navigatore e per ambientare le sue storie nel Mar dei Caraibi e nel sud-est asiatico studiò accuratamente mappe e libri nautici.
Per un inveterato pregiudizio, a Emilio Salgari vengono riconosciuti diversi talenti ma non la letterarietà (come dire “lo stile”); e anche chi ha in uggia il realismo e si entusiasma per Collodi o per Dossi, di fronte al nome di Salgari tende spesso ad assumere un atteggiamento concessivo e lievemente imbarazzato.
Eppure basta aprire a caso i suoi libri per scoprire le virtù di uno stile che a dispetto della popolarità non si saprebbe definire se non come iperletterario. Vi troviamo le veneri del melodramma e la retorica barocca del mirabolante; l’asservimento del tempo e dello spazio alle ragioni della letteratura; l’elegante emancipazione della fantasia dalla psicologia; una coerente applicazione del principio borgesiano per cui creare significa nominare; e soprattutto la capacità di tradurre l’esotismo in suggestione linguistica, con un’opera di astrazione verbale non dissimile da quella realizzata negli stessi anni da Mallarmé e dai simbolisti, per cui le parole tendono a diventare puro suono («rotang», «ramsinga», «nagatampo», «un gruppo di manghieri, di giacchieri o di nagassi…»; «un numero infinito di grab, di poular, di bangle e di pinasse… ») e però, portentosamente, anche suono avventuroso.